FUORISCHERMO

 

LA "TRILOGIA DEL CASO"
DI IÑARRITU
Alejandro Gonzalez Inarritu A detta concorde della critica (e anche dello stesso regista), Babel, l'ultimo film del messicano Alejandro Gonzalez Inarritu, compone il capitolo finale di una trilogia dedicata al caso, inaugurata da Amores perros (2000) e continuata con 21 grammi (2003).
Difficile contraddire questo assunto, che si offre indiscutibile soprattutto in relazione alle opere, ma i tre film, pur condividendo una struttura narratologica speculare per l'asincronia e gli sviluppi paralleli del racconto, sono meno "allineati" di quanto non possa apparire a prima vista (e di quanto la stessa critica non abbia in genere sottolineato, rimanendo sul piano superficiale del "già visto"), svolgendo una sorta di "variazione sul tema" in relazione alle strategie di un racconto non-lineare.
Le tre opere compongono un trittico assai compatto dal punto di vista di scrittura, storie e stile: narrano l'incastro casuale di tre principali vicende, tutte scritte da Guillermo Arriaga (romanziere classico ma sceneggiatore sperimentale, autore anche del copione de Le tre sepolture di Tommy Lee Jones), con tecnica narrativa per nulla ordinaria che gioca con la sfasatura dei piani temporali. Sono accomunate da un mèlange di violenza e pessimismo, e dalla fotografia cruda di Rodrigo Prieto (l'operatore di 8 Mile di Curtis Hanson e de La 25a ora di Spike Lee), che accompagna con le sue desaturazioni e sovraesposizioni il quasi perenne tremolio della macchina da presa. In più poggiano su un lavoro di casting per nulla scontato, che ha permesso di lanciare nel firmamento internazionale un giovane attore come Gael Garcia-Bernal (presente nel primo e ultimo film) e di riuscire brillantemente ad inscrivere nel proprio, personale mondo espressivo (fatto di disorientamento percettivo, luci livide, vicende di dolore e annientamento) divi hollywodiani di grande richiamo - e qui trasfigurati rispetto alla loro recitazione mainstream - come Sean Penn, Benicio Del Toro, Brad Pitt, Cate Blanchett e Naomi Watts, cosa tutt'altro che facile per uno straniero (perdipiù non europeo, ma proveniente da un paese del Terzo Mondo come il Messico, insidioso confinante per gli Stati Uniti), come molteplici esempi della storia sono lì a dimostrare. Parentesi: un altro stratega in tal senso è l'indo-americano M. Night Shyamalan, ma con storie più di genere, anche se altrettanto personali, e meno angosciose rispetto a quelle maggiormente cupe e pessimistiche di Inarritu.
Le vicende di questa trilogia hanno connotati estremamente drammatici, per non dire disperanti e irrisolubili. Amores Amores perros perros incrocia nel Distrito Federal di Città del Messico i destini del giovane Octavio (Gael Garcia-Bernal), che si guadagna da vivere facendo combattere il rottweiler del fratello mentre progetta di scappare proprio con la cognata, di cui è pazzamente innamorato; della fotomodella Valeria (Goya Toledo), immobilizzata su una sedia a rotelle per colpa di un incidente automobilistico, che rende la vita impossibile al suo compagno perchè ossessionata dai topi sotto il parquet del loro appartamento (teme possano aver divorato il suo yorkshire); e del barbone El Chivo (Emilio Echevarria), ex terrorista amante dei cani, che vive facendo il killer ma che vorrebbe poter incontrare la figlia mai conosciuta che lo crede morto. I due principali link narrativi di queste storie di "amori e cani", o meglio di "amori bastardi" (come suggerisce il titolo), vedono Octavio essere responsabile dell'incidente automobilistico della fotomodella durante un inseguimento mozzafiato per le strade della città, in cui Octavio, con il rottweiler gravemente ferito a bordo, è inseguito da alcuni balordi delle gare clandestine; e il barbone essere colui che salverà la vita del rottweiler dato per morto, inserendolo