FUORISCHERMO

 

SINCRONIA
R-ESISTENZIALE
Il cinema estremo e la scrittura/corpo
del messicano Guillermo Arriaga,
sceneggiatore di Le tre sepolture di Tommy Lee Jones
LE TRE SEPOLTURE Prospettive corporali
La marcia funebre di Le tre sepolture è una processione logorante. Un lungo, interminabile e straziante percorso di vita, morte e speranza in cui le anime di tre uomini si mescolano di continuo. Il viaggio di Pete Perkins con il cadavere dell’amico messicano Melquiades Estrada accompagnato dall’agonia del poliziotto Mike Norton, rappresenta anche il senso della dignità umana e il valore della sepoltura. Un ritorno alla terra per non dimenticare le proprie origini.
Il primo film di Tommy Lee Jones (anche se a dire il vero la prima regia, per la tv, risale a più di dieci anni fa) propone a fasi alterne i lineamenti del genere western rispolverando classici come Ford, Pekinpah, Hawks, schermi visivi utilizzati per celebrare la solitudine dell’uomo e la potenza della natura, e pure un’idea di cinema più attuale come quella eastwoodiana, rivolta all’essenza di una riflessione onesta, spietata e umana sull’America di oggi. Interiorizzando più la seconda che la prima vocazione, Tommy Lee Jones ha diretto e interpretato magistralmente un film prospettico, un grande western contemporaneo. Le tre sepolture è una storia sofferta di uomini, in cui l’idea di cinema di Lee Jones e il suo sguardo/visione, coincidono con le scintille e le intuizioni geniali di Guillermo Arriaga, sceneggiatore e grande narratore messicano.
Arriaga prima di diventare lo sceneggiatore di Tommy Lee Jones è stato (e lo sarà anche prossimamente nel film Babel) lo sceneggiatore di Alejandro Innaritu (Amores Perros, 21 grammi), confermando non solo le sue spiazzanti e strabilianti abilità narrative, ma anche, e soprattutto, di saper mettere a fuoco le proprie ossessioni e interpretazioni sull’origine del male, del dolore e della sofferenza umana.
LE TRE SEPOLTURE I motivi che fanno di Arriaga uno scrittore geniale sono diversi. Innanzitutto la straordinaria capacità di manipolare, incastrare e intrecciare vicende e destini. Qualità notevole e accattivante che smaterializza tutte le convinzioni dello spettatore, pur non essendo il massimo dell’originalità visto che ricalca quasi fedelmente il meccanismo tarantiniano di Pulp Fiction. E’ invece indubbiamente più importante far notare come la scrittura di Guillermo Arriaga sia una scrittura corpo. Un procedimento mentale e assoluto che si insedia nello sguardo dello spettatore, lo contamina, lo ipnotizza. La scrittura corpo di Arriaga è individuabile in tutte e tre le opere cui lo scrittore ha lavorato, ed è senza ombra di dubbio una delle caratteristiche più innovative e rivoluzionarie dell’attuale panorama cinematografico.

Corruzione, corrosione e collisione
Arriaga racconta storie di uomini. Racconti di vita e sospiri di morte. Vita e morte per Arriaga sono entità indissolubili, imprescindibili, che esistono l’una in funzione dell’altra. Una cresce l’altra cala. Come il sole e la luna. Il giorno e la notte. Vita e morte sono due concetti che formano, plasmano, creano e solidificano l’uomo nella sua realtà piena: lo fanno creatura pensante, un essere vivente biologicamente e eticamente implicato. Ma anche un essere pensante e mascherato, collocato come individuo in una società moralmente e civilmente distrutta e corrotta.
LE TRE SEPOLTURE Lo scrittore messicano, curiosamente privo dell’olfatto perso a causa di un pestaggio giovanile (mancante quindi di un pezzo, di un punto di vista, o forse solamente libero da alterazioni e contaminazioni esterne), rappresenta il suo mondo anche attraverso l’uso sfrenato di simboli e allegorie. Immagini che rappresentano il dolore. Visioni di una ferita, di una macchia di sangue, di un ricordo spezzato. Per Arriaga l’uomo è corpo e mente. Quando è corpo diventa carne ed è destinato a marcire, cadare a pezzi, farsi altro, scindendosi dallo spirito e unendosi alla terra. Quando è mente diventa pensiero, ostinazione, desiderio ed è portato a elevarsi, alleggerendosi del peso corporale e allontanarsi dalla terra, dal dolore e dalla sofferenza. L’uomo/corpo e l’uomo/mente nell’evasione suprema al cospetto divino si distinguono come esseri inferiori, in una relazione in cui esprimono tutto il bisogno di vita e mostrano tutte le debolezze. Carne e pensiero. Corpo e mente. Sangue e respiro. La materia corrode dall’interno.
Al centro delle vicende costruite da Arriaga ci sono le relazioni e i rapporti umani dentro la quotidianità. Le sue storie penetrano nella vita dell’uomo, rappresentano la fatalità e la casualità degli incontri, che sono dettati sempre da un ordine supremo. Il destino è un grande burattinaio che affila le proprie lame e irrobustisce i propri fili per controllare tutto. Un abile orchestratore. Un geniale manipolatore di pensieri e scelte. L’uomo nonostante il tentativo di confinare il proprio destino dentro i limiti scanditi dalla sua identità, soccombe al destino, che sempre riesce a dosare e gonfiare le decisioni umane, spremendole e facendole proprie. Il destino per Arriaga è un’entità che sta oltre l’umano, che entra in collisione con la vita di uomini che vagano, che si muovono nel passato, pedinano le orme del loro presente, scommettono sul proprio futuro. Anime erranti, creature informi in ricerca, inevitabilmente assetate di vita.

