FUORISCHERMO

 

PANORAMICISSIMA
I film di Locarno e di Venezia di passaggio per Milano.
FLYER FESTIVAL Bene, quest’anno mi sono sparato in otto giorni (più due appendici, Tim Burton il nono giorno e Michalkov nella rassegna del Comune sul cinema russo) una trentaquattrina di film dai festival di Locarno e Venezia (ma il tutto alla Panoramica di Milano: si vede di più, si spende di meno, ci sono meno distrazioni…) e mi sembra giusto restituirvi qualche (frettolosa) impressione.
Niente capolavori, va detto, qualche film buono, molti film che si possono non vedere, altri che è meglio non vedere. In genere tutti troppo lunghi, una scorciatine del 10-20% migliorerebbe parecchi film. Tutto come – quasi – sempre, direi.
Ammetto che qualche volta mi sono assopito (4 – anche 5 – film al giorno in edizione originale con i sottotitoli non sono uno scherzo!), ma sempre per brevi periodi, ve lo garantisco. Contrariamente ai miei solidi principi, qualche volta sono anche uscito prima della fine del film. Confesso che è stato gradevole; certo, se diventasse un’abitudine uscire se il film non è neanche un po’ interessante il numero dei film che vedo per intero potrebbe calare sensibilmente.
In termini di nazionalità la figura migliore nel mio carnet la fa il cinema inglese, con l’ottimo Loach, i buoni Branagh e Wright, e Greenaway che malgrado quello che dico del suo film è sempre un autore da tenere d’occhio. L’Italia in concorso a Venezia non fa una bella figura (si salva solo Porporati), mentre va meglio fuori concorso con due film diversamente gradevoli come La ragazza del lago e Non pensarci.
Gli americani visti non brillano. Jesse James è loffio, Dylan è complicato, la bella Scarlet stavolta ha fatto un film che si autocancella mentre lo si vede, mentre In the Valley of Elah vale la visione.
All’est direi niente di nuovo, nel lontano Oriente continua a farsi vedere la cinematografia coreana.
Disaccordo pesante sui premi: inqualificabile il Pardo d’oro assegnato a Locarno al film giapponese, dove si assiste per una quindicina di volte alternativamente a sequenze quasi identiche (tipo: lei che rompe un uovo nella cucina della mensa – complessivamente una rottura di uova, mi viene da chiosare con una battuta un po’ cheap).
Lust, Caution Lust, Caution, Leone d’oro a Venezia, è un fumettone d’altri tempi speziato con una scena di violenza, con parecchie (ma tardive) scene di sesso e con un finale agro. Sbagliato premiarlo, soprattutto avendo già premiato pochissimi anni fa Brokeback Mountain dello stesso Ang Lee. Non era difficile trovare qualcosa di meglio anche rispetto a Brad Pitt-Jesse James (anche lo stesso coprotagonista Casey Affleck), che nel film esibisce tre-espressioni-tre: sogghignante (della serie sorrido-ma-sono-una-vipera), occhio acquoso (della serie sono-un-bandito-ma-sono-afflitto-da-una-profonda-malinconia-esistenziale) e sghignazzante (della serie cazzo-e-comunque-sono-proprio-fuori-di-testa). Una buona idea sarebbe stato premiare lo straordinario collettivo di attori de La grain et le mulet.
Tutto sommato il Leone d’oro lo avrei dato proprio a La grain et le mulet, perché è il cinema più nuovo e più vitale tra quello in concorso, perché ho amato tanto La schivata, sempre di Kechiche, che abbiamo visto troppo in pochi, perché è uno degli unici film lunghi che non mi abbia rotto le uova, e perché non c’è neanche uno di quelli sguardi lunghi, silenziosi e imperturbabili che oggi (così si pensa) fanno tanto cinema d’autore.

