Il regista indiano M. Night Shyamalan con il suo ultimo film
Lady in the water, torna ad esplorare il valore della
missione che nel suo cinema criptico, iconico e filosofico, svolge una funzione determinante, sia dal punto di vista
narrativo, sia dal punto di vista estetico. Le storie, i personaggi, le citazioni, il rapporto dell'uomo con la fede,
i modi di comunicare, la relazione adulto/bambino, la riflessione sulla paura e sull'origine del male sono solo alcune
delle forme espresse da Shyamalan e amplificate attraverso il significato della missione.
Nel cinema di Shyamalan la misisone si ramifica in due strade: una è percorsa dai personaggi, l'altra dallo spettatore.
Nostalgici, timidi, riservati, non troppo coraggiosi ma ugualmente valorosi e virtuosi,
i personaggi creati da Shyamalan
esprimono la loro vera essenza se portano a termine la loro missione. Da Cole Sear il bambino prodigio di
The sixth
sense, in grado di parlare con i morti, a Malcom Crowe, psicologo dell'infanzia che riesce a fornirgli gli strumenti
per comunicare e affrontare le proprie paure; dall'agente di sicurezza David Dunne di
Unbreakable, versione moderna
e indistruttibile di un supereroe degno della migliore avventura di un fumetto, in missione per difendere la terra, al suo
opposto Elijah Price Uomo di vetro, in missione per scovare il supereroe capace di salvare la terra (infatti a costo di dare un
senso alla sua vita di perdente, l’Uomo di vetro è disposto a tutto); da Graham Hess di
Signs impegnato a lottare
con alieni e ricordi del passato, ma soprattutto angosciato dalla presenza del male nella sua vita a Ivy, protagonista di
The Village, incapace di vedere ma in grado di andare oltre le apparenze e oltre il temuto bosco per salvare la vita
al giovane Lucius. La lunga e affascinante carrellata di personaggi, più o meno inventati, si conclude con la Nerf Story di
Lady in the water, creatura marina sbucata fuori dalla piscina del condominio The cove per ispirare saggezza e
creatività negli uomini, aiutata e protetta da Cleveland, custode del condominio ma anche della vita della creatura
acquatica.
Personaggi in missione, cioè in cammino e in ricerca, per salvare e salvarsi, lottare e scoprire la verità.
Diffondere il bene e sconfiggere il male.
Una sorte, quella della salvezza, che in un certo senso tocca pure lo spettatore, chiamato anch’esso a compiere una
missione, a rispondere ad una chiamata. Sembra quasi che all’inizio di ogni suo film Shyamalan parli con lo spettatore e
gli chieda a quale livello è giunta la sua fiducia nei suoi confronti. Se lo spettatore non si fida, il gioco non comincia
neppure, si ferma e resta impantanato. Invece, se carico di fiducia e pazienza, l’occhio dello spettatore attende e riceve
le risposte che cercava, assimila gli indizi raccolti, conferma ipotesi e tentativi, si avvicina alla verità. La missione
dello spettatore è quindi fondata su una relazione di fiducia, che segue di pari passo la fiducia o, meglio, il coraggio
richiesto ai personaggi per affrontare le proprie paure/avventure.
L’architettura filmica delle idee di Shyamalan prevede questo duplice scambio nel quale la finzione, i personaggi del film,
e la realtà, gli spettatori (personaggi anche loro), entrano in collisione e si fanno condurre verso la verità e la fine
delle storie (sempre a lieto fine). Il creatore, burattinaio invisibile, è eternamente presente con il fisico (Shyamalan
appare in ogni suo film) ma soprattutto con la mente tradotta in Cinema (ecco spiegate le numerose inquadratura dall’alto).
Questa è la grandezza del regista indiano,
capace di scovare la straordinarietà dentro meccanismi e circostanze
ordinarie elevando al massimo il senso dell’immagine e dello sguardo. E’ grazie all’uso della grammatica cinematografica
che avviene la catarsi. Il cinema ritrova il suo senso grazie ai movimenti di macchina che svelano la veridicità della
storia, grazie alla musica, grazie alla messa in scena che mette a fuoco verità nascoste.
