I trucchi e i segreti di Happy Feet, raccontati dal regista George Miller.
Se Babe è stato il film del maialino parlante, allora questo è il film del pinguino ballerino. Come è nata l'idea di inventare il mondo di Mambo, il pinguino ballerino di Happy Feet?
Mi è venuta l’idea della storia di un pinguino imperatore, per caso grande ballerino di
tip tap dopo aver guardato numerosi documentari sulla vita degli animali in Antartide. C’è una sola cosa che mi attrae in un progetto, sia che si tratti di Interceptor che di favole su maialini e pinguini, il potere della storia. La storia è la vera regina! La cosa affascinante del lavorare in un film è che puoi entrare in qualsiasi mondo, ma ciò che cercherai sempre di trovare sono le storie più significative. Così per me non c’è molta differenza tra Interceptor, Babe o, appunto, le creature di Happy Feet. Sono stato sempre attratto dalla natura epica dell’Antartide. Circa dieci anni fa, quando ho visto Life in The Freezer, il documentario BBC/National Geographic sui pinguini, mi colpì il fatto che in esso vi fosse una grande storia. I pinguini vivono vite talmente straordinarie, fortemente allegoriche rispetto a come ci comportiamo noi in quanto esseri umani. Il modo in cui sopravvivono all’altro capo del pianeta, stringendosi uno accanto all’altro per difendersi dal freddo, dividendosi il calore, cantando per trovare un compagno. Alle nostre orecchie, suona come uno schiamazzo, ma per ciascun pinguino, è come una canzone. Ci sono circa 25.000 uccelli sulla calotta di ghiaccio dell’Antartide, ciascuno con una canzone che appartiene solo a lui, e in qualche modo uno riesce a riconoscere l’altro in quella cacofonia. La storia segue il nostro personaggio principale dal momento in cui i suoi genitori si mettono insieme, poi lo schiudersi del suo uovo e la sua infanzia, attraverso la sua adolescenza e le esperienze che fa per trovare la sua strada nel mondo. Nella comunità del Pinguino Imperatore, l’eroe di Happy Feet, Mambo, è nato incapace di cantare. I suoi genitori lo portano da una insegnante di sostegno che lo incoraggia ad esprimere i suoi sentimenti più profondi. Ma questi vengono fuori sotto forma di tip tap, cosa considerata dalla sua comunità come un pò stramba. L’uso dell’idea del Canto d’amore ci ha permesso di inserire musica e balli nella storia, oltre a canzoni classiche e contemporanee, così come diversi stili di ballo. La lavorazione di Happy Feet ha avuto inizio molto prima che La marcia dei pinguini fosse distribuito. Il fatto che il documentario abbia avuto tanto successo è stato molto positivo perché ha aiutato a stimolare l’interesse per il nostro film di animazione sui pinguini.
Inizialmente, quando ha cominciato a pensare ad Happy Feet, non lo immaginava come un musical.
Mentre concepivo questa storia, mi sono reso conto che dato che il Pinguino Imperatore trova la sua anima gemella con un canto dovevano esserci delle canzoni nel film. Quando è venuto fuori che Mambo non era in grado di cantare ma di ballare, ho capito improvvisamente che mi trovavo di fronte ad un musical. Mi piace definirlo un musical per caso. Happy Feet racchiude nella narrazione diversi generi musicali, compresi il rock, il funk, l’opera lirica, il rap, i canti liturgici, il pop, i gospel e la musica latino-americana. Dato che i pinguini sembrano praticamente tutti uguali, ciascuno di loro doveva essere caratterizzato da una voce particolare e, certamente, da canzoni particolari, così ho deciso sin dall’inizio di usare principalmente un repertorio di canzoni del ventesimo secolo. Judy Morris ha una notevole, enciclopedica conoscenza della musica; è come un iPod ambulante. Può rievocare qualsiasi motivetto o le parole di qualunque canzone non appena nominata. Nelle innumerevoli riunioni tenute per scegliere la musica, lei ha suggerito alcune scelte ispirate adatte alla nostra storia.
Ad aiutare a realizzare il sottofondo musicale del film è stato il celebre compositore John Powell. Si conferma la scelta del pop anche per riunire tutti i gusti...