nella propria "comunità" di cani domestici. Tutti e tre i protagonisti subiranno le terribili conseguenze del loro "amore": Octavio verrà beffardamente raggirato dalla cognata; Valeria subirà i tradimenti del compagno e l'amputazione di una gamba; mentre El Chivo vedrà sterminati tutti i suoi cani dal rottweiler ormai assufatto al combattimento e al sangue, in una delle scene più scioccanti e commoventi di tutto il film. 21 grammi, primo film "americano" di Inarritu e ambientato nel New Mexico, racconta le sventure di un professore di matematica (Sean Penn) reduce da un trapianto di cuore la cui moglie (Charlotte Gainsbourg) vorrebbe un figlio attraverso l'inseminazione artificiale; di un ex detenuto (Benicio Del Toro) che vorrebbe ricostruirsi una vita ma che uccide accidentalmente tre persone con il suo pick-up; di una vedova (Naomi Watts) che seppellisce il suo dolore nella droga. Il contatto narrativo di questo "giro di vite" è un incastro perfetto e ineluttabile: Jack Jordan, l'ex detenuto, è responsabile della morte del marito e delle due figlie di Cristina Peck, di cui s'innamora suo malgrado Paul Rivers, il professore che ha ricevuto il cuore del marito di Cristina e che si metterà sulle tracce di Jack, dietro istigazione di lei, per ucciderlo. Nel finale il professore muore liberando il peso dell'anima (i 21 grammi del titolo), rendendo già orfano il bambino che sta crescendo nel grembo di Cristina, vedova ora come prima. In Babel il colpo di fucile esploso da due ragazzi marocchini colpisce mortalmente una turista americana (Cate Babel Blanchett), in viaggio con il marito (Brad Pitt) per sanare il loro rapporto di coppia. I due figli sono accuditi da una tata messicana, che varca con loro, accompagnati dall'imprudente nipote (Gael Garcia-Bernal), il confine tra USA e Messico, per non perdersi il matrimonio del figlio. Nel frattempo, in Giappone, la polizia cerca il padre di un'adolescente sordomuta alle prese con una vita travagliata per il suicidio della madre e gli ostracismi affettivi della società nei confronti dei disabili.
I tre film sono accomunati da una narrazione fratta che esclude la linearità del racconto (ma non la sua fruibilità, anche nel caso più estremo di 21 grammi), ma le strategie narrative non ubbidiscono sempre allo stesso "ordine". Se la forma del racconto è puntualmente fratta, mirando allo sfasamento temporale degli avvenimenti, stravolti nel loro sviluppo cronologico-sequenziale come stravolte sono le vite dei personaggi di queste storie, il complesso ordito dell'intreccio muta da film a film le sue direttrici interne.
L'asse narratologico di Amores perros è tripartito e funziona per segmenti diegetici piuttosto autonomi, seguendo il filo narrativo delle tre coppie segnalato dalle scritte in sovrimpressione ("Octavio e Susana", "Daniel e Valeria", "El Chivo e Maru"), come poi accadrà anche in Parla con lei di Pedro Almodovar (2001). Il primo apre il film, ma in posizione cronologica già avanzata, con il fatale inseguimento automobilistico che determinerà, come perno del racconto, la ronde narrativo-esistenziale di tutti i personaggi del film. La sequenza termina con l'incidente all'incrocio stradale, dove l'immagine di Valeria chiusa e supplicante nell'abitacolo dell'automobile non gode ancora di una propria autonomia narrativa. La storia, che segue, dell'amor fou tra Octavio e la cognata, la prima del running time del film, con le lotte dei cani sullo sfondo, è quindi un lungo flashback, dove sono disseminati, secondo le regole della narrazione parallela, alcuni riferimenti alle storie che arriveranno (la separazione di Daniel in vista della nuova vita con Valeria, l'assassinio dell'industriale da parte di El Chivo), in cui il più pregnante è il talk-show televisivo dove Valeria compare alle spalle del rottweiler di Octavio mentre