Le piacevano i racconti de “Le mille e una notte” da bambino?
Li conoscevo solo vagamente. Avevo un libro per bambini «Aladino e la Lampada Magica». È solo più tardi che ho letto per intero la traduzione di questa versione, la più conosciuta, quella di Antoine Galland. L’opera ebbe un successo fulmineo nella Francia di Luigi XIV, successo che si diffuse in tutto il mondo grazie a questo adattamento francese, il cui stile raffinato – si trattava di compiacere la corte di Versailles- non riportava la truculenza dell’originale, ma che possedeva un suo charme. L’infatuazione mondiale ha toccato anche il mondo arabo, che non aveva mai preso in considerazione questa raccolta di storie popolari, e che si è messo a scriverne delle versioni originali, posteriori alla pubblicazione di Galland... In seguito ho letto la traduzione moderna di Roger Khawam, che era fedele allo stile originario. Le due versioni mi hanno incantato.
Come è nata l’idea di Azur e Asmar?
Fare un lungometraggio a cartoni animati, significa consacrare sei anni della propria vita ad un soggetto. Bisogna che ne valga la pena. Il soggetto che mi stava più a cuore? Da un lato, tutte queste persone che si detestano, che si fanno la guerra, dall’altro, gli individui, di entrambe le parti, che non seguono la corrente comune, e che si stimano, si amano al disopra di ogni barriera. È questo che mi tocca più profondamente. All’inizio ho pensato alla Francia e alla Germania, ma se ne è già parlato tanto, e ormai siamo in pace da diverso tempo, e non ho avuto voglia di ricordare questo passato penoso e trascorso. Avevo immaginato di inventare un paese nemico, con una falsa lingua straniera. Inventare un paese nemico, che pessima idea, quello si può trovare, e una lingua vera è molto più interessante! E ho pensato alla vita quotidiana in Francia e nel mondo. Non si trattava più di parlare di una guerra dichiarata, ma di un’animosità ordinaria, tra cittadini originari e cittadini recenti, e, spingersi oltre, ma parallelamente, tra occidente e medio oriente. Avevo trovato il mio soggetto! Una realtà bruciante, da trattare come fosse una fiaba meravigliosa. Osservo, con tristezza e con irritazione la falsa armonia generale, così artificiale. Conosco l’argomento, anche io sono stato stupidamente ostile, invece di essere felice : in effetti, dopo un’infanzia africana in una piccola cittadina, in una piccola scuola, mi sono ritrovato in una grande città, in un liceo che sembrava un formicaio, sotto un cielo grigio. Non conoscevo le regole, spesso venivo punito, sebbene fossi il più innocente di tutto il circonadario.
Per quale motivo veniva punito?
L’ho dimenticato! Ricordo qualche punizione per essere stato insolente. Probabilmente davo delle risposte nude e crude, senza aggiungervi la salsa che ci si aspettava che vi mettessi. Ho quindi rifiutato Angers e la sua lingua per dieci anni, dicendomi che altrove era meglio. Era falso. Era vero che Angers era grigia e umida in confronto a ciò che avevo conosciuto ! Ma è anche un universo ricco e bello, che teneva bene il paragone con ciò che avevo vissuto, e che avrebbe dovuto rendermi felice e appassionarmi. Me ne sono reso conto solo dopo una vita intera.
Nel film, ovviamente, sono l’eroe bello, puro, magnifico, dagli occhi azzurri e trasparenti, ma sono anche Raspù, che fa tutto di mal grado e sputa su quello che è, a tutti gli effetti, il suo paese.
Dunque è questa idea che l’ha portata a sviluppare l’universo estetico del film, e non il contrario…
Sì, sono partito da un desiderio morale e moderno. Le immagini di altri tempi, il Magreb e la civiltà musulmana sono arrivati dopo. Ma ero consapevole da lungo tempo dell’interesse della brillante civiltà islamica del medio evo, su un territorio immenso. In quanto francese, ho pensato che dovevo parlare prima di tutto del Magreb. Questo occupa infatti la maggior parte delle scenografie e dei costumi, ma ho giocato anche con tutti i tipi di elementi che mi piacevano, dall’Andalusia alla Turchia, senza dimenticare una piccola sosta in Persia.
Prima di tornare su queste ispirazioni, proviamo a riassumere le diverse fasi del lavoro di sei anni di cui ha parlato.
