FUORISCHERMO

 

PATRICE LECONTE
 
PATRICE LECONTE
Com’è nata l’idea che ha generato Il mio migliore amico?
L’idea è nata prima delle riprese de Les Bronzés, il giorno in cui Jérôme Tonnerre mi ha chiamato per dirmi che aveva per le mani una sinossi piuttosto sviluppata scritta da Olivier Dazat per Fidélité. Avevano bisogno di un regista e Jérôme ha pensato immediatamente che avrebbe potuto interessarmi. …E giustamente!. L’inizio mi è piaciuto moltissimo. Nello sviluppo dell’intreccio avevo qualche riserva, ma nonostante questo sono andato ad incontrare i produttori. L’incontro è stato molto positivo, subito dopo abbiamo iniziato a lavorare insieme per andare in una direzione che piacesse ad entrambi.

Cosa l’ha affascinata di preciso nella storia immaginata da Olivier Dazat?
Il concept del soggetto: la storia di un tale a cui viene detto che non ha amici, che protesta violentemente e che, per dimostrare il contrario, si impegna in una specie di scommessa assurda e astratta: mostrare agli altri questo amico che non ha! Ho pensato subito che fosse molto originale lanciare una scommessa su una cosa così poco scommettibile… E poi mi permetteva di parlare dell’amicizia e, soprattutto, della sua assenza. In fondo è come raccontare una storia d’amore. Si tratta solo di cambiare i nomi! Devo ammettere che se questo soggetto ha attirato immediatamente la mia attenzione… è anche perché creava delle risonanze intime con me stesso. Non che sia un film autobiografico… ma se mi si domandasse a bruciapelo che è il mio migliore amico, forse mi troverei in imbarazzo nel rispondere. Diversamente dal protagonista, però, questo non mi impedisce di vivere.

PATRICE LECONTE
Come ha lavorato alla scrittura con Jérôme Tonnerre?
Avevamo lavorato insieme già per Confidenze troppo intime… e abbiamo collaborato esattamente allo stesso modo. Il lavoro in coppia è semplice: ci si vede pomeriggi interi, si parla molto, Jérôme prende degli appunti e capisce dove voglio andare a parare. È un vero camaleonte. Alla fine mi ritrovo a mettere in scena un film che ha scritto lui, dove abbiamo discusso a due mani, ma che sento molto vicino a me. Riesce a mantenere il senso che voglio dare alla storia, senza tuttavia dimenticare di dargli il suo tocco personale.

Questo film è una mescolanza di generi, tra commedia e dramma. Questo elemento era presente in fase di scrittura?
No, quando abbiamo iniziato a scrivere pensavamo di trovarci molto più nella commedia. Poi, però, non sono riuscito ad accontentarmi della leggerezza su un tema, quello dell’amicizia, che mi appassionava così tanto. Mi è piaciuto immaginare, al contrario, un film che si trasformava completamente. Come un aereo che, in un meeting aereo, decolla normalmente e si ritrova, dopo una virata, a volare a pancia in su.

Ha scelto Il mio miglior amico dopo un film di tono completamente diverso come Les Bronzés…
Quando sto facendo un film, generalmente so già a cosa lavorerò dopo… senza per questo avere in mente un preciso percorso nella mia carriera. Ad ogni modo, sapevo che Il mio miglior amico sarebbe stato il film che avrebbe seguito Les Bronzés. E mi andava bene. Non ho più voglia di fare film troppo seri… la vita lo è già abbastanza. Ero felice di potermi immergere in un film di amicizia intimista dal sapore un po’ provinciale – anche se l’azione si svolge a Parigi. Con delle persone semplici. Senza voler considerare Il mio miglior amico una sorta di “best of” dei miei film precedenti, posso dire che in questo film ci sono molte delle mie ispirazioni.

