Titolo originale: The Departed Regia: Martin Scorsese Sceneggiatura: William Monahan Montaggio: Thelma Schoonmaker Musica: Howard Shore Fotografia: Michael Ballhaus Interpreti principali: Leonardo Di Caprio, Matt Damon, Jack Nicholson, Mark Wahlberg, Martin Sheen, Ray Winstone
Vera Farmiga, Alec Baldwin Origine : Usa, 2006 Durata: 149'
Colore
Collin Sullivan (Matt Damon) e Billy Costigan (Leonardo Di Caprio) vogliono fare i poliziotti. Ma prima di volerlo, devono
esserlo. Il primo, protetto e allevato dal boss Costello (Nicholson) fin da piccolo, riesce ad entrare dalla porta
principale della Polizia di Boston, fa carriera e lo diventa. Il secondo, dal passato meno scandito con famigliari sporcati
dalla mafia, entra, ma soltanto dal retro e viene scelto come spia in un'operazione speciale per catturare proprio
Costello. La vita dei due infiltrati, entrambi senza una vera e propria identità, in lotta per il bene e per il male, si
sfiora di continuo fino all'impatto fatale. Scorsese dopo The Aviator, rielabora una storia di successo di Hong Kong
(Infernal Affairs di Andrew Lau) e torna a riflettere sui temi che hanno contraddistinto sempre la sua filmografia,
ma anche la sua vita: la mafia, il denaro, i gangster, i preti, le donne, il raporto padre/figlio, il gioco del doppio, le
menzogne e le false verità. La straordinarietà di The Departed è forse nella sua contemporaneità. E' evidente che qui,
Scorsese, un pò nostalgicamente e un pò per non rischiare, torna a sfruttare i codici del suo cinema con vere e proprie
citazioni (dall'allenamento nella cella di Cape Fear, fino alla morte crocefissione di Mean Streets, dalle
esplosioni stile Goodfellas alle discussioni in auto modello Taxi Driver o Casinò), ma ciò che più
sconvolge lo sguardo è la forte aderenza con la realtà attuale. Il gioco di finzione che Scorsese crea all'interno di un
organo di giustizia, la Polizia intesa come simbolo, rievoca il tentativo che sempre rimane sfumato nel cinema del maestro
italo-americano, ovvero la personale riflessione sull'America. I due uomini che vogliono la giustizia rappresentano, in
maniera decisa, due modi, due atteggiamenti, due identità che l'America stessa possiede: una corrotta, l'altra no. Una
infangata e costruita sulle bugie, l'altra no. Una illusa ma al centro e potente, l'altra accantonata, nascosta e
apparentemente debole. Ma come Nicholson spiega all'inizio al giovane chierichetto Damon, l'importante è possedere una
pistola carica, se poi sei guardia o ladro non conta. E questo è il lato realistico, disincantato, tremendamente vero
dell'America scorsesiana. Ma anche del cinema scorsesiano, come infatti tende a sottolineare l'ultima sequenza del film
(anche qui si trova l'inevitabile riferimento a Joe Pesci in Goodfellas quando spara alla mdp, citando sua volta,
The great train robbery di Porter). Grande cinema, grande azione, grande concerto visivo, pur non raggiungendo i
livelli di Casinò e Goodfellas. MATTEO MAZZA
Martin Scorsese fa coppia ancora con Leonardo Di Caprio, non risparmiando lunghi metraggi di pellicola per il racconto.