Prima di tutto viene il concepimento: trovare il soggetto e scriverlo. Una volta individuato un desiderio preciso, le cose vanno velocemente. Per Azur e Asmar, nel momento stesso in cui ho definito le relazioni franco-magrebine, ho pensato a dei fratelli di latte, con delle posizioni molto spiccate – uno ricco, uno povero – poi ho immaginato di cambiare i loro ruoli nel corso della storia. Ho scritto la prima stesura della sceneggiatura in due settimane. Successivamente, bisogna dedicarsi ad un enorme lavoro di documentazione e disegno. C’erano un centinaio di personaggi ben visibili, duecento comparse da stabilire. Disegno i modelli principali dell’animazione, ossia ogni personaggio di faccia, profilo, a tre quarti di schiena, di schiena, più qualche espressione e atteggiamento principale. Per i personaggi secondari, mi faccio aiutare. Ci impegniamo ad essere precisi, storicamente, geograficamente. Cosa che non impedisce peraltro di prendersi delle libertà, anche perché non ci sono immagini del Magreb tra il periodo antico e il XVI secolo, per proibizioni religiose. Parallelamente, elaboro tutto il film sotto forma di cartone animato, uno storyboard, o sceneggiatura in immagini, che stabilisce tutto ciò che succederà sullo schermo. Per questo mi ci è voluto un anno. Nel corso di questa fase, non appena possibile, invito dei collaboratori a partecipare alla messa in opera dell’animazione. Le 1300 scene del film sono state definite ognuna in un dossier differente in cui si trovano l’inquadratura, le principali posizioni dei personaggi nella scena, l’abbozzo della scenografia, l’indicazione dei dialoghi e dei movimenti di macchina. Questo lavoro, con una equipe ridotta, è durato due anni. Poi vengono la creazione delle scenografie, poi la messa in forma numerica dei personaggi, e l’animazione propriamente detta, che hanno richiesto un anno e mezzo. Si finisce con la post produzione, qualche mese…
Tornando alla trama: trae ispirazione da alcune favole quando fa intervenire dei personaggi come la fata dei Jinns, il Leone scarlatto o l’uccello gigante, che mi ha fatto pensare all’uccello roccia dei viaggi di Sinbad?
Azur e Asmar non trae spunto da alcuna favola. La fata dei Jinns è di mia invenzione, e anche il Leone scarlatto dalle unghie blu. Per i Jinns, la mia parte di invenzione è consistita nel dargli una figurazione precisa, in quanto non appaiono nelle immagini tradizionali. Il Saïmourh è un uccello mitico dei racconti persiani. Può avere altri nomi, come l’uccello roccia. Il tema dell’uccello enorme, che può trasportare le persone, ma anche mangiarle, appare spesso nelle favole. Quello che mostriamo noi viene direttamente dalle miniature persiane. È stato messo a punto da Anne-Lise Koehler, la grande artista che ha diretto le scenografie. L’altra persona che è stata presente sin dall’inizio, per assistermi sui personaggi e i layout, è Eric Serre. È diventato il mio aiuto regista, e lavorare con lui è una gioia. Queste due persone eccezionali avevano già avuto un ruolo determinate nella riuscita di Kirikù e la Strega Karabà.
Come ha fatto a procurarsi la documentazione sull’architettura, le piante e la cultura del Magreb, che le sono servite per creare la maggior parte delle ambientazioni del film?
Libri, libri e ancora libri ! Mi piace. Provo un piacere puro nell’immergermi in bei libri di immagini, anche senza l’alibi della professione. Ma internet ormai è un’altra fonte preziosa.
Si è ispirato anche ad alcuni monumenti per creare le scenografie?
Sì, mi servo delle grandi moschee di Istanbul per il finale. La loro architettura d’altronde si ispira a Santa Sofia, luogo di culto cristiano, tutto torna, e si accorda con il messaggio del film. Si riconosceranno anche dei monumenti dell’Andalusia, dei paesi del Magreb, elementi appartenenti a tutta la costa sud e del mediterraneo. Volevo che ci si rendesse conto che le scenografie erano state create partendo da elementi reali. Volevo dire alla gente: «Questi luoghi meravigliosi esistono: andate a vederli!».
Per l’appunto, è andato a vederli lei stesso?
Non sono mai stato in Andalusia e lo rimpiango! Ma sono andato appositamente nei tre paesi del Magreb prima di mettere a punto la storia.
E’ andato con un blocco per gli schizzi in mano?
Sì, ma soprattutto con una macchina fotografica! E in effetti ho trovato delle idee sul posto, alcune volte sbagliandomi. In particolar modo ho fotografato i fichi d’India da tutti gli angoli, dicendomi che erano magnifici e che sarebbero stati un comodissimo sfondo per la scenografia. Ma poi ho scoperto che queste piante sono di origine americana, e che erano sconosciute al nostro vecchio mondo nel medio evo ! ho quindi dovuto togliere con rammarico tutti i fichi d’india che avevo già immaginato nella scenografia ! Ho anche preso in considerazione i costumi di tutto il medio oriente.