si sta preparando a quella che sarà la loro ultima sfida clandestina. Il segmento Octavio-Susana s'interrompe con la collisione delle auto di Octavio e Valeria. Il racconto fa un nuovo passo indietro e introduce la vita della nuova coppia (Daniel e Valeria) nel suo momento più felice, fino al terribile incidente automobilistico, che viene filmato dal punto di vista di Valeria. L'evento segnerà indelebilmente il calvario privato della Amores perros fotomodella, ora su una sedia a rotelle nel suo nuovo appartamento, la cui finestra dà beffardamente proprio sul poster pubblicitario di Valeria, icona crudele di un tempo (l'apice della gloria glamour) non più raggiungibile nè replicabile. Questo segmento narrativo si chiude proprio sulle lacrime di Valeria, dopo l'amputazione della gamba dovuta al suo tentato suicidio, davanti al muro, ora spoglio, dove prima dominava la sua gigantografia. S'innesta così il terzo vettore narrativo formato dalla coppia El Chivo-Maru, rapporto che si consuma senza un contatto diretto, ma attraverso un gioco di pedinamenti e sguardi, e una lunga confessione finale lasciata sulla segreteria telefonica di lei, mentre il padre è nel suo appartamento intento a recuperare, soprattutto attraverso delle fotografie, parti di un passato irrimediabilmente perduto. Come negli altri due episodi, compaiono diversi raccordi (il barbone incrocia per la strada Susana e Ramiro dopo la fuga, vediamo la gigantografia di Valeria tolta dal muro) e soprattutto incrociamo nuovamente la scena dell'incidente stradale, vissuto attraverso l'azione di El Chivo, che ruba i soldi di Octavio e recupera il suo rottweiler dalla strada. Seguirà il massacro dei suoi cani e la fuga verso un orizzonte sconosciuto, mentre Octavio, che porta ancora sul viso i segni dell'incidente, aspetta invano, per la seconda volta, l'arrivo di Susana alla fermata dell'autobus, dopo la morte del fratello Ramiro, ucciso durante una rapina in banca.
Memore della lezione narratologica di Pulp Fiction, Inarritu orchestra la sarabanda dei tradimenti, dove tutti - uomini, donne e animali - tradiscono tutti (il fratello di Octavio tradisce Susana, Octavio tradisce il fratello, Susana tradisce Octavio, Daniel tradisce prima la moglie e poi Valeria, il rottweiler tradisce El Chivo, che a sua volta ha abbandonato la figlia, tradendola negli affetti più cari), alterando il classico decorso cronologico degli avvenimenti, mostrando prima quello che succede dopo e scegliendo di figurare successivamente quello che avremmo già dovuto vedere, lungo una simultaneità continuamente fratta che accresce il peso ineluttabile del destino.
Il film successivo del regista messicano, 21 grammi, radicalizza queste strategie. Ancora una volta perno dell'intreccio è un incidente automobilistico: la collisione fatale tra il pick up di Jack Jordan e la famiglia di Cristina Peck. Incidente che qui, a differenza di quanto avviene in Amores perros, dove era reso visibile da tre distinti punti di vista, non viene mai mostrato direttamente (elemento cieco di una provvidenza cieca). Da questo bang senza redenzione la storia sembra esplodere impazzita, frantumandosi in mille pezzi che regista e sceneggiatore cercano disperatamente d'incollare insieme per restituirle leggibilità e significato. Il film è così continuamente percorso da flashback e flashforward che convivono insieme in un eterno presente (´Non so più dire quando tutto è iniziato nè quando finirà' dice Paul all'inizio del film, intubato in una camera d'ospedale: segmento, questo, che anticipa il finale, ricollegandovisi con una sorta d'interna circolarità), sovvertendo in modo radicale l'ordine cronologico del soluzione di un conflitto che non prevede catarsi. I segmenti narrativi sono pertanto centinaia e polverizzano alla 21 grammi radice il principio di consequenzialità, provocando