LOCARNO – PIAZZA GRANDE
FUNERAL PARTY (Gb/Usa) di F. Oz: Un insolito funerale britannico, tra droga, omosessualità, escrementi, invalidi, nani, ecc. ecc. Un colpo basso al black humour inglese. Scorrettezza politica? Io direi un tipo di umorismo puerile e regressivo.
WAITRESS (Usa) di A. Shelley: Una giovane moglie malmaritata si consola prima con le torte, poi con l’adulterio, infine con la maternità e l’indipendenza. Il modo ingenuo e un po' scombinato in cui mescola generi (commedia femminile, film sentimentale, romanzo di formazione, ecc.) e toni diversi è un po' il suo pregio e il suo difetto: carino o melenso, a secondo dei momenti e di come lo si guarda.

LOCARNO - CONCORSO
LO MEJOR DE MILO MEJOR DE MI (Sp) di R. Aguilar: una giovane si offre per un trapianto che potrebbe salvare il suo ragazzo, ma non si sa il loro rapporto supererà questa prova. Interessante per il percorso che viene dato da compiere al personaggio protagonista (e all'attrice che lo interpreta).
FUORI DALLE CORDE (Ita/Svizz) di F. Bernasconi: un giovane pugile finisce nel giro malavitoso dei combattimenti clandestini. Interessante. Forse l'interpretazione della Sansa è un po' sopra le righe (sopra le corde? ). E nel finale riemerge un po' di buonismo all'italiana nonostante tutto. Molto interessante l'uso del paesaggio, insolito per un film italiano.
AY NO YOKAN (The Rebirth, Giap) di M. Kobayashi: il padre della vittima e la madre della sua assassina sfiorano le rispettive esistenze in una città mineraria. Un Pardo d'oro sprecato. Originalità espressiva o afasia? Io propendo per la seconda: goffo, tutto detto subito, nessun mistero, terribile la canzoncina finale con la morale, una ciliegina su una torta indigesta. A distanza magari lo si rivaluta un pochino, lontano dalla noia della visione.
LA MAISON JAUNE (Alg/Fr) di A. Hakkar: Per consolare il dolore della moglie un marito riesce a recuperare le immagini e l’ultimo saluto del figlio morto militare. Un delicato film di amore coniugale e famigliare. Ma messo così sembrava più adatto per un corto o un mediometraggio che per un lungo.
LAS VIDAS POSIBLES (Arg/Germ) di S. Gugliotta: una donna crede di ritrovare in Patagonia il marito scomparso: è o non è lui? Un film "adulto" sui fantasmi. Belle atmosfere, e insolite scelte cromatiche (verde-viola) per le riprese in digitale.

LOCARNO – CINEASTI DEL PRESENTE
TAGLIARE LE PARTI IN GRIGIO (Ita) di V. Rifranti: tre giovani reduci dal coma si frequentano, si avvicinano alla body art e cominciano a torturare i propri corpi. L'ho visto solo in parte, la mia compagna di vita e di visione non ama l'esibizione della crudeltà. Mi sembrava interessante lo spunto (alla Crash), rozzo lo svolgimento.