A proposito, come ha fatto a trovare delle fonti iconografiche, visto che questa regione ha rispettato il divieto tradizionale di rappresentare la creature di Dio?
In effetti, non si dispone di alcun documento magrebino-andaluso, a parte alcune eccezioni che si contano sulla punta delle dita. Vi si ritraggono dei sultani vestiti con il costume tradizionale conosciuto, burnus e turbante. Sembra che nulla sia cambiato. Gli abiti tradizionali femminili di oggi evocano ancora quelli dei tempi dei romani: sono dei tessuti drappeggiati e fermati con delle fibule. Ho utilizzato questi indumenti, con un abbondanza di ornamenti berberi. I costumi dei due eroi, al contrario, dovevano avere un aspetto fiabesco. Li ho presi nella civiltà persiana, più precisamente dal XVI secolo (Damasco, Bagdad, l’Iran, avevano continuato l’arte delle immagini). È un imbroglio rispetto all’epoca, poiché la storia si svolge nel medio evo. L’imbroglio rispetto al luogo è minore, lo giustifico con la potenza di Jénane, diventata una grande commerciante. Le sue navi e le sue carovane percorrono in lungo e in largo una parte del globo, e può offrire a suo figlio l’ultima moda d’Ispahan. La cosa più importante, è che sia bello!
E questo è quanto concerne l’oriente. In altri momenti mi sono servito delle grandi fonti grafiche europee: quelli che per assurdità vengono detti "primitivi" fiamminghi. Non ci sono persone meno primitive di questi ipercivilizzati e dall’abilità diabolica. Van Eyck (l’Agnello Mistico) appare accanto a Jean Fouquet e ai Fratelli di Limburgo (le Ricchissime Ore del Duca di Berry). Cambiando totalmente epoca, ho preso in prestito dei procedimenti grafici dai cartellonisti tra le due guerre, che apprezzo molto.
Ha deciso subito di non sottotitolare i passaggi del film in arabo, per mettere gli spettatori nella stessa situazione del suo eroe?
Ho pensato sin dall’inizio all’ostacolo delle lingue, perché volevo mostrare la condizione dell’emigrato, per cui la barriera della lingua è una delle maggiori difficoltà. Così, in alcuni passaggi, cerco di non far capire, affinché ci si senta un po’ spersi. Ma la maggior parte delle volte, alterno le due lingue nel dialogo, e una risposta ci informa senza equivoci sulla domanda. Trovo anche che questa assenza dei sottotitoli sia un’eleganza… Ed è anche un regalo che faccio ai bambini, ascoltare lingue diverse. Penso che sia un avvenimento sonoro seducente.
Scrivendo una storia sul rispetto dell’altro, sulla scoperta di altre culture, sui pregiudizi, si preoccupa di raccontare una’avventura utile?
Sì. Cerco di fare del bene alla gente con questo film, di distendere le due comunità. Presento delle belle persone degne, e spero di dare della dignità alla gente. Se la gente si sentisse sicura di sé, nobile, non avrebbe bisogno di annullare tutto ciò che la circonda.
Pensa che le favole riuscite possano essere raccontate a dagli spettatori adulti sollecitandone il senso della meraviglia, e a dei bambini ai quali si parla delle cose importanti della vita?
Fa una domanda conoscendo già la risposta! Mi è stato chiesto spesso come facevo i film per i bambini. Il mio segreto, è che non faccio mai film per bambini, poiché i bambini non sanno che farsene dei film pensati unicamente per loro! I bambini hanno bisogno di imparare il mondo, di scoprire cose nuove. Non hanno bisogno di restare in un territorio conosciuto, né di una comprensione immediata. I miei film sono fatti per tutta la famiglia e sono felicissimo di riunire
tutti, ci sono alcune cose che non dico crudamente perché ci sono dei bambini tra il pubblico, ma dico tutto. Non potrei fare un film che non interessi anche me, oggi come oggi. Sono il mio primo spettatore, adulto e bambino, perché posseggo in me tutte le età!
Spesso presenta di profilo le piante che hanno una struttura geometrica, ama questa disposizione che evoca le tavole botaniche?
Ci siamo concentrati ad essere semplici ed esatti. Abbiamo scelto il punto di vista più eloquente, sia che si trattasse di fiori che di persone. Se voglio mostrare uno schermidore, lo mostro di profilo, è bello e di comprensione immediata. Di faccia, le braccia e le spalle spariscono. La leggibilità ed una certa precisione fanno parte del godimento. Abbiamo stilizzato liberamente i fiori, ma i botanici e coloro che hanno fatto la siesta nell’erba li riconosceranno.