fascino e disorientamento per chi guarda. E' il grande potere del montaggio cinematografico quando agisce sull'elemento-tempo, manipolandolo: incastrare i giardini dei sentieri che si biforcano di borgesiana memoria, dove i corridoi narrativi contemplano la simultaneità dei diversi risvolti dell'intreccio contro ogni regola di linearità e verosimiglianza. Così, in 21 grammi, è possibile, sovvertendo ogni logica di causa-effetto, assistere all'azione della vita e della morte, della salute e della malattia, della felicità e della disperazione secondo un ordine cronologico adulterato, invertito, antinaturalistico. Questo montaggio sul caso e sul caos (termini non per nulla anagrammatici) permette di potenziare l'impatto emotivo di una materia già narrativamente incandescente (perdipiù fotografata con una luce livida e sporca, quasi impura, non cedendo un grammo della chiave stilistica già inaugurata con Amores perros e poi proseguita con Babel), e di costruire false percezioni nello spettatore. Esemplare a questo proposito, dopo quindici minuti di proiezione, il frammento dove vediamo Cristina tenere tra le braccia Paul agonizzante, ferito a morte, davanti agli occhi di Jack, urlando al suo indirizzo di fare qualcosa per aiutarli. L'inquadratura, potente nel gioco dei contrasti (è preceduta da Mary che sorprende Paul a fumare mentre è degente in attesa del trapianto, e seguita da Paul che suona il campanello di una casa che scopriremo essere quella di Cristina), alimenta interesse nello spettatore (come sono entrati in contatto questi personaggi e come ha potuto la storia arrivare a questo punto e perchè?), e fa salire la temperatura emotiva del film, suggerendo che sia stato Jack a ferire mortalmente Paul, mentre invece è stato lo stesso Paul a spararsi (anche se sarà lo stesso Jack ad assumersene la colpa, in una sorta di postumo castigo). L'assemblaggio di questo tipo di editing suggerisce false relazioni per l'esplicazione dei fatti narrati a momenti successivi rispetto alla loro fruizione. Così la tentata autoimpiccagione di Jack in prigione sembra essere una sorta di espiazione per il delitto commesso, mentre invece appartiene al passato della storia, prima dell'incidente; oppure la scena di sesso con la moglie pare localizzarsi dopo l'uscita di prigione, mentre invece avviene dopo l'incidente. In un film dai colori cianotici come quelli di un cadavere, la frammentazione del montaggio permette anche di evitare con le sue forti cesure le trappole del patetismo, insito in una storia ad alto tasso di drammaticità emotiva.
La costruzione temporale dell'intreccio in Babel, ancora tripartito lungo tre storie principali (con la quarta, Babel rappresentata dalla famiglia marocchina, che funge da legante) si palesa - all'interno del sistema del racconto della trilogia - come più lineare. Non cambiano le modalità d'inversione spazio-temporale degli avvenimenti, ma la conduzione interna degli assai paralleli del racconto. In luogo dell'incrocio narratologico di Amores perros e della radicale frammentazione narrativa di 21 grammi, in Babel tutto è organizzato lungo traiettorie sequenziali all'interno di una macrostruttura circolare (che è poi un lungo macroflashback) ben nascosta tra le pieghe del racconto. Le tre storie (il calvario di Richard e Susan nel deserto marocchino, dei loro bambini e della badante Amelia nel deserto messicano, e dell'adolescente Chieko in quello dei sentimenti), inaugurate dell'episodio iniziale che funge da motore narrativo (il colpo di fucile sparato da Yussef), godono infatti di minor sfasatura spazio-temporale e conseguentemente di maggior linearità all'interno del montaggio parallelo, ubbidendo ad uno svolgersi interno decisamente più rigoroso nelle cronologie rispetto ai film precedenti. La sequenzialità è infatti garantita dalla cornice circolare