VENEZIA - CONCORSO
IL DOLCE E L'AMAROIL DOLCE E L'AMARO (Ita) di A. Porporati: educazione sentimentale di un giovane mafioso tra crimine e quotidianità. E un film discreto, un po' un Goodfellas dei poveri. Lo Cascio è bravo e sostiene un personaggio senza troppo attrattive. Il milgiore degli italiani in concorso, comunque.
IT'S A FREE WORLD (Gb) di K. Loach: una giovane reclutatrice di manodopera straniera, licenziata ingiustamente, si mette in proprio e diventa a sua volta una sfruttatrice. Forse è vero che Loach non sorprende più; ma come lui ce ne sono veramente pochi. Cinema serio, civile, sulle nostre vite. Bello a prescindere.
ASSASSINATION OF JESSE JAMES BY THE COWARD ROBERT FORD (Usa) di A. Dominik: il giovane Bob, non riuscendo ad entrare nella leggenda come fuorilegge, tenta di entrarci come assassino a tradimento del più leggendario tra loro, un Jesse James in disarmo e paranoide. Lungo, noioso, confuso, pomposo. Mi annoio al solo cercargli delle motivazioni (come nasce una leggenda? il contrasto tra l'epica letterario-cinematografica e l'esistenza di uomini gretti e meschini?). Pitt premiato ingiustamente; ha fatto di meglio altrove, qui altri hanno fatto meglio di lui.
I'M NOT HERE (Usa) di T. Haynes: vita, genio e sregolatezza di Bob Dylan attraverso un prisma che ne sfaccetta le personalità in una mezza dozzina di personaggi. Strutturalmente originale e visivamente affascinante; ma per stargli dietro occorrerebbe una competenza enciclopedica su Dylan che non ho e non mi interessa avere. Tematicamente ripetitivo (il tormentone sull’impegno), un film per iniziati ed adepti. Ma effettivamente la Blanchett (Coppa Volpi) è forte.
LUST, CAUTION (Taiw.) di A. Lee: per due volte a distanza di anni, una studentessa aspirante attrice si infiltra per spiare ed eliminare un collaborazionista cinese durante l’occupazione giapponese, ma si innamora di lui (e ci scopa selvaggiamente). Stupefacente premiare un filmazzone come questo con il Leone d'oro, soprattutto poco dopo aver premiato con un altro Leone d'oro un altro filmazzone dello stesso regista. Pomposo, antiquato; un po' di crudeltà in più e un po' di fuoco nelle scene di sesso non bastano a renderlo attuale.
LES AMOURS D'ASTREE E CELADON (Fr): seguendo le orme di un dramma pastorale del XVI secolo, si raccontano gli amori dei due pastorelli del titolo, tra contrattempi, equivoci e travestimenti. Le mie compagne di visione sono rimaste spiacevolmente stupite, pur amando Rohmer. Eppure si parla d'amore come sempre, di scelta e di possibilità, di fedeltà e di libertinismo. E l'assunzione consapevole (e almeno in parte ironica) del peso dell'anacronismo non è anch'essa una novità (vedi La marchesa von). Un film che si può capire, a patto di conoscere bene e di amare molto il regista; ma non per tutti, e capisco chi non lo capisce.
HEYA FAWDA (Eg) di Y. Chahine: amori contrastati, polizia corrotta, stupri, rivolta politica. Chahine è anziano e forse per questo la regia è firmata a 4 mani. Ma il polso è forte e nel film c’è dramma, commedia, politica, sentimento, canzoni, ecc. ecc. Ma il tutto è tarato sul pubblico popolare egiziano, che forse non ha i nostri stessi gusti.
IN THE VALLEY OF ELAHIN THE VALLEY OF ELAH (Usa) di P.Haggis: un padre alla ricerca del figlio scomparso al ritorno da una missione militare in Iraq: amare verità lo attendono. Un bel film, serio e onesto, umile nella sua struttura ad indagine (Haggis ha smorzato la sua tendenza a complicare le sue sceneggiature), con bravi attori, Lee Jones in testa. Che mostra come gli Usa, scegliendo la guerra per proteggere la propria integrità, l’abbiano definitivamente perduta.
SLEUTH (Gb/Usa) di K. Branagh: uno scrittore di successo e un sedicente attore, rivali in amore (e in tutto il resto) si affrontano in un gioco al massacro all’interno di una villa isolata. Il rifacimento de Gli insospettabili con Caine (che là faceva il giovane) nella parte che era di Olivier (che faceva il vecchio). Trama e colpi di scena sfoltiti rispetto all’originale, ma la piece di Pinter regge ancora alla perfezione, grazie ad una sceneggiatura dai dialoghi scintillanti e affilati e a due interpreti all’altezza. Mentre lo stile di ripresa, che sembra adeguarsi alle ambientazioni techno-kitsch, mi ha convinto meno.
NIGHTWATCHING (Gb/ol/Pol) di P. Greenaway: ascesa e declino di Rembrandt, pittore che cerca di nascondere in un quadro le allusioni agli scomodi segreti dei potenti. Greenaway inscena un altro dei suoi teatri barocchi per rappresentare la vita di Rembrandt, la genesi de La ronda di notte e i suoi significati politici nascosti. Ma la trama è confusa e affollata, il complotto complicato e moderatamente interessante, la messa in scena pesante, il film lungo. Greenaway stupiva 20 anni fa, oggi mi annoia.
L’ORA DI PUNTA (Ita) di V. Marra: un agente della finanza rinuncia alla carriera per gettarsi nel mondo degli affari, sfruttando le conoscenze di meccanismi non proprio puliti. Marra alza lo sguardo su ceti socio-economici più alti rispetto ai suoi film precedenti, ma lo sguardo resta rozzo e non è pertinente al tema. I personaggi e le situazioni sono tagliati con l’accetta, gli attori sono inadeguati o inadeguatamente diretti.
NESSUNA QUALITA’ AGLI EROI (Ita/Svizz/Fr) di P. Franchi: un aspirante padre che non riesce ad avere un figlio e un figlio che odia a morte il padre incrociano i propri torbidi destini. Un film sbagliato. Ben poco ha senso fin dall’inizio, ma andando avanti diventa sempre peggio. Attori inadeguati o sprecati. Germano aveva piacevolmente stupito in “Mio fratello è figlio unico”, qui è insopportabile.
ATONEMENT (Espiazione, GB/Usa) di J. Wright: una giovinetta dalla fervida fantasia accusa di stupro l’innamorato della sorella: i loro destini si scioglieranno in quelli della Seconda Guerra mondiale. Il film parte da una storia molto bella di McEwan: ne rispetta sostanzialmente lo spirito e la lettera; alterna scena goffe (la biblioteca) ad altre virtuosistiche (il piano-sequenza sulla spiaggia, la Redgrave) e alla fine riesce a commuovere sull’infelice destino degli innocenti.
LA GRAINE ET LE MULETLA GRAINE ET LE MULET (Fr) di A. Kechiche: un portuale che ha perso il lavoro cerca di riciclarsi come ristoratore: specialità il cous cous cucinato dalla ex-moglie. A me era piaciuto moltissimo il precedente La schivata: questa è una conferma di una scrittura registica innamorata del tempo reale (forse l’unico film lungo visto alla Mostra che non avrei consigliato di accorciare), e di un cinema intelligente, umoroso e vitale che sa far parlare le voci e le facce delle persone comuni e leggere i loro cuori.
12 (Russ) di Nikita Michalkov: ispirato a La parola ai giurati di Lumet: 12 giurati (ma perché tutti uomini?) chiusi in una stanza per decidere del destino di un giovane accusato d’omicidio. Qui il tutto è contestualizzato al conflitto russo-ceceno, ma la riflessione è più esistenziale che storico-politica. Troppo lungo, involuto, troppo facili metafore e retorica, troppo teatrale, e appesantito da un finale che non si regge sulle gambe.

