Il piccolo Vincent Malloy vive sognando di essere Vincent Price, icona dell’horror-movie. Vuole una vita fatta di spaventose
avventure, mostri orripilanti e creature immaginarie, in cui l’idea di salvezza è rappresentata dalla solitudine. Un mondo
contrassegnato dall’inchistro nero e indelebile delle poesie di Edgar Allan Poe. Primo cortometraggio realizzato dal
24 enne Tim Burton. Sei minuti preziosi e fondamentali fatti di mutazioni e ribaltamenti, invezioni e sorprese, frasi
poetiche e citazioni cinematografiche, per entrare a stretto contatto con lo stile visionario del regista. Vincent è a
tutti gli effetti la prima impronta autoriale e distintiva dell’artista di Burbank, capace fin dagli esordi di fondere
estetica melodrammatica e arte espressionista, viaggi allucinati e romantica amarezza. Il narratore che recita la
filastrocca nella versione originale è lo stesso Vincent Price.
FRANKENWEENIE
il più horror?
(di Matteo Mazza)
Dopo la proiezione casalinga del suo primo esperimento cinematografico, Monster From Long Ago, il ragazzino Victor
festeggia l’evento con i propri genitori e il cane Sparky. Tragicamente il cane Sparky (=luccicante) viene travolto da una
macchina e muore. Victor, ispirato dalla lezione di scienze e dall’esperimento di Galvani, lo porterà di nuovo in vita.
Favola horror ispirata al vecchio cinema fantasy, firmata Tim Burton e prodotta dalla Walt Disney. Qui Burton ribalta le
costanti, i fattori ma non i concetti, del cinema di James Whale, parafrasando film cult come Frankenstein e La moglie di
Frankenstein. Secondo progetto del regista lungo circa trenta minuti, tanto commovente quanto simpatico è una riflessione in
chiave parodistica della morte. Negli Usa fu vietato ai minori di 12 anni non accompagnati. Prodotto dalla Walt Disney.
Nel cast oltre al piccolo Barret Oliver divenuto famoso grazie al film La storia infinita, sono presenti pure Shelley Duvall
e Sofia Coppola (giovanissima e irriconoscibile).
PEE WEE’S BIG ADVENTURE
il più cartoon?
(di Matteo Mazza)
Alla ricerca della sua bicicletta rubata, Pee-wee percorre gli Stati Uniti finendo negli Studios della Warner. Qui firma un
contratto per un film sulla sua storia. Il primo lungometraggio di Tim Burton, ai tempi ventiseienne, è prodotto dalla
Warner. Farcito di citazioni cinematografiche il film è uno spassoso gioco stralunato che alterna sequenze da commedia
slapstick a invezioni cartoonistiche. Pee-wee mostra già i lineamenti dei personaggi burtoniani perché in fuga dalla realtà,
creatura tragica e repellente. Emarginato, sempre fuori luogo, quasi antipatico per i suoi eccessi, Pee-wee è un essere
solo, tanto sconvolgente per la sua idiozia quanto surreale per la sua diversità. Esordio come compositore per Danny Elfman.
BEETLEJUICE
il più zombie?
(di Matteo Mazza)
I giovani sposi Barbara e Adam muiono in un incidente e tornano ad abitare nella loro casa sotto forma di spettri.
Disturbati dai nuovi inquilini, una famiglia di odiosi borghesi, decidono di contattare il “poco di buono” spirito
Beetlejuice (=succo di scarafaggio) per spaventarli e cacciarli da casa. Secondo lungometraggio di Tim Burton, grande cast
(Michael Keaton, Geena Davis, Alec Baldwin, Wynona Ryder, Jeffrey Jones) e primo grande successo commerciale. Questo è uno
dei primi tasselli stralunati del regista. Frullando espressionismo e pop art, effetti speciali e gag esilaranti, Burton
realizza una prima effettiva contaminazione di vita e morte. Comincia a prendere forma uno sguardo sempre più focalizzato
sulle diversità, le apparenze, le certezze e le invenzioni. Impronte tangibili e profonde: la musica di Danny Elfman, il
bianco e nero, il plastico, lo humor nero. Oscar per il make-up.
BATMAN
il più fumettistico?