LE TRE SEPOLTURE Esistenza tridimensionale
Altezza, lunghezza e soprattutto profondità. Arriaga si concentra a riesplorare tutte le dimensioni dell’animo umano, costruendo sempre storie a tre dimensioni. Il numero tre è un’ossessione dello sceneggiatore che raffigura costantemente la drammaticità e la tragicità di personaggi che sono al tempo stesso vittime, complici e carnefici.
I suoi personaggi indossano maschere. Sono ombre oscure che coprono la luce dell’essenza e della natura umana. Spesso sono uomini sporchi, contaminati dal male e disperati. Arriaga quasi si diverte a costruire il suo triangolo della morte. Come nel famigerato Triangolo delle Bermuda, in cui inspiegabilmente i corpi svaniscono nel nulla, nel mondo di Arriaga l’uomo venuto a contatto con altre dimensioni (quindi mescolato ad altri uomini) smarrisce la propria essenza e purezza. I segmenti tracciati da Arriaga esprimono tutto il senso della sua ricerca e rappresentazione antropologica: gli uomini sono delle rette (assemblaggio di punti infiniti) che nell’incontro con l’altro mutano in figure (porzioni di piano delimitate da rette/segmenti).
Questa idea narratologica non vive però solo di luce propria. Necessita di altri elementi, come il tempo e la comunicazione. Arriaga distribuisce le informazioni apparentemente in modo disordinato e casuale, nascondendo il principio ultimo che regge il filo logico della sua narrazione. Gli spunti di connessione sono sottili, le informazioni asciugate, il racconto è pieno zeppo di ellissi temporali. L’occhio chiede informazioni come fosse affamato e assetato, cerca vie d’uscita, spiragli di salvezza. Si consola grazie al tempo. Tutto è estremamente rarefatto. Ma tutto è perennemente collegato. Come in un ipertesto fluido e interminabile. Come in un ingranaggio interattivo che si fonda su frammenti di vita, su schegge di paura, infiltrazioni di rimorsi, flussi di colpe, pentimenti, passione e redenzione. Il racconto mescola tutti questi ingredienti, spiazza lo sguardo e la mente, mette in disordine e inasprisce il tessuto della storia.

AMORES PERROS Ingranaggi sensoriali
L’immagine corpo per Arriaga è il ponte visivo che permette di rappresentare il corpo nelle sue mostranze: come entità che esiste e r/esiste. La scrittura corpo è quindi prigioniera di questa condizione r/esistenziale e può generare solo vita o sopravvivenza. Il male di vivere, il rapporto corrosivo tra coscienza (cioè il reale nascosto che vive su di un’immagine) e colpa (cioè l’immagine reale che vive sotto un corpo), ne è la sintesi più completa e paradossale.
Sincronia dell’incontro e pregnanza dei simboli, partendo da queste due coordinate visive e temporali si possono individuare i tre elementi che hanno marchiato i tre film sceneggiati da Guillermo Arriaga: sangue, respiro, polvere. Tre composti. Tre suoni. Tre odori. Tre sapori.
Il sangue è rosso, denso, dolce e amaro. È uno dei luoghi espressivi del dolore. Dolore inteso come sostanza trattenuta e nascosta, che scorre veloce nel corpo lasciando la propria impronta. Col tempo il sangue diventa una crosta, una ferita e poi una cicatrice. Si tramuta in una presenza nascosta e insostenibile. Il respiro è leggero. Quello ultimo pesa 21 grammi e trasporta con sé la vita. Si fa artefice di un viaggio pesante proprio perché ultimo. Anche il respiro è materia corporale/sensoriale. Inodore, insapore ma ritmico e per questo vivo. È un fruscio, un sibilo. Una musica gentile, melodica. Il dolore evapora, evade, si libera del corpo. Spezza le catene. Una materia che si fa altro. Quando è affannato il respiro si fa pesante e insostenibile.
21 GRAMMI La polvere è secca, arida, schiava del sole e del calore. È il simbolo dell’umanità priva di scrupoli. Terra senza vita, materia inconsistente, avanzo di natura. La polvere è anche la prova dei ricordi, come segno del tempo. Un’esperienza che annienta il gusto che blocca i sensi e la percezione. La polvere resiste nel tempo, lo veicola, lo rappresenta. È il dolore dell’inespressività, della mancanza di comunicazione, dell’assenza, della privazione. La polvere diventa fango e peso insostenibile.

Nel mondo di Arriaga l’uomo è fradicio e zoppicante. Galleggia e sopravvive. E’ la sintesi estrema del dolore. La vittima e il sacrificio della società.