FUORI CONCORSO
CHUN-NYUN-HACK (Beyond The Years, Corea del Sud) di I. Kwon Taek: nel corso degli anni si dipanano i destini di una cantante tradizionale coreana e di due uomini innamorati di lei. Polpettone sudcoreano, con una storia non particolarmente interessante appesantita da una pletora di cantate tradizionali che ai nostri orecchi risultano piuttosto inascoltabili.
CLEOPATRA (Bras) di J. Pressane: Un brasiliano rilegge l’antica Roma in una messa in scena straniata. Quando l’ho visto io c’era la coda per uscire dalla sala (già poco affollata). Mi sono accodato.
THE HUNTING PARTY (Usa/Croaz/Bosn) di R. Shepard: tre giornalisti (ma uno ha motivazioni personali) alla ricerca di un criminale di guerra serbo che nessuno sembra voler trovare. Non è male, malgrado sbavature e inverosimiglianze. Parla di cose serie in tono leggero e accattivante. Avrei evitato di usare le immagini di repertorio: se si scherza va bene, ma la gente che è morta davvero è meglio lasciarla pudicamente fuori campo. E i cartelli finali sull’inerzia dell’Occidente davanti ai massacri fanno ridere a denti stretti e rizzare I capelli in testa per la vergogna e l’indignazione.
THE NANNY DIARIES (Usa) di S. Sprinter Bergman e R. Pulcini: una neolaureata si prende una pausa e lavora come tata per una famiglia dell’alta borghesia newyorkese. Una commedia innocua e modesta, che non sfrutta nessuna occasione, compresa la presenza preziosa della Johansson.
TIM BURTON’S THE NIGHTMARE BEFORE CHRISTMASTIM BURTON’S THE NIGHTMARE BEFORE CHRISTMAS (Usa) di T. Burton e H. Selick: nel regno di Halloween si tenta di festeggiare il Natale, con risultati macabri e grotteschi. Il classico burtoniano (il tema è come sempre la diversità) rieditato in una suggestiva versione 3-D. Mostruoso e delizioso.

