Siedo in sala, al buio di fronte a frames veloci: il mio medio scatta, cerca il tasto destro di un mouse invisibile... "Bullet Time Mode": il tempo si ferma, i proiettili sfrecciano, i corpi armonizzati al rallentatore danzano per evitare la morte dispensata da detonazioni continue.
Nel 2001 la Rockstar North fece uscire il videogioco "Max Payne". Sull'onda di successi cinematografici (quale
Matrix dei Wachowski), che sfruttano computer grafica integrata a riprese analogiche e “motion capture”, si vuole realizzare un prodotto videoludico tale da mimare veloci cambi di inquadrature e montaggio dinamico di un film d'azione. Con uno sguardo diverso dalla classica visione, in Prima o terza persona (tuttavia anch'essa presente in buona parte del gioco), il fruitore si trova spesso davanti a continui cambiamenti di inquadratura e mentre vengono eliminati gli avversari le immagini si susseguono in un frenetico
overlapping editing, moltiplicando le nostre prospettive di osservazione o mostrando il corpo morente dei criminali in slow motion.
Viene inserita una modalità di rallenty (proprio come in molte sequenze di “Matrix”), che l'utente può attivare in qualsiasi momento, osservando traiettorie dei proiettili e movimenti dei corpi. Il cocktail di atmosfere noir e violenza esplicita (mai sfociante nel Gore), esibisce un evidente contatto con le
graphic novel hard-boiled fin dagli intermezzi narrativi, che rinunciano alla classica superpatinata computer grafica, sostituita da vignette dipinte e inserite in vere comic strips.
Il limite dei generi artistici è quasi indistinguibile in questa continua ripresa di temi e immagini plasmanti uno spazio dominato da forme di carta e digitali in contatto e contrasto tra loro.
Le caratteristiche di azione e adrenalina non tardano a farsi sentire nel lungometraggio del 2008, dopo che l'industria Hollywoodiana si è prestata più volte negli ultimi anni ad un'estesa contaminazione di fumetto, videogioco e pellicola (300, Sin City, ecc.).
Ora si ritorna alle fonti filmiche che avevano ispirato il gioco ma non si estende il confine indefinito tracciato dal video-fumetto del 2001.
L'ambiente del film rimane lo stesso, di corruzione e criminalità, dove alle tematiche di sesso e violenza fanno eco le luci soffuse e l'atmosfera chiaroscurata che pervade l'intera pellicola. Il bianco e il nero si mischiano insieme per dipingere una società dove bene e male si confondono anche per Max, consumato dal dolore di luminosi ricordi e tenebre presenti.
L'incipit "in medias res" intriga lo spettatore, trasportandolo in un intreccio analettico lungo quasi tutto il film, ma le peculiarità formali sulle quali vorrebbe fare perno la pellicola lasciano quasi indifferente il pubblico.
Sembra che il film ci costringa ad accontentarci di una storia superficiale, banale, priva di un adeguato approfondimento dei singoli personaggi, primo tra tutti Max, per il quale non basta certo la mimica facciale di un Wahlberg più drammatico del solito per comunicare il travaglio del protagonista distrutto.
Se nel videogioco alcuni sviluppi semplicistici nella pur interessante trama erano soppesati dall'attrazione concitata delle scene di azione, nel film tutto cade: lo stesso espediente di disorientamento voluto dalle immagini allucinatorie delle valchirie intorno ai personaggi è solo accennato e approssimativo. Qualche immagine tinta di rosso, contrastante con l'oscurità del reale non basta per aprire un terreno di contaminazione interessante e limita il lungometraggio in un concentrato di standard.
Se nella dimensione del gioco è stimolato un "disinteresse dello spettatore", in quanto quest'ultimo è così assorbito dalla velocità delle immagini da essere incapace di esercitare una riflessione interessata su ciò che osserva e valorizza di più la frenesia formale con la quale il prodotto è offerto; nell'ambito filmico il disinteresse fruitivo è minore e lo spettatore, pur essendo coinvolto dalle immagini dinamiche delle sparatorie, necessita di un attrazione più originale e profonda: nell’evolversi della trama, o in questo caso in una possibile atmosfera noir e surreale, al limite del fumetto. Un obbiettivo solo accennato, ma non raggiunto.