Quando ha avuto l’idea dei due attori principali?
Ho pensato a Daniel praticamente subito. E’ talmente aperto e amichevole… che mi è sembrata un’idea originale farlo recitare nel ruolo di un uomo che non ha amici! Se avessi scelto un attore per il fatto che la situazione potesse apparire plausibile ai miei occhi non sarebbe stato giusto. Il gioco di sarebbe svelato troppo presto! E’ stato un po’ più difficile scegliere l’attore che potesse interpretare il personaggio di Bruno. Abbiamo avuto diverse idee in merito, ma avevo in mente Dany Boon da tanto tempo. Avevo assistito ai suoi spettacoli e desideravo da tempo lavorare insieme a lui. E poi è stato Daniel a spingermi ulteriormente in questa direzione, perché lo aveva trovato strepitoso ne La Doublure. Per entrambi era l’uomo giusto!

PATRICE LECONTE
Per quale motivo, più precisamente, lo volevate nel film?
Dany Boon rappresenta per me una persona semplicemente meravigliosa. Una persona luminosa, aperta. Avevo bisogno di questa semplicità. In lui c’è un approccio semplice – non semplicistico – alle cose, un modo di rapportarsi alle persone molto particolare. Ed era esattamente quello di cui avevo bisogno per il suo personaggio. Si può dire che Dany è entrato nel personaggio di Bruno come si entra in un bagno con la temperatura ideale!

L’intesa è stata immediata tra Daniel Auteuil e Dany Boon?
Il piacere di lavorare insieme è stato evidente da subito. Provavano una grande ammirazione l’uno per l’altro, oltre che amicizia e rispetto. Entrambi, inoltre, sono persone estremamente generose: hanno lavorato sempre insieme, senza mai voler primeggiare l’uno sull’altro.

Scorrendo la sua filmografia, sembra di intravedere una passione per i “buddy movies”…
Mi sono accorto che praticamente in tutti i miei film le mie “coppie” sono composte da attori con cui avevo già lavorato in precedenza e da attori del tutto nuovi. Un po’ come se avessi bisogno di persone di cui conosco le caratteristiche per affrontare il nuovo! E’ stato così per L’Uomo del treno, nel senso che conoscevo già Rochefort ma non avevo mai lavorato con Hallyday, ne L’Amore che non muore conoscevo già Daniel Auteuil ma non Juliette Binoche, ed è stato infine così anche per Confidenze troppo intime, avendo lavorato in precedenza con Sandrine Bonnaire ma non con Fabrice Luchini. Pochi film sfuggono a questa regola. E quelli che sfuggono… sono forse i film meno riusciti!
Uno studente che scriveva una tesi sulla coppia nel cinema mi ha fatto poi notare una cosa ancor più inaudita: in tutti i miei film, o quasi, i personaggi che “fanno coppia” si incontrano per la prima volta durante il film. E’ il caso di Dany Boon e Daniel Auteuil ne Il mio miglior amico, ma lo stesso accade ne L’uomo del treno, ne La ragazza sul ponte, in Confidenze troppo intime… solo Tandem si sottrae a questa “regola”. Il mio lavoro da regista consiste quindi a organizzare incontri! Non avrei mai potuto scrivere Le chat con Signoret e Gabin raccontando la storia di due persone che si conoscono da anni! Né potrei raccontare di un rapporto che si consuma e si sfilaccia perché avrei bisogno di nutrirmi di ciò che è accaduto prima dell’inizio del film. Mi piace organizzare l’incontro dei personaggi che presento nei miei film, perché in fondo basta solo osservare il loro comportamento. Serge Frydman un giorno mi ha detto che i veri sceneggiatori di un film… sono i suoi personaggi. E secondo me ha ragione, se i personaggi sono descritti bene, non resta che seguirli. Come un chimico.

Julie Gayet
Perché ha scelto Julie Gayet per interpretare la socia del personaggio di Daniel Auteuil?
Anni fa ho girato una pubblicità per France Inter, in cui c’era una ragazza che andava in bicicletta. Cercavamo un’attrice e ho fatto il suo nome durante una riunione, furono tutti d’accordo. Quella è stata la prima volta che ho incontrato Julie, le ho spiegato che l’avrei ripresa in bianco e nero mentre andava in bicicletta, con il viso inquadrato in un angolo dello schermo ….
Per Catherine, che è il personaggio più lucido de Il mio miglior amico, quello che arriva sempre un metro avanti agli altri, ho pensato subito che sarebbe stata perfetta. E’ molto intelligente, ma ma è un tipo di intelligenza che non è mai intellettuale, composta o sofisticata.