Non ci serviva semplicemente un compositore per Happy Feet, avevamo bisogno di un musicista eclettico. Volevo qualcuno che non si sarebbe preoccupato di scivolare nella musica pop, e che non si sarebbe fatto intimidire da pezzi orchestrali più classici o dall’opera, o persino dal rap. John Powell conosce veramente la
world music, ed è abbastanza giovane come compositore da far ricorso a diversi tipi di musica e di generi musicali. John ha creato degli arrangiamenti incredibili. Per una delle canzoni di Gloria, abbiamo fatto un omaggio a Somebody To Love di Freddie Mercury dei Queen, una scelta perfetta per il tema del film. Ci siamo accostati a questo gospel; è stato molto emozionante ma anche davvero divertente. E’ stato incredibile lavorare sugli arrangiamenti con John. Per me è una straordinaria guida nella musica. Alcuni degli altri Canti d’amore del film comprendono: Do It Again dei The Beach Boys, My Way di Frank Sinatra (cantata da Robin Williams in spagnolo), e una versione di Kiss di Prince (cantata in duetto da Hugh Jackman e Nicole Kidman). Per quest’ultima è stato realizzato un vero colpo per il repertorio musicale del film.
Pare che quando ha pensato di cambiare le parole di Kiss (per renderle più “pinguinesche”), ha chiesto il permesso a Prince, inizialmente lo ha negato. Dopo aver visto una prima versione del montato del film, non solo il musicista ha acconsentito al cambiamento delle parole, ma gli è piaciuto talmente che ha composto una canzone originale per il film che si sente sui titoli di coda.
The Song of the Heart di Prince sarà anche nella colonna sonora di Happy Feet. Lo stesso album conterrà tantissimi artisti famosi, comprese la leggendaria Patti LaBelle, Yolanda Adams e Fantasia Barrino di American Idol, che cantano assieme I Wish; Pink che interpreta Tell Me Something Good; Chrissie Hynde e Jason Mraz che cantano una combinazione originale delle canzoni Everything I Own/The Joker; k.d. lang che interpreta Golden Slumbers dei The Beatles; il nuovo singolo di Gia Farrell, Hit Me Up; e la canzone dei Brand New Heavies Jump N’ Move. Anche la colonna sonora per orchestra di John Powell sarà contenuta in The Story of Mambo Happyfeet.
Nel realizzare Happy Feet, non si trattava solo di fare in modo che qualche pinguino ballasse, viste le imponenti sequenze musicali del film, con decine di migliaia di pinguini che si muovono contemporaneamente. Quali difficoltà avete incontrato nella realizzazione?
Ho dovuto pensare con una parte diversa del mio cervello. Il ballo non implica spesso l’uso di complesse equazioni matematiche. Per realizzare le migliaia di pinguini e i diversi stili di ballo del film, era necessario un numero relativamente limitato di ballerini da replicare molte volte. Prima di iniziare la produzione di Happy Feet, potevamo raccogliere informazioni in
motion capture per appena cinque ballerini su uno stesso set. Quando abbiamo finito, avevamo triplicato quel numero. Potevamo avere fino a 17 ballerini sul set vestiti con le tute per il
motion capture. Per realizzare la massa di pinguini che ballano sugli immensi set virtuali dell’Antartide, la Abbey ha dovuto suddividere il suo set per il ballo in una griglia definita. Ciascun blocco della griglia aveva più o meno le dimensioni di un campo da tennis, equivalente ad una singola sezione dell’habitat dei pinguini nel corrispondente mondo animato al computer. Stima che le ci sono voluti circa 50 “campi da tennis” per riempire quei set virtuali con migliaia di comparse pinguini in ciscuna sequenza. La Abbey ha dovuto realizzare le coreografie di una griglia alla volta e i ballerini hanno dovuto muoversi entro uno spazio limitato. Per il modo con il quale opera la tecnologia del
motion capture, i ballerini e la Abbey praticamente guidavano il modello del pinguino. Perciò c'erano dei ballerini che arrivavano ad un certo punto della musica su specifici segni di longitudine e latitudine nella griglia, quasi come nelle direzioni stradali o sulle cartine.
L’effetto risultante è quello di migliaia di pinguini che ballano contemporaneamente. Nonostante il loro numero, doveva sembrare che le comparse danzanti nelle scene di massa si muovessero in modo individuale.
Dato che non si possono realisticamente inserire in un piano di lavorazione le coreografie per molte migliaia di interpreti, abbiamo sviluppato un sistema che abbiamo chiamato Horde. Essenzialmente Horde assume informazioni dai gruppi più piccoli di ballerini per i quali la Kelley ha effettuato le coreografie e rende randomici i loro movimenti. E’ un trucco di
retiming che ridistribuisce in maniera organica i movimenti. Utilizzando un software chiave, si possono assemblare 30 o 40 elementi di
motion capture e replicarli per ottenere oltre mezzo milione di elementi. L’effetto è quello di pinguini che sembra stiano facendo gli stessi passi di danza con uno stile individuale. Inizialmente eravamo abbastanza orgogliosi del fatto di poter ottenere circa 10.000 pinguini.