Le architetture orientali, con i loro mosaici, le loro vetrate, le loro arcate, fanno un uso sorprendente della ripetizione dei motivi, della simmetria. Anche lei utilizza la simmetria in alcune scene del film, come quella che si svolge nel cortile del palazzo della madre, o quella iniziale, quando la nutrice tiene Azur e Asmar sulle sue ginocchia…
La simmetria all’inizio del film è necessaria, perché i due bambini sono uguali. Bisogna assolutamente che siano trattati allo stesso modo. La nutrice lo sa bene e lo vede : se una fetta della torta misura un millimetro più dell’altra, si protesta energicamente! Ma è vero anche che mi piace la simmetria, un certo equilibrio, una certa armonia.
Come è iniziata la collaborazione con Nord-Ouest su questo progetto?
Ho sperimentato nuovi stili con questo film. Una nuova tecnica, una nuova lingua, una nuova storia attuale, e una nuova produzione, con un produttore di film di fiction. Dopo varie esitazioni, ho proposto questo film a Christophe Rossignon, del quale avevo apprezzato diverse produzioni. Mi era stato raccomandato in particolar modo da Jacques Bled, uno degli incontri provvidenziali di questa opera: è a capo di Mac Guff Ligne, l’impresa esemplare di animazione numerica che avevo scelto, e dove ho trovato tutte le soddisfazioni. Pensavo quindi di poter comunicare bene con quest’uomo di cinema. L’intesa con Christophe Rossignon ha superato le mie speranze, un uomo tutto d’un pezzo, generoso, appassionato, circondato da collaboratori senza pari.
Mi può parlare della scelta degli attori che hanno dato voce ai suoi personaggi?
Avevo una direttrice di distribuzione che sapeva dove trovare le personalità, un’assistente per la parte in lingua araba, l’attrice Hiam Abbas (che ha poi fornito la sua persona e la sua voce al personaggio fondamentale della nutrice), e un numero impressionante di attori, con tutto il tempo che ci serviva. Avevo dato come indicazione «Non cerchiamo delle star, cerchiamo le voci che corrispondono alla storia». Quando si trattava di sconosciuti, non lo sapevo, perché facevo la prima selezione alla cieca, per mezzo di una registrazione, per non farmi influenzare da altro che dalla voce, il solo elemento che avrei utilizzato. Così ho scelto Patrick Timsit senza sapere il suo nome. Ho selezionato tre persone per ogni ruolo importante, poi ho incontrato le persone per lavorare con loro, e scegliere.
Come ha collaborato con Gabriel Yared? Come avete deciso i passaggi in cui sentiva che la presenza della musica era necessaria?
Ho subito pensato a Gabriel Yared, un grande musicista di cinema, e un grande musicista tout court. Possiede il profilo ideale, perché appartiene alle due coste del mediterraneo. Francia e Libano. Gli ho proposto il film, ha accettato subito, perché penso che la storia gli abbia parlato. Oltre al talento che conoscevo, ho scoperto un uomo di qualità, al di là della musica, con il quale lavorare è un privilegio. Avevo selezionato le scene in cui mi sembrava che la musica si imponesse, lui era d’accordo. Ha aggiunto qualche passaggio che gli era venuto naturale. Quando le musiche di Gabriel sono arrivate sulle mie immagini, è stato un miracolo: tutto corrispondeva, con l’aggiunta di una forza che in precedenza non c’era. Per esempio, la scena del Leone scarlatto, all’inizio, non era che una peripezia nel cammino degli eroi, ma la musica le da un valore ed una dignità che mi toccano profondamente. Invece, quando il dialogo possiede un’importanza particolare, è preferibile il silenzio. Sento due cose nella musica che Gabriel ha scritto per la mia fiaba: si viene trasportati irresistibilmente da una musica popolare composta da un professionista che conosce tutti i processi di un grande spettacolo, e contemporaneamente si viene toccati dalla delicatezza di sentimento di un artista dotato e sincero.
Ogni film è una nuova avventura. Cosa ha imparato nel corso di questa avventura?
L’animazione francese è la terza al mondo in quantità, ma viene fatta fuori dalla Francia, perché il mercato è migliore. Ma se si conta veramente tutto, tutto, la differenza è così importante? Quante spese aggiuntive, quanti gira e rivolta, quanta energia sprecata ai quattro angoli del mondo! E quanto è stupido avere tanti talenti, giovani e vecchi, nel paese, e non farli lavorare! E finanziariamente, non è vantaggioso avere un prodotto di qualità da vendere? Perché con Azur e Asmar ho conseguito una qualità formale che non avrei potuto ottenere diversamente. Ci siamo riusciti: ho girato tutto il film nella città in cui vivo, tutti i tecnici della troupe erano insieme, si capivano, si comprendevano e si sono dati a questa creazione, dall’inizio alla fine. Il film è stato consegnato alla data prevista, in completa armonia.
Forse sullo schermo si coglie tutto ciò.