Dopo La Ragazza sul Ponte e L’amore che non muore è la terza volta che lavora con Daniel Auteuil. Sentite ancora la necessità di parlarvi?
Per Daniel uno sguardo o un sorriso sono più importanti di mille parole. Non fa parte di quella schiera di attori che si nutrono di psicologia. E meno male! Perché io non sono uno di quei registi che amano spiegare agli attori da dove vengono i poro personaggi, o dove devono andare. A me interessa fare delle cose, sentirle. Se una sceneggiatura è scritta bene, gli attori ci entrano naturalmente. Daniel è così. Prima delle riprese, ci siamo visti una volta per la prova dei vestiti e ci siamo sentiti al telefono due o tre volte. E’ sempre un po’ stressante iniziare a lavorare con un regista che non si conosce, con un attore che non si conosce che però conosce bene il regista. E’ semplice: per quanto riguarda Daniel, avevo come l’impressione di averlo salutato la sera prima. D’altra parte, è quello che si dice delle persone a cui si vuol bene che però si perde di vista!

E rispetto a questa vostra complicità, si è concentrato maggiormente sui nuovi arrivati – Dany Boon e Julie per primi – per integrarli al vostro universo?
È tutto un equilibrio. Un giorno ho fatto una grande stupidaggine. Ne La Ragazza sul Ponte giravo per la prima volta con Daniel mentre avevo appena finito di dirigere Vanessa Paradis in Uno dei Due. Il primo giorno avevo concentrato tutta la mia attenzione su Daniel in quanto nuovo arrivato, lasciando un po’ da parte Vanessa. So che lo ha vissuto molto male: la sera stessa mi ha fatto capire che il fatto di aver lavorato insieme in un film non mi autorizzava a metterla da parte. Mi ha spiegato che aveva bisogno di me tanto quanto la prima volta. Ho capito il mio errore. Mi è servito da lezione. Da allora, durante i primi giorni di riprese ho sempre fatto un po’ più di attenzione ai nuovi senza però mai mettere da parte i “vecchi”. In entrambi i casi, alla base del mio lavoro con gli attori c’è la fiducia che ho in loro. Un attore che recita senza percepire la fiducia nell’occhio del regista che lo guarda… è come un uccello senza ala. Non può volare! Cade non appena esce dal nido.

Dopo aver fatto l’occhiolino al gioco radiofonico Le jeu des 1000 Francs in Tandem, ecco qui un altro gioco – questa volta televisivo – citato ne Il Mio miglior amico: Qui Veut Gagner des Millions con Jean-Pierre Foucault che interpreta se stesso1. Perché questa scelta?
È molto semplice. Mentre costruivamo la sceneggiatura con Jérôme Tonnerre, sapevamo che il personaggio di Bruno a un certo punto doveva partecipare a una trasmissione di gioco. Un bel giorno, abbiamo avuto la rivelazione: uno dei jolly per i concorrenti di Qui Veut Gagner des Millions è la telefonata ad un amico! A partire da quel momento abbiamo temuto che la produzione di Qui Veut Gagner des Millions ci dicesse di no! Non volevo immaginare un gioco finto! Bisognava che fosse in presa diretta con la vita, che la gente avesse i suoi punti di riferimento. Ho trovato che fosse sensazionale riprendere in scope Jean-Pierre Foucault nel ruolo di se stesso. Lo conoscevo un po’. Tra noi c’era simpatia. Gli ho detto semplicemente di rispettare il testo scritto, di essere se stesso e di non cercare di fare l’attore. Ed è stato un godimento.

