Può un pinguino salvare il mondo? Questa sembra la domanda fondamentale del film di
George Miller, che, sotto la patinata
superficie del musical, narra una storia in cui si incrociano piani diversi. La vita dei pinguini imperatore viene descritta
in modo molto realistico come nel documentario “La marcia dei pinguini”, il disagio di Mambo, pinguino nato con il ballo
nel sangue, ma senza la voce per la canzone del cuore, ballo di accoppiamento dei pinguini Imperatore, sembra ispirarsi ai
teen movie americani, e in particolare a “Footloose”.
Nella descrizione della comunità di pinguini, guidata da un gruppo di anziani bigotti, che vede in Mambo, che non si integra
nella comunità, un pericolo per l’intero branco e in nome della sopravvivenza lo mette al bando sembra quasi che Gorge
Miller abbia voluto rappresentare l’America puritana dei Teocon dell’aera Bush, contrapposta invece alla comunità, più
aperta, dei pinguini Adelie, che rappresentano gli ispanici di nuova immigrazione negli Stati Uniti.
L’ultimo piano, forse il fondamentale del film, è la lotta di Mambo per scoprire come mai il pesce sparisce mettendo in
pericoli al sopravvivenza degli animale artici, trovandosi così a scontrarsi contro il peggiore nemico che il mondo animale
abbia, cioè l’essere umano. E così, dopo “
La gang del bosco”, ecco un altro film di animazione che tratta del rapporto uomo
natura in cui è l’umanità a fare la parte del cattivo. A differenza del cartone Dreamworks però, qua si persegue una
maggiore adesione alla realtà grazie al motion capture, che lo avvicina al documentario, soprattutto nella descrizione dei
mammiferi marini, mischiando anche riprese dal vero nella parte ambientata a New York. Un film complesso, adatto forse ad
un pubblico più adulto, che lascia alla fine un vago senso di inquietudine, anche se forse un pinguino può veramente
salvare il mondo.
DAZEROADIECI:7
DONATA SALA