VENEZIA ORIZZONTI
GEOMEN TANGY SONYEO OI (With the Girl of Black Soil, Corea del Sud/Fr) di J. Soo-il: quando il padre perde il lavoro e poi se stesso, nell’alcol, una bambina piccolissima deve accudire lui e un fratellino handicappato, e prendere decisioni per tutti. Un film molto duro e spietato con i suoi personaggi. Il racconto è freddo, ma se si riesce a stargli dietro alla fine le sorti della piccola protagonista straziano il cuore e ci ricordano dell’esistenza degli ultimi.

VENEZIA ORIZZONTI DOC
STAUB (Dust, Germ) di H. Bitomsky: un documentario che è un catalogo sulle declinazioni del tema “polvere”. Serve a qualcosa/qualcuno? Io ho lasciato.

VENEZIA – SETTIMANA DELLA CRITICA
OTRYV (Russ) di A. Mindadze: dopo un incidente aereo alcuni uomini vagano alla ricerca del proprio destino e della propria identità. Ostico, ermetico. Un labirinto narrativo ma senza particolare interesse. Un po' mi sono anche assopito, e questo non ha facilitato le cose.
LA RAGAZZA DEL LAGO (Ita) di A. Molaioli: un delitto in un paese montano del nord, e un ispettore del sud che indaga sui dolori altrui portando un proprio dolore nel cuore. Buone atmosfere ma a tenere veramente in piedi il film è Servillo, in bilico tra troppo bravo e troppo istrionico. Ne uscirebbe una bella serie tv.
ZUI YAOYUAN DE JULI (Taiw) di L. Jing-jie: un innamorato deluso, fonico, manda dei nastri con rumori di luoghi alla sua ex: ma a riceverli è un’altra ragazza che intraprende un viaggio sulle tracce di quei suoni amorosi. L’idea di partenza è originale e carina ma come molti film della Mostra anche questo è troppo lungo e il terzo personaggio è inutile e ingombrante.

VENEZIA – LE GIORNATE DEGLI AUTORI
LE RAGIONI DELL'ARAGOSTA (Ita) di S. Guzzanti: i reduci della trasmissione tv “Avanzi” si ritrovano per allestire uno spettacolo di solidarietà con i pescatori sardi. Presuntuoso, egocentrico, fastidioso nella mescolanza equivoca tra reale e finzione. Autocelebrativo, ma non c'è molto da celebrare. La Guzzanti è brava o molto brava in tv. Al cinema non funziona. W Zapatero è stata un'eccezione giustificata da un'occasione particolare (la censura imposta a “Raiot”).
NON PENSARCINON PENSARCI (Ita) di G. Zanasi: un musicista punk-rock in crisi torna per qualche giorno alla famiglia e alla vita di provincia. Non l’ho trovato così spassoso come dicevano. È una discreta commedia famigliare all’italiana, con qualche scena da antologia, come la prima al concerto. Mastandrea è una conferma, bravo e simpatico.
SZTUCZKI (Tricks, Pol) di A. Jakimowski: un bambino con il dono dell’ottimismo della volontà cerca a forza di “trucchetti” di far tornare il padre che ha abbandonato la famiglia. Bel filmetto polacco con protagonista infantile. Tocco delicato e belle notazioni umoristiche. Man mano che avanza verso il finale diventa sempre più arzigogolato; più semplice e più breve sarebbe stato più bello.