Non solo Happy Feet ha un cast quantificabile in decine di migliaia di elementi, ma quel cast è composto essenzialmente da uccelli bianchi e neri che in via di principio possono sembrare tutti uguali.
Era evidente che uno dei nostri primi ostacoli sarebbe stato quello di come creare personaggi con una propria personalità a partire da un cast nel quale, se dovessimo attenerci alla realtà, sembrano tutti in qualche modo identici. E’ da qui che ha avuto inizio il processo di caratterizzazione dei nostri pinguini. Quando ci siamo occupati dei pinguini sullo sfondo, abbiamo variato il loro aspetto solo di poco. Per il loro aspetto fisico e il modo di muoversi, abbiamo davvero cercato di restare nei limiti di ciò che è osservabile in natura. La vera caratterizzazione è emersa nell’animazione dei volti in primo piano dei nostri personaggi principali. Molti dei personaggi presentano alcune piccole caratteristiche distintive, come il piccolo papillon di Mambo, o i suoi occhi azzurri, o le piume in cima alla testa di Ramon. L’animazione per
key frame è ciò che dà ai personaggi le loro leggere sfumature e crea le espressioni dei volti.
Un altro strumento utilizzato per garantire che le “star” del film non si perdessero nella folla è stato il modo di usare la macchina da presa nel film.
Abbiamo utilizzato uno stile per girare diverso da quello della maggior parte del cinema di animazione, perché le riprese in questo film sono piuttosto lunghe in confronto. Un film di media lunghezza ha circa 2.000 tagli; noi ne abbiamo circa 800. Il nostro film si sviluppa in lunghe riprese programmate per vivere la storia assieme ai suoi personaggi e per aiutarci a rintracciarli quando si confondono in una folla fondamentalmente monocromatica.
Animal Logic ha sviluppato un altro strumento per il motion capture chiamato lattice terrain adaptation, che vi ha permesso di stabilire in tempo reale come i personaggi interagivano con l’ambiente circostante.
Grazie al
lattice terrain adaptation, mentre guardavo gli attori davanti ad uno sfondo piatto nero, sullo schermo del computer apparivano invece sulla superficie del ghiaccio nella Terra dell’Imperatore o nella Terra di Adelie. Il computer ha creato le colline e le vallate virtuali del set, permettendomi di ottenere le interpretazioni ottimali nell’ambito di uno specifico paesaggio. Potevo vedere i personaggi sullo schermo salire su una collina, o anche rotolare giù da essa. Nessuno prevedeva questo salto tecnologico quando la produzione ha avuto inizio. Abbiamo dovuto innovare ogni giorno. E’ una cosa straordinaria per un regista. Hai questo mondo reale proprio di fronte a te e poi hai un mondo virtuale, e i due esistono simultaneamente. Puoi manipolarlo come più ti piace. Mi sento molto fortunato di essere vivo e lavorare come regista ora che questa tecnologia è disponibile. Non riesco a immaginare nessun altro modo per poter fare questo film.
Come per i personaggi, anche per il mondo animato di Happy Feet sono stati messi assieme una combinazione di elementi artistici e tecnologici per ottenere quello che viene chiamato foto-realismo.
Ho sempre pensato all’Antartide, visto che viviamo nell’emisfero meridionale. Dieci o quindici anni fa il continente bianco divenne più accessibile alle troupe dei documentari. La logistica era migliorata, l’equipaggiamento e le cineprese divennero tali da poter sopportare condizioni estreme, così vedemmo per la prima volta qualche straordinaria ripresa dei Pinguini Imperatore. Dall’inizio, abbiamo deciso di fare un film che fosse più foto-realistico possibile, dato che il paesaggio dell’Antartide è così maestoso e gli stessi pinguini sono così magnifici. Ci siamo consultati con il Dr. Gary Miller e, con l’aiuto dei neozelandesi, abbiamo inviato due spedizioni di ricerca giù nell’Antartide. Le troupe di ripresa e degli effetti visivi hanno registrato le
textures, la luce e i paesaggi, che sarebbero stati materiale per i nostri computer e ci avrebbero aiutati a creare il mondo della nostra storia. Ho discusso con tutti i nostri
digital artists a proposito dell’aspetto del film. Volevo che sembrasse così reale che mi sarei sentito costretto a dirigermi verso lo schermo per toccarlo. Sentivo che se avessimo potuto ottenere un aspetto che desse vita a tale impulso, se mi avesse spinto verso lo schermo del computer per tendere davvero la mano e provare a strofinare la pancia coperta di lanugine di un piccolo di pinguino allora ce l’avremmo fatta. Sono felice di dire che ho cercato di grattare più di una pancia di pinguini virtuali da quando abbiamo cominciato la produzione. Happy Feet ha richiesto quasi quattro anni di lavorazione e metà di quel tempo è stato impiegato ad impostare la lavorazione in digitale.