Che punto di vista visivo aveva scelto per Il mio miglior amico?
I film che faccio sono abbastanza diversi l’uno dall’altro, ogni volta cerco di avere, modestamente, un progetto di regia. Quando ho iniziato a lavorare su Il mio miglior amico, tuttavia, devo ammettere con vergogna che non mi sono posto alcuna domanda. Avevo una tale fiducia nella sceneggiatura e nei personaggi da non dovermi preoccupare. Ho quindi messo in scena questo film giorno dopo giorno, senza avere una vero progetto iniziale… salvo quello che non mi abbandona mai: gli attori e i loro personaggi. Volevo un film che avesse tutte le apparenze del naturalismo, in cui cose scomode, bizzarre e stridenti ci arrivassero addosso senza che ce ne rendessimo conto. Non volevo che la mia regia fosse sfalsata perché questo sarebbe stato in contraddizione con l’assunto della sceneggiatura. Ovviamente spero che la regia sia migliore di quella di un telefilm!… ma non volevo fare di tutto per rendermi interessante.

Come ha scelto le musiche?
Mi sono rivolto ad un gruppo che si chiama “L’Attirail”, diretto da Xavier Demerliac. L’ho conosciuto qualche anno fa, mentre cercavo delle musiche per La Ragazza sul Ponte. Mi sono imbattuto nel loro primo album e mi è piaciuto moltissimo. L’ho incontrato, ho visto alcuni concerti. Gli avevo detto che se un giorno ne avessi avuto l’occasione, gli avrei chiesto una musica per il film. Ho trovato che Il mio miglior amico gli assomigliava come si possono assomigliare due gocce d’acqua. Sapevo che non si sarebbe orientato verso l’emozione facile. La sua musica, a volte al limite della fanfara, ha qualcosa di molto gioioso. Le sue sonorità possono essere molto esuberanti nonostante abbiamo degli accenti molto tristi. Questa mescolanza non convenzionale mi ha affascinato. Alla fine… sono pazzo di gioia perché c’è un’atmosfera musicale molto particolare, che non era in relazione a priori con questo film ma che ci si sposa perfettamente.

Si dice spesso che un film si riscrive in fase di montaggio. È anche il caso di Il mio miglior amico?
In effetti questo film è stato riscritto in fase di montaggio, ma in maniera inaspettata. In tutti i miei film, l’evidenza di tale o tal’altra scena, la potenza evocatrice di questa o quell’immagine mi hanno fatto modificare la loro costruzione. Qui, è stato più strano. La stima della durata della prima versione era di 2h05. Jérôme Tonnerre e io avevamo comunicato ai produttori che avremmo fatto dei tagli prima delle riprese. Ma – lusso incredibile perché costa molto - questi ci hanno chiesto di girare la versione completa e di vedere in fase di montaggio ciò che sarebbe stato meglio fare. Ho accettato le regole del gioco. Effettivamente il mio primo montaggio del film durava 2h05. Da quel momento, con la mia montatrice Joëlle Hache, abbiamo lavorato ai tagli, un po’ come il gioco dei Lego. È stato molto divertente.