Così, dopo i fluviali e irrisolti affreschi di Gangs of New York (167') e The Aviator (170'), ecco i 150
minuti di The Departed, letteralmente "i defunti", storia di crimine e anticrimine dagli incerti crinali morali in
quel di Boston. Antagonisti due poliziotti infiltrati: Billy Costigan (Leonardo Di Caprio) lavora sotto copertura nella
gang del temibile boss mafioso Frank Costello (Jack Nicholson), alle cui dipendenze lavora però il poliziotto Colin Sullivan
(Matt Damon), spregiudicato arrivista. Finirà in un bagno di sangue. La critica si è particolarmente eccitata davanti
all'ultima fatica del regista italoamericano - remake dell'hongkongese Infernal Affairs di Andrew Lau e Alan
Mak -, inneggiando il ritorno di un maestro che sembrava essersi un po' smarrito negli ultimi tempi. I paragoni con
Quei bravi ragazzi e soprattutto Casinò, al di là della lunghezza ancora fluviale della narrazione (146'
il primo, 170' il secondo), sono però impropri, perché The Departed non possiede la loro avvolgente profondità né
lo stile "isterico", né la problematicità e il fascino di alcuni personaggi. Ciò nonostante, e al di là di una prima parte
molto verbosa che fatica ad ingranare, è indubbio che il ritorno al genere che è più nelle sue corde (il crime movie
paranoico e sovraeccitato) gli abbia sensibilmente giovato: lo stile è secco e teso, la tensione alta (specie nella seconda
metà), i contrasti - di figure, istituzioni e contesti - violenti, le interpretazioni (nonostante il gigioneggiare di
Nicholson e le attitudini ampiamente sopravvalutate di Di Caprio) efficaci (notevole ad esempio Mark Wahlberg). Nella
sarabanda dei doppi ruoli e delle identità multiple, dei doppigiochi professionali e morali, dei tradimenti e delle
collusioni, si respira aria d'instabilità e un vivo senso di smarrimento. La moltiplicazione del doppio fondo di una
realtà senza possibilità di redenzione sembra infatti avere un solo sbocco, per non dire risoluzione: la strage come punto
zero di non ritorno. Perché davanti ad una pistola, così come peraltro dietro, bene e male confondono i loro contorni fino
a diventare qualcosa d'inscindibile e d'indecifrabile. MASSIMO ZANICHELLI
La polizia ha infiltrato un agente sotto copertura nella gang che ha infiltrato un proprio informatore tra la polizia.
Scorsese rifà l’hongkonghese Infernal Affairs impaginando un noir che sembra una tragedia elisabettiana con
conflitti generazionali e di potere, sangue e morte, identità shakespearianamente travestite e contese; e nello stesso
tempo sistema un gioco di specchi in cui quasi ogni elemento è doppio e speculare (a cominciare dai due protagonisti
accomunati dallo stesso tipo fisico ma con l’eccezione della donna, unica per due contendenti); e nello stesso tempo rifà
un romanzo di formazione criminoso alla Goodfellas (ma senza l’ironia e la “leggerezza” di quest’ultimo); e nello
stesso tempo racconta un apologo nero e pessimista in cui gli uomini muoiono e i topi ci sopravvivono; e nello stesso tempo
gira grande cinema come lui sa fare, di quello raro in grado di mettere d’accordo (in positivo) critica e pubblico.
Ambienta il tutto in una Boston insolita, squallida e periferica, dirige un cast maschile di tutte stelle in cui spicca un
Nicholson patrignesco laido e malvagio e firma quello che secondo me non è il suo capolavoro – come qualcuno si è
sbilanciato a dire -, ma è cinema da vedere. MAURO CARON
Un ritmo che per una buona mezz’ora definire incalzante è un eufemismo, una generosa messe di turpiloqui e dialoghi
“trash-brillanti” in perfetto american style, una colonna sonora avvincente e potentissima, violenza a go-go (ma con
classe). E’ la miscela deflagrante che fa di “The departed” una pellicola destinata a divenire un classico dell’azione
mafio-poliziesca. Scorsese forse indugia troppo nel concederci il sospirato finale (il vero momento banale, dopo 149’),
ma l’intreccio-incrocio di identità per cui a un certo punto non si sa più chi sia il buono e chi il cattivo è riuscito.
Riesce anche grazie a un gioco stuzzicante che ruota attorno alla presenza scenica dei telefoni cellulari e ai rodatissimi
richiami di sesso, violenza e virilità. Tant’è, nel guazzabuglio infinito dei film d’azione a stelle e strisce, The
Departed si distingue per raffinatezza e savoir faire, e non si dimenticherà subito. Buono il cast, con un Matt
Damon credibile, un Leonardo Di Caprio che si avvicina a un attore e un Jack Nicholson coerentemente pirotecnico, che
frutta al lungometraggio mezzo punto in più.
DAZEROADIECI: 7,5 SAMUEL COGLIATI