IL VENTO CHE ACCAREZZA L'ERBA
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Titolo originale: The Wind That Shakes the Barley
Regia: Ken Loach
Sceneggiatura: Paul Laverty
Montaggio: Jonathan Morris
Musica: George Fenton
Fotografia: Barry Ackroyd
Interpreti principali: Cillian Murphy, Liam Cunningham, Padraic Delaney, Gerard Kearney, William Ruane,
Origine : Francia, Gran Bretagna, Irlanda, 2006
Durata: 124'
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Buon film l’ultimo di Loach. Ma la Palma d’oro mi pare più che altro un premio alla carriera. Nella solida ricostruzione
storica della lotta per l’indipendenza irlandese c’è tutto il rigore, la passione per il “conflitto” classista e
l’incandescenza della dialettica nella materia trattata, tipica del regista britannico. Le questioni storiche:
l’indipendenza voluta dalle classi abbienti entra in collisione con le richieste progressiste del popolo per la conquista
di condizioni di uguaglianza per tutti in lunghi dibattiti tra posizioni differenti e contrastanti (un po’ come in Terra
e libertà) . Il trattato tra Regno Unito e governo autonomo irlandese è vissuto come un tradimento della lotta per la
liberazione, da parte di una frangia “pura” dell’IRA. Intrecciate, come sempre in Loach, con le istanze più “private”: gli
interessi generali della “nazione” che costringono al sacrificio dei legami amicali e familiari più profondi; la consueta
componente “melò-sentimentale” in una vicenda d’amore che finisce in tragedia (per la verità questa volta solo accennata).
Conflittualità, dialettica e riflessioni che (volutamente) potrebbero essere applicate anche ai mille e più conflitti
intestini e fratricidi di oggi Il tutto raccontato con la consueta asciuttezza e sobrietà.
GIANLUCA CASADEI
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Demian (Cillian Murphy) neo laureato in medicina sta per partire per Londra dove ha trovato lavoro in un ospedale, ma i
soprusi compiuti dai “Black and tan” lo convincono ad entrare nell’IRA sotto il comando del fratello Teddy (Padraic Delaney)
. I due combattono fianco a fianco fino alla firma del trattato di pace, allo scoppio della guerra civile i due si trovano
su fronti opposti.
Ken Loach torna con un film politico che indaga il conflitto irlandese illuminando le diverse anime dell’IRA, quella più
nazionalista, quella socialista e quella più violenta e oltranzista, come già aveva fatto per la guerra civile spagnola in
“Terra e libertà”. Lo sguardo di Loach si posa soprattutto sulle classi sociali più umili dell’Irlanda, quelle che soffrono
la fame, quelle per cui la rivoluzione non ha significato perché i governi cambiano, ma la miseria rimane. Ma esplora anche
la tragica storia del rapporto tra due fratelli costretti dalla guerra che attanaglia il loro paese a fare scelte che li
segneranno per sempre. Il vento non accarezza l’erba, ma scuote, e con violenza, l’orzo.
DONATA SALA
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Siamo alla fine degli anni ’10 e l’Irlanda non ha pace. La lotta contro l’odiato occupante inglese porta alla proclamazione
della Repubblica irlandese, ma il trattato stipulato non soddisfa tutti e la guerra riprende, stavolta irlandesi contro
irlandesi. Il titolo elegiaco-bucolico non inganni: nel nuovo film di Loach (premiato con la Palma d’Oro a Cannes) ogni
singola sequenza (e le eccezioni si contano davvero sulle dita di una mano) contiene uno o più conflitti, la lotta invade
ogni spazio della natura o abitato dall’uomo, e il conflitto permea ogni ambito dell’agire umano: politico, sociale,
economico, religioso, militare, individuale (tra individui ma anche tra individuo e la propria coscienza). Quando il
conflitto si fa letteralmente fratricida, il cinema politico e pragmatico di Loach sembra prendere una via di fuga tragica,
e la sua componente pessimistica assume una dominanza cupa e nichilista. Al di là della contingenza storica, in un mondo
in cui vige la legge dell’homo hominis lupus, non sembra possibile nessuna soluzione definitivamente pacificatoria: ogni
conflitto ne contiene e talvolta ne nasconde altri; ogni soluzione ad un conflitto ne genera di nuovi e non meno cruenti.
Un cinema che sa coniugare classicità e modernità, autenticamente problematico e dialettico, dove gli scontri verbali non
sono meno intensi e cruenti di quelli a fuoco.
MAURO CARON
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In un clima culturale di moniti storici, politici e sociali che comprende riflessioni sentite e revisionismi di circostanza,
Ken Loach sceglie di rievocare la lotta irlandese degli anni Venti contro l’oppressione britannica. Impossibile non pensare
al discusso coinvolgimento inglese in Iraq.
Scabro, quasi didascalico nell’attacco, il film procede a scatti per una mezzora, finché lo spessore etico e sentimentale
della vicenda non travolge ogni considerazione formale. “Il vento che accarezza l’erba” mostra gli orrori della prepotenza,
l’assurdità della guerra, la labilità della coerenza ideologica, il ripetersi sempre uguale delle violenze. Un groviglio di
dolore indifendibile, che si avvita su se stesso, sostituendo i cattivi con buoni trasformati in nuovi cattivi. Il soggetto
è forse solo l’inevitabile svolgersi della Storia, costretta attraverso passaggi incomprensibili, che lasciano morti,
sofferenze, abusi, fatti e scelte che travalicano qualsiasi spiegazione. “Così è perché Dio lo vuole”, finisce talvolta per
essere l’unica soluzione per demandare ad altri la responsabilità di ciò che non si sa più difendere.
Un film più utile, commovente e bello (in ordine decrescente). Di fronte a certe espressioni, la valutazione estetica
diventa marginale.
DAZEROADIECI 7
SAMUEL COGLIATI
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