(di Matteo Mazza)
Fumi minacciosi e imponenti grattacieli avvolgono la claustrofobica Gotham City, piena zeppa di malviventi. Batman, l’uomo
pipistrello, alterego del miliardario/orfano/scapolo Bruce Wayne, è il giustiziere con maschera e mantello che vive
nell’ombra. Il suo nemico principale è il Joker, uno psicopatico che si vuole impadronire della città. Burton traduce
visivamente le avventure del famoso personaggio dei fumetti creato da Bob Kane e apparso per la prima volta nel 1939 sulla
rivista Detective Comics. Dall’occhio del regista nasce questo allestimento dark e postmoderno dove lo sguardo è
contaminato in ogni direzione. Frullato di generi (dal noir al poliziesco, dal fantasy alla commedia, dall’horror
all’adventure movie), viaggio nell’arte (il Joker salva solo il drammatico e sanguigno Francis Bacon), gioco di colori e
musica. Il profilo dei personaggi è fondamentale per penetrare nella mente del regista. Da qui in avanti l’uomo di
Tim Burton è un antieroe emarginato. Campione d’incassi nel 1989: più di 250 milioni di dollari d’incasso sul mercato
nordamericano. Oscar per la scenografia. Ottimo cast, su tutti Jack Nicholson.
EDWARD MANI DI FORBICE
il più favolistico?
(di Matteo Mazza)
Edward vive solo nel suo castello. Suo papà è morto prima di finirlo, così al posto delle mani si ritrova un paio di forbici.
Un giorno entra nel castello una donna che decide di adottarlo. Inizialmente il vicinato lo accetta, poi si scatena contro
di lui a causa delle evidenti diversità. Burton realizza il suo primo capolavoro sotto forma di favola dark. Il melodramma
tanto tenero quanto crudele sintetizza affettuosamente i segni e i sogni del regista di Burbank, che traduce in realtà
tutte le sue ossessioni. La storia del “diverso” Edward (dal viso dolce e cicatrizzato di Depp) è la rappresentazione totale
del suo cinema, fatto di creauture dal cuore gonfio di sentimenti e desideri ma esasperatamente soli e indifesi. E’ un
viaggio nei sentimenti attraverso il cinema, i ricordi le carrellate “aeree” sopra un quartiere “plastico”. Metamorfosi
dell’uomo e visione parallela della vita: chi sono i veri pupazzi? Chi sono i veri burattini? Esaltante nella costruzione
del mondo. Esilarante nelle invenzioni: dalle tosature ai cani, all’estetica del giardinaggio. Edward è infinito. Come
essere non finito (carne) che vive in eterno (tempo). Uomo creato e creatore (della neve).
BATMAN IL RITORNO
il più mascherato?
(di Matteo Mazza)
A sconvolgere la tranquillità di Batman questa volta sono due creature: il Pinguino e Catwoman. Lui è un essere deforme
abbandonato dai genitori e cresciuto nelle fogne che medita una vendetta contro Gotham City. Lei, invece, è una donna dalla
doppia personalità in bilico tra bene e male. Straordinario ed emozionante. Comico e avvincente. Fumettistico e
gangsteristico. Burton sintetizza perfettamente la genialità delle sue idee lasciando un impronta decisa sul tema del
diverso. Solitudine, umiliazione, riscatto, il doppio e la maschera. Alchimia perfetta di invenzioni visive e
melodrammatiche psicosi. Ancora più convincente del primo episodio, il film trova la sua fortuna nella mescolanza dei tre
protagonisti, amari e cupi, romantici e passionali, estremamente soli e necessariamente in costante ribellione. Decisamente
uno dei migliori film del regista.
ED WOOD
il più feticcio?
(di Matteo Mazza)
Un viaggio nella storia a riscoprire la Holliwood anni ’50, dove, fra gli altri, c’era pure Edward D. Wood junior, il
peggior regista di sempre. Uomo dallo scarso talento, eterosessuale travestito, divenuto celebre per aver realizzato i film
più brutti della storia del cinema. Da Glen or Glenda a Plan 9 from outer space il film è uno scorcio nella
vita dello strampalato regista, ottimista inguaribile, senza soldi e circondato da un gruppo di “strani” individui. Burton
realizza in uno splendido bianco nero (come sempre esteticamente evocativo e simbolicamente significativo) l’epopea di Ed
Wood celebrando il cinema di serie Z tanto caro alla sua infanzia. Il risultanto è spassoso. Come al solito zeppo di
citazioni e con un cast ispirato, il film riflette e perlustra le osessioni burtoniane da cima a fondo. Burton gioca
affettuossamente con il cinema. Lo ribalta, gli da forme bizzarre e svitate. Proprio come faceva il suo eroe.
