A Sesto San Giovanni a distanza di pochi giorni sono stati rappresentati due spettacoli teatrali simili sotto diversi aspetti.
Due storie di atleti, entrambe per certi versi anomale, ambientate nell’Italia di ieri o dell’altro ieri, che entrambe forniscono una visione dello sport e della società storica che l’ha prodotto, entrambe raccontate nella forma del teatro di narrazione da attori relativamente giovani.
Per altri aspetti, si tratta di due storie diverse, raccontate in modo diverso, dotate di una diversa “morale”.
La prima è la storia di Luigi Malabrocca, ciclista. La stagione di Malabrocca è quella della fine degli anni ’40, quando corrono campioni irraggiungibili come Coppi e Bartali. L’intuizione di Malabrocca è geniale: se non può essere il primo, allora sarà l’ultimo. E per esserlo adotterà ogni espediente: si nasconderà nei fienili per farsi superare, fingerà forature, si fermerà lungo il percorso a mangiare e bere o a fare quattro chiacchiere. I suoi record negativi gli frutteranno fama, successo, soldi. Su di lui si concentrano l’attenzione dei media allora, la simpatia popolare, e gli piovono addosso premi ai quali neppure quelli ai piani alti della classifica possono aspirare. In suo onore si inventa e si tesse “la maglia nera”, quella che dà il titolo allo spettacolo. In un’Italia uscita a pezzi della guerra, Malabrocca incarna il simpatico perdente, l’ultimo che soffre sui pedali ma arriva comunque al traguardo, l’atleta che non fugge inarrivabile ma che tutti potrebbero sperare di battere, l’italiano astuto che ha trovato il modo di cavarsela non con la forza delle gambe ma con l’ingegno. Smessa la maglia nera, diventerà poi campione di ciclocross.
La seconda è la storia di Carlo Petrini detto “Pedro”, centravanti. La stagione di Petrini è quella degli anni ’70, quando giocano campioni inarrivabili come Gianni Rivera. Ma il calcio ieri come oggi è sporco, malato, e Petrini decide di sporcarsi. Lungo l’Italia che assomma il boom economico degli anni ’60 alla caduta di molti freni inibitori negli anni ’70, il percorso di Petrini nel campo minato del calcio italiano è tortuoso, e le mine sembrano scoppiargli tutte sotto i piedi. Giovane promessa tra panchine e campi da gioco, cambia spesso squadra, accetta anche la serie B pur di guadagnare di più, e corre la sua carriera tra donne facili, doping, scommesse. Smesse le maglie da calcio e vestiti i panni di equivoco finanziere nei rampanti anni ’80, finisce nel mirino della malavita, scappa all’estero e non farà ritorno nemmeno per visitare il figlio morente. Oggi, emarginato da quello che fu il suo mondo, scrive libri per denunciare gli scandali di allora, per cercare un riscatto tardivo; lui che ce l’ha fatta, a sopravvivere, mentre tanti compagni sono da anni morti di doping.
Come si diceva, storie simili ma diverse (e in qualche modo speculari: l’ultimo degli sconfitti che diventa il primo, uno dei primi che diventa l’ultimo dei reietti) e stili simili ma diversi di rappresentazione.
Matteo Caccia racconta l’epopea della Maglia nera con compostezza, davanti ad un leggio. Ricorda i suoi studi di marketing quando deve spiegare il successo di Malabrocca, infila nella narrazione rare battute di dialogo, accenna alle figure di contorno per brevi accenni, con un uso discreto delle inflessioni dialettali quando occorre. La sua è una storia epica - bensì di un’epica all’incontrario, un’epica degli ultimi che in qualche modo saranno i primi - che si racconta quasi da sola, bastano un narratore onnisciente che dall’oggi guarda al passato e gli accordi di fisarmonica di Gianni Coscia a riprendere il ritmo e a restituire il senso del tempo attraverso la musica.
Alessandro Castellucci invece si agita sul palco, si identifica con il suo personaggio, diventa lui e parla in prima persona, lo veste e lo sveste con le diverse maglie di calcio, con l’accappatoio con cui si truffano i controlli anti-doping, con un impermeabile da tempi noir, con degli occhiali a goccia di chi si crede più furbo. Con il suo protagonista corre, salta, suda, si accascia, siede, esulta, manda a quel paese, truffa, trema, vive fisicamente la sua vita da avventuriero dai molti presenti ma senza futuro. Non solo, circonda Petrini incarnando anche i personaggi di contorno, spingendoli alla caricatura (come nel caso di Nereo Rocco o di Rivera), caricando di grottesco le inflessioni dialettali. La musica, dal rock acido dei ’70 alle ballate acide di De André, talvolta è talmente invadente da disturbare la comprensione del testo.
Scelte diverse certamente imputabili a diversi temperamenti di scrittorie d’attori. Ma chissà che l’Italia sporca e maledetta dei Petrini che vogliono arraffare tutto e subito ci sia molto più vicina, sia molto più attuale e viva rispetto a quella “storica” dei Malabrocca, ingenui furbi che non violano le regole ma le reinventano a proprio vantaggio.
E visto che siamo su un sito che si occupa soprattutto di cinema, una riflessione si aggiunge: come mai storie simili non ispirano al nulla al nostro cinema, sempre così a corto di idee? Qui ci sono storie con la s minuscola e con la S maiuscola, ci sono personaggi, occasioni d’attore, narrazioni, drammi e commedie, personaggi noti a tutti e passioni come quelle sportive dove tutti si possono riconoscere. E ci sono, possibili, delle morali da trarre.
Siamo di fronte al paradosso per il quale alla forma di spettacolo più ricca e potente dal punto di vista tecnico ed economico sembrano interessare soprattutto storie minimali, mentre la forma di spettacolo più minimale (quella del teatro di narrazione, un attore su un palco nudo) sembra appassionarsi a storie ricche ed importanti.
Pensando alle gesta di Malabrocca mi viene in mente la commedia all’italiana classica, dove il racconto popolare si sposa all’interpretazione critica della società contemporanea. Vedendo lo spettacolo su Petrini, penso alla possibilità di allestire una sorta di “Confessioni di una mente pericolosa” all’italiana.
Ne dobbiamo forse trarre qualche conclusione su quale sia la forma di espressione più attuale e viva, quale la meglio attrezzata intellettualmente e moralmente ad affrontare la storia passata per rileggere il nostro presente?
Che sia forse che di “menti pericolose” nel cinema italiano, al momento, non se ne vedono molte in azione?
Se avete voglia di dire la vostra…
LA MAGLIA NERA – Gesta e ingegno di Luigi Malabrocca
di e con Matteo Caccia, musiche di Gianni Coscia, presentato dal Teatro Filodrammatici di Milano
“La maglia nera” è stato rappresentato allo Spazio Mil di Sesto San Giovanni il 21 settembre e il 26 novembre 2006.
NEL FANGO DEL DIO PALLONE – La storia maledetta di Carlo Petrini, centravanti di serie A
di Giulio Baraldi e Alessandro Castellucci, regia di G. Baraldi, con A. Castellucci, presentato da Macrò Maudit.
“Nel fango del dio pallone” è stato rappresentato al Teatro Rondinella di Sesto San Giovanni il 5 dicembre 2006