Abbiamo letto qua e là che presto smetterà di fare cinema. Questo film le ha fatto venire voglia di continuare?
Questa decisione non nasce dalla delusione per un film piuttosto che per un altro. Non è quindi perché le riprese de Il mio miglior amico mi hanno entusiasmato che rivedrò la mia scelta. Non ho perso il gusto del cinema. Amo sempre molto fare film. Vorrei solo fermarmi prima di perdere freschezza. In un certo senso mi comporto come Anna Galiena ne Il Marito della parrucchiera, che, sapendo che l’amore eccezionale che la lega al personaggio di Jean Rochefort non sarà eterno, scelse di gettarsi nella chiusa quando ancora era all’apice della relazione. Dopo Il mio miglior amico girerò solo altri tre lungometraggi… e so esattamente quali saranno. Non c’è più posto per altro! Annunciandolo pubblicamente, non cerco di farmi pubblicità; cerco semmai di convincere definitivamente me stesso a rispettare la parola. Di farlo veramente, senza per questo però fare come Anna Galiena gettandomi nella chiusa.
DANIEL AUTEUIL
DANY BOON
PATRICE LECONTE
Come vi siete avvicinati a questo progetto?
Daniel Auteuil: Non è per sminuire la sceneggiatura, ma non ho bisogno di leggerla per dire di sì a Patrice. Mi ha parlato di un film sull’amicizia sotto forma di favola… e questo mi è bastato per aspettare la sceneggiatura con serenità. All’inizio mi è stata presentata come una commedia, ma già dalla prima lettura, ho trovato che aveva molte similitudini con la commedia italiana. Si sfiora infatti continuamente il dramma umano. Si parla di solitudine… sicuramente si ride e si sorride molto ma è una commedia, non un film comico… nel senso che l’emozione prevale spesso. Di certo questo lo si deve alla personalità di un attore eccezionale come Dany Boon.
Dany Boon: Conosco Patrice da molto tempo perché è venuto a vedere tutti i miei spettacoli. C’era una specie di ammirazione reciproca. Si da il caso che Jean-Marie Dreujou, responsabile delle luci nel mio film La Maison di Bonheur, sia un collaboratore regolare di Patrice. È lui che mi ha avvertito della chiamata di Patrice. Al telefono ha iniziato a spiegarmi il contenuto del film, questa riflessione sull’amicizia. Poi mi ha subito detto che Daniel, che non avevo neanche mai incrociato sul set de La Doublure, avrebbe fatto parte della squadra. Inutile dire che la prospettiva di essere diretto da Patrice Leconte e lavorare con Daniel Auteuil mi è bastata per accettare la sua proposta.
Sono due regali magnifici! Poi ovviamente c’è la storia. Sin dalla prima lettura, mi sono reso conto che andava molto al di là dell’aspetto della commedia di cui mi aveva parlato. Il mio miglior amico è un film sconvolgente: parla di cose vere e colpisce nell’intimità al tal punto che alle volte diventa scomodo. La scommessa non è che un pretesto; quello che mi è piaciuto di più è ciò che questo film propone: il confronto tra due solitudini. Un uomo solo perché non si rende conto che le sue pseudo amicizie non sono altro che relazioni di lavoro… un altro – che interpreto io – che solo apparentemente è estroverso e amico di tutti.

Che tipo di uomo è il vostro personaggio?
Daniel Auteuil (François): È una persona che non ha avuto tempo. Qualcuno che credeva di vivere, di essere dalla parte del giusto e che si è sbagliato ma se ne rende conto tardi, quando finalmente raggiunge il distacco necessario. Nonostante questo, come sempre con Patrice, alla fine realizza una sorta di miracolo poiché il mio personaggio ha la fortuna di vedersi offrire la possibilità di un incontro amichevole. Al di là della situazione in sè, una cosa è certa: François non è una persona simpatica e non ho cercato di salvarlo. Bisognava però andare sino in fondo per rendere possibile la sua redenzione.
Si può ridere di quest’uomo che chiede ad un altro di dargli delle lezioni di simpatia, ma questo non lo rende amabile. Eppure è da lì che nasce tutta l’originalità di questa storia.
Dany Boon (Bruno): È qualcuno che si è sempre sforzato di sembrare amico di tutti ma che in realtà non lo è di nessuno. Bruno ha una ferita nascosta. Non è stato difficile mettermi nei suoi panni, Patrice mi ha aiutato benissimo. Quando siamo andati insieme a scegliere i vestiti del mio personaggio prima delle riprese, le sue certezze mi hanno permesso di comprendere precisamente chi era Bruno. Ad esempio è stato lui a scegliere il canadese blu che indosso per tutto il film, io sarei stato totalmente incapace di decidere da solo in quel momento. Questo ha immediatamente dato un contorno al personaggio.