sancita da una sorta di flashforward (che di fatto apre un macroflashback) : quello iniziale, subito dopo il prologo, dove Amelia (la notevole Adriana Barraza, già madre di Octavio in Amores perros) riceve la telefonata di Richard dall'altro capo del mondo che chiede, con voce rotta e sofferente, come stanno i bambini. Amelia, lo capiamo dalle battute del dialogo, è già informata dei fatti che sono successi ai due coniugi in Marocco, e ciò, se lo spettatore riesce a fissare questo importante tassello narrativo, è la miglior garanzia che non solo - alla luce dei fatti che vedremo nel finale - Amelia non verrà con tutta probabilità espulsa dagli Stati Uniti, ma anche che i bambini verranno sicuramente salvati durante la terribile notte passata nel deserto. La struttura circolare è infatti chiusa dallo stesso momento narrativo (la telefonata di Richard), però filmato dal punto di vista di lui (quindi con la voce off di Amelia, come lo era stata quella di Richard nell'altra, speculare sequenza). La cesura - e di conseguenza la creazione del macroflashback - è data invece dalla seconda telefonata di Richard ad Amelia, a stretto giro di tempo dalla prima e sempre filmata dal punto di vista della badante, quando viene svegliata nel suo appartamento e mandata a forza dai bambini, proprio nel giorno del compleanno del figlio: qui parte l'asse narrativo dell'odissea "di confine" di Amelia, del nipote Santiago e dei due figli di Richard e Susan, che si sviluppa - all'interno della partitura parallela del racconto, e dunque in modo comunque frammentario seguendo la logica del montaggio a stacco - seguendo un ordine cronologico negli avvenimenti (primo passaggio della frontiera, festa di matrimonio, ritorno, scontro alla frontiera, fuga, abbandono di Amelia e dei bambini da parte di Santiago, odissea notturna nel deserto, eccetera). Così come del tutto consecutive appaiono le altre due principali storie, quella di Chieko Babel (partita a pallavolo, incontro/scontro con i ragazzi, loro offesa nei confronti delle adolescenti sordomute e atto di ribellione di Chieko che espone il proprio "mostro peloso" ai loro occhi, incontro con il padre, scena della discoteca, incontro con il poliziotto nell'appartamento), e quella, ovviamente, di Richard e Susan (ferimento di Susan, panico, arrivo al villaggio marocchino, sutura della ferita da parte del veterinario, scontro con gli altri turisti americani, ritardo dell'assistenza da parte dell'ambasciata, eccetera).
Solo in un punto c'è una significativa infrazione della simultaneità ed è, naturalmente, il punto più nevralgico del film: l'attentato a Susan nel pullman. Inarritu ricorre consapevolmente alla tecnica già impiegata in Amores perros, mostrando prima l'antefatto (le schermaglie dei due fratelli arabi e il colpo di fucile sparato da Yussef) e solo successivamente, dopo l'interposizione di altre sequenze, l'effetto dello sparo. Inarritu gioca con i propri riferimenti, ma l'autorefenzialità è funzionale allo scopo. Il momento in cui l'azione si svolge all'interno del pullman, con il dialogo tra Richard e Susan, è di fatto insostenibile. Sappiamo che il colpo mortale arriverà, ma non sappiamo quando. Inarritu lavora con il classico meccanismo della suspense, anche se l'informazione non è fornita simultaneamente all'evento. La tensione cresce in modo spasmodico perchè il tempo dell'inquadratura è volutamente dilatato, ma - e qui il regista messicano mostra di saper reinventare il già visto (anche del suo cinema), lavorando con la sottile arte della variazione, che in questo caso contempla anche un efficace "effetto sorpresa" - il proiettile che buca il vetro del pullman e si conficca nel collo di Susan arriva silenzioso, in un apparente nonnulla di evento, senza rumori eclatanti o grida di dolore, con Susan che si accascia come se stesse dormendo.