Esiste poi un altro punto di contatto che permette a finzione (i film) e realtà (spettatore) di sfiorarsi, di lasciarsi
invadere dal cinema e di portare a compimento la propria missione. Si tratta della gabbia/trappola nella quale sono
rinchiusi i personaggi delle storie di Shyamalan, nella quale cade pure lo spettatore. La condizione di morto vivente di
Bruce Willis in
The sixth sense, svelata alla fine del film attraverso l’uso di un montaggio di frammenti già visti,
per ricordare che lo spettatore ha guardato con occhi da morto; l’identità nascosta del supereroe Bruce Willis e
dell’antieroe Samuel L. Jackson in
Unbreakable, dove è ancora una volta un movimento di macchina ad accompagnare
protagonista e occhio di spettatore dentro alla mente dell’Uomo di vetro. Accade anche in
Signs, quando è la
televisione a svelare i segreti che fino a quel momento soccombevano sulla casa di Mel Gibson e sull’intero film, e pure
in
The Village quando è una fotografia a ridare un ordine spaziotemporale, oltre all’inevitabile passaggio dark nel
bosco di confine tra società e misantropia. E anche nell’ultimo
Lady in the water, la narrazione segue questa sorta
di strategia visiva/emozionale. La nuova trappola è The cove, il covo, un condominio di Philadelphia. Il tramite, il
dark-passage, il ponte visivo tra realtà e finzione è una piscina a forma di occhio. Un luogo che racchiude un altro luogo,
circondato da un bosco oscuro e infestato da bestie feroci. Nell’ultimo film di Shyamalan si incrociano due mondi come
accadeva nei film precedenti. Questa volta la missione è alimentare la creatività e l’originalità dell’uomo, divenuta merce
rara e sempre più contraffatta. E’ proprio nel continuo gioco citazionista, predicatorio, metacinematografico che il
regista indiano esplora sia il senso della gabbia/trappola per personaggi e spettatori, sia il senso della sua missione di
creativo e di ideatore di un cinema sostanzialmente nuovo. Una trappola visiva, un inganno, un’illusione, una perdizione.
La gabbia/trappola costruita da Shyamalan si ricodifica quindi in un perfetto meccanismo dell’attesa. Le paure e le
angoscie dei personaggi contaminano l’occhio dello spettatore e lo mandano alla deriva. Gli fanno credere altro, non la
verità. La verità è rivelata solo alla fine, quando il cinema compie definitivamente la sua missione.
Shyamalan insiste nel ricordare che bene e male sono entità divise da confini sottilissimi, come del resto la realtà e la
finzione. Ma il regista è anche ossessionato da come il senso del cinema, e pure quello della vita, possa esprimersi del
tutto. La risposta, sussurrata dalla sua idea di cinema, sta sempre nell’incontro con l’altro. Un’avventura spirituale che
ricorda la sintesi evangelica sul valore della missione: quello che non è donato è perso.
Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà.
Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo
in cambio della propria anima?» (Marco 8,35-37).
Curiosità: M. Night Shyamalan ha cominciato a girare brevi film a 10 anni, a 16 era già arrivato a 45 cortometraggi;
i genitori, entrambi medici, lo volevano medico, ma lui si iscrisse alla New York University per studiare cinema; ha girato
il suo primo film (autor, regista, produttore) nel 1990. Ha fondato una sua società di produzione, la Blinding Edge
Pictures. Come Alfred Hitchock anche Shyalaman si diverte a comparire nei suoi film. In
The sixth sense fa il
medico, in
Unbreakable è il presunto spacciatore all’ingresso dello stadio, in
Signs è un poliziotto, in
The Village è la guardia forestale nonché la prima persona inontrata da Ivy dopo aver attraversato il bosco. In
Lady in the water addirittura è l’oggetto del desiderio della Nerf Story, in quanto impersona un giovane scrittore
destinato alla celebrità. Beffardo, autoironico, o semplicemente presuntuoso?