PATRICE LECONTE
Provate a raccontare la tecnica di avvicinamento al personaggio. Seguite una sorta di rituale?
Daniel Auteuil: Mi preparo sempre per una cosa sola: farmi sorprendere. In questo film, non ho dovuto fare altro che lasciarmi trasportare. Mi sono adattato al regista entrando in osmosi con i miei partner. È vero che con un regista che non si conosce c’è sempre un periodo di adattamento, di decodifica, per conoscere le sue aspettative e il modo in cui si comporta. Nel caso di Patrice non serve. Anche quando abbiamo fatto il primo film insieme, La Ragazza sul Ponte, il periodo di osservazione è stato molto breve. Leconte racconta le sue storie con la sua cinepresa, sa cogliere perfettamente l’istinto dell’attore che si trova di fronte. La sua cinepresa ci segue e diventa presto una compagna. Si entra subito in confidenza.
Dany Boon: Il lavoro a monte è ovviamente molto importante. Quando si arriva sul set, però, è tutta un’altra cosa. Quando si va in scena con un testo nuovo è come la prova del nove: per quanto uno abbia lavorato in precedenza, non si ha nessuna idea precisa di quello che verrà fuori. Ne Il mio miglior amico ognuno è arrivato con la sua visione. Da parte mia, ho subito sentito questo personaggio molto vicino a me: un uomo semplice, conviviale, commovente, buffo. Non era un ruolo di composizione. Vi assicuro che nella vita non sono un mascalzone!

Come è lavorare con Patrice Laconte?
Daniel Auteuil: Mi piace moltissimo lavorare con Patrice. Per la bellezza dello sguardo che posa sulle persone e la precisione dei suoi sentimenti. Sa contenere le sue emozioni e liberarle al momento giusto. Noi due abbiamo iniziato con un film molto forte, La Ragazza sul Ponte, poi abbiamo proseguito il nostro cammino comune con un secondo film ancora più forte, (L’amore che non Muore. Ogni volta, con lui – e Il mio miglior amico ne è l’ennesima prova – ho avuto la possibilità di raccontare delle storie straordinarie nelle quali tutti possono identificarsi. Come attore è entusiasmante!
Dany Boon: Sul set Patrice era talmente felice ed euforico che non ha mai smesso di farci i complimenti. Si viene letteralmente trascinati dal suo entusiasmo travolgente, che non è mai venuto meno per tutto il corso delle riprese. Lo scambio è sempre possibile con lui. Non ci ha mai impedito di cambiare delle cose se non ci sentivamo a nostro agio. Nonostante questo… passare da Francis Veber a Patrice Leconte senza la minima sosta di decompressione, come ho fatto io, non è per niente facile! Francis fa un numero di ciak incredibile, Patrice pochissimi. Questo avrebbe potuto rendermi fragile, ma non è stato così. Patrice infatti agisce a ragion veduta: vuole cogliere delle cose al volo! Alla fine, per quanto divergenti, i loro due modi di lavorare portano al medesimo risultato. Quando si fa e si rifà una scena con Francis, si arriva ad una concentrazione estrema in cui ogni gesto è pensato. Eppure la concentrazione è altrettanto forte con Patrice, perché sapere che si ha un numero limitato di ciak per esprimersi, te la fa venire immediatamente… anche se ovviamente Patrice accetta di rifare la scena quando i suoi attori glielo chiedono.

PATRICE LECONTE
La coppia si descrive. Auteuil su Boon e Dany su Daniel
Daniel Auteuil:Ne La Doublure ci siamo incrociati appena. Non abbiamo recitato insieme. Quindi è la prima volta che lavoriamo veramente insieme. Ed è stata una rivelazione. Dany Boon conduce il film. È la solitudine fatta persona, l’emozione stessa. Come tutti i grandi attori che vengono dalla commedia, questo potenziale di umanità esce sempre fuori, ed è magico: quando bisogna far ridere, fa ridere, e quando bisogna far piangere, fa piangere!
Dany Boon: Abbiamo cominciato con una scena al telefono, quella di Qui Veut Gagner des Millions. È la prima volta che abbiamo veramente parlato. Ovviamente, provo grande ammirazione per Daniel. Conosco la sua carriera, la sua reputazione. Sapevo che sul set è generoso…e così è stato. Non si comporta come ci si aspetterebbe dalla sua notorietà. È una persona molto semplice, molto accessibile, mantenendo sempre, com’è ovvio, le distanze. Avrebbe potuto ad esempio dubitare della capacità di ascolto di qualcuno come me, un comico abituato a recitare da solo in scena. E invece no. Ci siamo subito resi conto che entrambi eravamo molto generosi e tra di noi tutto si è svolto nella maniera più naturale. Scherzavamo molto. E soprattutto avevamo sentito entrambi che questo film era più profondo di quanto sembrasse. Eravamo sulla stessa lunghezza d’onda.

