FUORISCHERMO

 

BABEL
FLYER
Titolo originale: Babel
Regia: Alejandro González Iñárritu
Sceneggiatura: Guillermo Arriaga
Montaggio: Stephen Mirrione, Douglas Crise
Musica: Gustavo Santaolalla
Fotografia: Rodrigo Prieto
Interpreti principali: Brad Pitt, Cate Blanchett, Gael García Bernal, Kôji Yakusho,,Rinko Kikuchi,Adriana Barraza, Boubker Ait El Caid, Said Tarchani
Origine : Usa, 2006
Durata: 144' Colore
 

FLYER Durante un viaggio in Marocco, organizzato per sistemare i cocci della loro storia, Richard e Susan sono coinvolti in un tragico incidente: la donna, colpita da un proiettile, è in fin di vita. Contemporaneamente anche altre vite cambiano drasticamente. Quella di chi ha sparato, Yussef, un ragazzino del posto che con suo fratello provava la potenza del nuovo fucile; quella della badante Amelia che aveva in custodia i figli della coppia americana, una messicana che varca il confine messicano ingenuamente per recarsi al matrimonio del figlio; quella di chi aveva venduto lo stesso fucile ad un cacciatore marocchino qualche anno prima, il giapponese Yasijuro in crisi con la figlia sordomuta Chieko. Inarritu, autore dell'ottimo Amores Perros e dell'intimo 21 grammi, torna a parlare di distanze, comunicazione, intrecci di vite e destino. La sua riflessione sulla sofferenza è amplificata, non ricodificata, attraverso una dilatazione della storia (scritta come sempre dal genio Guillermo Arriaga). L'uomo, le sue azioni e le sue terribili conseguenze riprese da tre punti di vista, tre punti lontani del mondo come Messico, Marocco e Giappone, frullato di atmosfere, ritmi, musiche, comportamenti e linguaggi. E', come al solito, un film denso di contenuti, espressi soprattutto dalla forza delle immagini, meno verboso, ma anche meno avvincente. A questo punto, dopo tre film strutturati alla stessa maniera, il gioco dell'incastro non stupisce (emoziona?) più come prima. E' invece notevole, ambiziosa e visionaria la regia (premiata a Cannes), che mette in luce non solo la difficoltà dell'uomo a comunicare, ma anche il desiderio dello stesso di guardare oltre le difficoltà, affidandosi ai propri sensi. Quello di Inarritu è un cinema carnale, sensoriale e corporeo, di grande coinvolgimento anche se spesso i richiami moralistici appaiono un pò troppo marcati. Un cinema, al tempo stesso, assolutamente evocativo.
MATTEO MAZZAMATTEO MAZZA


FLYER Tre storie; tre vicende diverse attraverso tre continenti; un filo sottile che le unisce; i confini fisici che si intrecciano fino a dissolversi. Tre padri alle prese con tre (in realtà sono di più) figli; tre figli alle prese con l’esperienza del dolore, e della morte.
Un cast di primo piano, una scrittura solida con poche sbavature firmata dal solito Arriaga, narrativamente priva delle scompaginazioni temporali di 21 Grams . Ottimo film, ottimo cinema.
Ma… alla fine, rimane una strana sensazione: che Inarritu abbia un po’ troppo giocato con lo spettatore, con il dolore, che abbia cercato troppo spesso il facile effetto drammatico (i due bambini marocchini che giocano con il vento appena dopo la morte di uno dei due, solo per fare un esempio) il proprio compiacimento, che abbia sottolineato eccessivamente, usato troppo il “grassetto”. E’ un cinema che stilisticamente si può elogiare (e premiare); ma personalmente lo trovo profondamente disonesto.
GIANLUCA CASADEIGIANLUCA CASADEI


FLYER Iñárritu e il suo sceneggiatore co-autore Arriaga raccontano la violenza e il dolore del mondo con un talento e una capacità di coinvolgimento dello spettatore davvero rari. In questo caso le tre storie (ma una è duplice) si snodano tra il deserto marocchino, a cavallo del confine tra Messico e Stati Uniti e in Giappone. Peccato che ambiscano (babelicamente) a comprimere tutto il dolore del mondo (continenti, generazioni, condizioni economiche e sociali) in un solo film, accumulando troppe storie e troppe disgrazie, come già in 21 grammi e, (ma in quest’ultimo caso con il beneficio dell’effetto sorpresa), in Amores perros, con il rischio di vedere franare la loro costruzione sotto il suo stesso peso. La somma delle sventure finisce col produrre un effetto un po’ stucchevole, e il legame tra le varie storie non ha sempre un sufficiente grado di necessità; ma decisamente si tratta di un cinema di qualità decisamente superiore alla media.
MAURO CARONMAURO CARON