Se i segmenti narrativi di Yussef, di Richard e Susan e di Amalia con i due bambini godono di un raccordo stretto, più defilato, per non dire sfilacciato, dal principale tessuto connettivo del film appare invece la storia di Chieko, che d'altro canto è una delle parti più interessanti. Se infatti la cornice narrativa rappresentata da Yussef e gli stretti rapporti tra la vita di Amalia e quella della coppia americana sono legati da raccordi (per non dire nodi) tanto stretti quanto indissolubili (tanto da generare impressioni fallaci, ma contemplate dal montaggio, come quella che il colpo di fucile di Yussef sia responsabile anche delle disavventure notturne della tata con i due bambini, mentre queste sono semplicemente simultanee alle altre storie e sono causate, in ordine di tempo ma non d'importanza, dall'arrogante richiesta di Richard, dai sentimenti filiali di Amalia e dall'irresponsabilità di Santiago), l'appartenza del "segmento-Chieko" al mondo narrativo dell'opera è appeso ad fragile filo digetico, quello del famigerato fucile, regalato dal padre di Chieko al padre di Yussef durante una battuta di caccia. L'ambiguità narrativa che attraversa la storia ambientata in Giappone - la polizia cerca il padre di Chieko per chiedergli conferma delle sorti di questo fucile (un'inezia di ordine burocratico nell'economia dei drammi cui stiamo assistendo) e non per rivolgergli, come la stessa Chieko crede, l'ennesima domanda sul suicidio della moglie - è l'unico risvolto che permette a questa storia di rimanere a contatto con le altre, mentre il suo principale contenuto - la vita tormentata di Chieko - si sviluppa in modo del tutto autonomo. Di rilievo in questa vicenda Babel di tormenti, frustazioni e incomunicabilità, due momenti di grande suggestione cinematografica: la sequenza ambientata in discoteca, che alterna i frastornanti elementi oggettivi della musica assordante ai piani soggettivi interamente muti di Chieko, offrendo notevoli effetti distonici dal punto di vista percettivo e allineando Inarritu lungo le analoghe traiettorie registiche di David Lynch e Michael Mann (che con Cuore selvaggio e Collateral si sono già cimentati con l'esplorazione delle potenzialità audiovisive che luoghi come le discoteche offrono al cinema); e la parte finale ambientata di notte, nell'appartamento di Chieko, toccante e spiazzante al contempo, dove il suo corpo nudo offerto al giovane poliziotto si fissa nella memoria come un irrevocabile grido di aiuto, disperazione e amore.
Il frutto principale di questo complesso ordito di storie globali, che mettono a contatto destini e percorsi non più, come accadeva in Amores perros e 21 grammi, localizzati nello stesso contesto, ma lungo coordinate che abbracciano il mondo (attraverso gli stati di tre continenti: USA/Messico, Marocco e Giappone), è lo stesso: lo "spaesamento". Una sorta di umheimliche della globalizzazione, dove le distanze sono azzerate e le tragedie permeano il destino di tutti: è lo smarrimento di un padre i cui figli "allo stato brado" sparano contro un pullman di turisti per vincere una scommessa; è lo smarrimento di due coniugi americani che si trovano a vivere una tragedia personale in mezzo ad un paese straniero, più sinistro che ostile; è lo smarrimento di una brava lavoratrice e madre affettuosa che sceglie la strada del sentimento e commette l'errore di affidarsi ad un nipote irresponsabile, mettendo a repentaglio la sua vita e quella di due bambini; è lo smarrimento di un'adolescente disabile che si sente emarginata dagli affetti della famiglia e della società. Storie universali che travalicano i confini di lingua ed etnia per diventare parabole universali del nostro vivere.
Il finale di questa "babele" disorientante è apparentemente meno crudele rispetto agli altri due capitoli della trilogia: Richard, Amelia e Chieko troveranno, pur con accenti diversi, una loro catarsi, negata invece alla famiglia del pastore marocchino. La bravata dei due ragazzi costerà infatti la vita al fratello di Yussef. Una tragedia irrimediabile, quella della morte di un ragazzo innocente e della perdita di un figlio (che in Babel è il punto d'arrivo dell'intreccio, mentre in 21 grammi era il punto di partenza), che diventa rappresentazione di un mondo di dolore e annientamento.