Non si può certo dire che il tandem non ingrani la giusta marcia...
Daniel Auteuil: Non provo un piacere particolare a fare un film in tandem. Il mio unico piacere è fare un buon film! Quello che mi interessava in questo caso, era il fatto di andare al di là della situazione classica dei due eroi, dalle mille difficoltà, impegnati in molteplici avventure. Ne Il mio miglior amico ognuno ha la sua vita, le sue preoccupazioni, i suoi desideri e i suoi sogni. E c’è tutto il tempo di esporli in maniera dettagliata e confrontarli. È molto più profondo di quanto ci si potrebbe aspettare dalla carta.
Dany Boon: Il rischio era che la salsa non legasse. Non è stato così perché tra noi accade veramente qualcosa. Patrice avrebbe addirittura potuto continuare a girare dopo le riprese, fuori dal set: il nostro rapporto non variava di una virgola. Siamo diventati veramente amici con questo film.

Quali reazioni avete avuto dopo la visione del film?
Daniel Auteuil: Ho visto una di quelle opere che adoro perché alle risate succedono sempre dei momenti di forte emozione. Nel vedere Il mio miglior amico per la prima volta, sono stato molto colpito da questi due uomini che ne formano l’anima, dalla loro volontà di lottare, di uscirne. Dall’ingenuità dell’uomo consumato che è François e dall’impegno di Bruno.
PATRICE LECONTE
Dany Boon: Quando l’ho visto, non era poi così lontano da quello che avevo immaginato. Tranne che per un dettaglio: non pensavo che andasse così a fondo nelle emozioni. E poi, più personalmente, non mi sono mai visto così in un film. Perché, contrariamente a Joyeux Noël o La Doublure, questo personaggio può assomigliarmi veramente. E’ la prima volta che mi accade una cosa del genere al cinema. Quando il film inizia, si dubita che i due personaggi diventeranno amici. Ma una volta poste le basi, ecco che decolla! Si dimentica ciò che si era immaginato all’inizio. È questo ad essere incredibile nei grandi film. Ci si va con il desiderio di vedere qualcosa di preciso, poi questo desiderio viene appagato e ci si concede di andare verso qualcos’altro. Questa cosa mi è accaduta nel film di Patrice, nonostante avessi preso parte all’avventura! La sensibilità che apporta con i suoi movimenti di macchina è impressionante. Il mio miglior amico è pieno di umanità. È un film profondo e sconvolgente sull’amicizia.

Qual'è la vostra scena preferita?
Daniel Auteuil: La scena in cui Dany rompe il vaso e chiede: “Dove sono le lacrime?” l’ho trovata grandiosa. Avrete capito che quest’attore farà una carriera prodigiosa. Non sarà né Bourvil né qualcun altro. Solo lui. Ha un enorme potenziale, non ancora del tutto sfruttato. Può recitare assolutamente tutto.
Dany Boon: Mi piace tantissimo la scena in cui arrivo nella galleria di Daniel, quando gli dico che mi sembra che il suo negozio non vada poi tanto bene e lui mi spiega che non è un negozio ma un antiquario. Poi il momento che segue… quando gli dico che anche io sono un collezionista… di figurine Panini! Adoro inoltre, la scena a tavola, in cui il personaggio di Daniel mi chiede di insegnargli ad essere simpatico. La scena in cui ho sofferto di più, invece, è quella di Qui Veut Gagner des Millions, con Jean-Pierre Foucault. E’ sempre difficile far finta di essere commossi in questo genere di situazioni, in particolar modo quando, come in questo caso, per motivi di produzione, si è costretti a recitare una scena all’inizio delle riprese, mentre nella cronologia del film è alla fine.

Lavorerete ancora con Leconte?
Daniel Auteuil: Ha interesse a propormi di lavorare ancora con lui. È obbligato!
Dany Boon: Dico subito di sì, senza la minima esitazione.