MARS ATTACKS
il più marziano?
(di Barbara Aronica)
La terra è invasa dai marziani! Tim Burton mette in scena, con cinismo e pungente sarcasmo, un’umanità in preda al panico e
assolutamente incapace di affrontare la situazione, dove gli eroi del caso si rivelano essere un ragazzino e la sua nonna,
amante della musica hawaiana di Slim Whitman, vera arma di distruzione di massa per gli invasori extraterrestri. Così, gli
unici personaggi che riescono a scampare all’attacco marziano e all’“attacco” burtoniano, sono dei veri e propri outsiders,
o cosiddetti “perdenti”, emarginati e dileggiati dalla società o dalla stessa famiglia. Ne esce un ritratto quanto mai
amaro e crudele dei cosiddetti valori americani, del patriottismo, dello Stato, perfettamente rappresentato da Jack
Nicholson nella veste di un imbelle presidente degli USA, degli “intellettuali”-scienziati e della stessa opinione pubblica,
più preoccupata del “trucco e parrucco”, piuttosto che di informare. Il regista abbandona così il filone gotico-fabulistico,
per rimaneggiare in termini parodici la tradizione fantascientifica, il tutto condito con una buona dose di macabra e
sottile ironia.
SLEEPY HOLLOW
il più tenebroso?
(di Matteo Mazza)
Ichabod Crane, poliziotto dalle idee innovative e progressiste e dai metodi razionalisti, è inviato dalla città di New York
in un paesino nella valle dello Hudson per indagare su una serie di misteriosi omicidi. Le vittime sono tutte decapitate e
gli abitanti del paese attribuiscono le colpe al fantasma di un cavaliere senza testa. Crane intuisce che la chiave del
mistero è nella famiglia Van Tassel. Burton realizza il suo ottavo lungometraggio dando forma al tanto caro mondo gotico.
Il regista fonda con maestria gusto macabro e romanticismo. Il risultato è calibrato. Molto spettacolare e suggestivo.
Affascinante, virtuoso e raffinato. Manca però il senso poetico e il pathos dei suoi migliori film. Comunque divertente.
PLANETS OF THE APES
il più animalesco?
(di Matteo Mazza)
Il capitano Davidson è risucchiato da una tempesta magnetica e precipita, secoli dopo, su un pianeta governato dalle scimmie.
Gli umani, razza inferiore, sono in schiavitù. Più che un remake del film del 1968 è una specie di rivisitazione in chiave
kubrickiana. L’accento è sul rapporto uomo/macchina e sulla polemica contro il potere. Il film meno aderente al Burton
style perché quello più esigente d’incasso. Grandi trucchi e maestose scenografie. Sul set Burton incontra Helena Bonham
Carter, sua futura (e attuale) compagna/musa ispiratrice.
BIG FISH
il più onirico?
(Di Isabella Aragona)
Big Fish è un film che se chiudi gli occhi e cerchi di ricordarti una scena, immediatamente senti sciogliersi la tenerezza
e ti viene voglia di rivederlo. E non si tratta di un ordinario desiderio di evasione nello straordinario, ma della
necessità di far entrare la magia nell’esistenza. Un vecchio commesso viaggiatore lo ha fatto, e ha raccontato balle in
quantità alle persone a lui care: ha incontrato una strega che vede nel suo occhio le circostanze della morte di ciascuno,
ha conosciuto altre creature strabilianti, nani, giganti, gemelle siamesi, e ha cercato di catturare l’incatturabile pesce
del titolo con il suo anello d’oro. Il figlio, che vive lontano e che ha sempre rifiutato questa dimensione della vita del
padre, accorre quando il vecchio sta per morire, e si lascia lentamente travolgere dalle sue frottole, accompagnandolo in
una fine poetica popolata da tutti gli esseri che hanno fatto parte della vita (o dell’immaginazione?) di suo padre. Un
cast prestigioso (Ewan Mc Gregor, Albert Finney, Jessica Lange, Steve Buscemi), un film raro che racconta storie, visioni,
sogni, l’esistenza stessa.