Il lavoro digitale implica la collaborazione con un numero magiore di persone. Come è stata questa esperienza?
Lavorare in un universo digitale è stata una rivelazione. Centinaia di persone esperte e piene di talento sono venute da ogni parte del pianeta per dare il massimo per questo film. La loro età media era di 26 anni. C’erano artisti provenienti da ogni parte delle Americhe, California, Alabama, Texas, Quebec, Paraguay, Messico. C’erano francesi, italiani, neozelandesi, tedeschi, inglesi, e persone dall’Africa, dalla Cina, dall’Iran, dall’Estonia, dall’India, da Israele e dalla Spagna. Era come essere alle Nazioni Unite. Molti di loro erano maghi della matematica oltre che artisti. Ciò che mi ha sorpreso è che solo pochi corrispondevano al cliché dei fanatici del computer. Alcuni fanno body building, arti marziali, corrono in moto, cavalcano tori nei rodei, sono veri musicisti classici o rock, e così via. Uno era persino un ginnasta a livello olimpico. Lo sforzo di creare un foto-realismo è stato applicato ad ogni livello della produzione. Abbiamo usato qualsiasi tecnica a nostra disposizione, spesso da sola o combinata ad altre. Abbiamo dovuto sviluppare programmi per il
rendering delle pellicce e delle piume, e poi per il grado di umidità delle pellicce e delle piume e per il modo in cui reagivano alla luce. Sapevamo che dovevano sembrare bagnate sott’acqua e asciugarsi lentamente durante una scena una volta che i personaggi tornavano a terra. Abbiamo anche dovuto far interagire i personaggi con il loro ambiente. Abbiamo creato strumenti d’interazione per permettere ai pinguini di lasciare impronte sulla neve quando camminavano, o per far loro sollevare la polvere quando ballavano. Mambo, è ricoperto da sei milioni di piume. La potenza di calcolo necessaria per questo progetto solo pochi anni fa sarebbe stato impossibile da realizzare. Abbiamo spinto al limite i computer. Siamo, come si dice, all’avanguardia nella tecnologia.
La straordinarietà del film è tale anche grazie alla resa dei paesaggi dell'Antartide. Luogo tanto affascinante quanto ostile.
Quando sono iniziate ad arrivare le sequenze finite dalle lavorazioni digitali, mi sono emozionato nel constatare che, nell’insieme, avevamo centrato l’obbiettivo. Per ottenere pienamente le immagini incredibili di questo lontano mondo di ghiaccio sono state organizzate due vere e proprie spedizioni nel continente antartico: una via nave diretta all’Antartide peninsulare con i suoi iceberg monumentali, l’altra, con l’appoggio dell’Antartide neozelandese, in aereo diretta verso il ghiaccio profondo del Mare di Ross. Sebbene bellissimo, l’Antartide è uno dei posti meno ospitali del mondo. E’ praticamente tutto ghiaccio e rocce. Perciò sapevamo che avremmo trovato paesaggi molto limpidi, puliti, essenziali. Per riprodurre fedelmente la bellezza del posto, avevamo bisogno del miglior materiale di riferimento possibile. Quando Brett Feeney ha sentito che ci sarebbe stato un viaggio in Antartide per acquisire materiali foto-realistici per la complessa ambientazione, si è offerto immediatamente volontario. All’inizio abbiamo effettuato test per vedere come si comportava la luce sui ghiacciai della Nuova Zelanda, ma poi abbiamo deciso di volere proprio l’Antartide autentico. Abbiamo fatto due viaggi per mettere insieme una montagna di materiale di riferimento. Abbiamo raccolto più di 80.000 immagini durante il percorso. Dopo alcuni mesi sul campo, Feeney è tornato con immagini che si sarebbero poi trasformate nel mondo di Happy Feet. Il materiale fotografico di riferimento è stato di enorme importanza per la creazione di
matte painting. Eravamo entusiasti per le incredibili forme e configurazioni raccolte. Abbiamo preso tutti questi stupefacenti ingredienti e li abbiamo mescolati, per integrarli perfettamente con le superfici texurizzate che abbiamo creato.