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Titolo originale: La giusta distanza
Regia: Carlo Mazzacurati
Sceneggiatura: Carlo Mazzacurati, Doriana Leondeff, Marco Pettenello, Claudio Piersanti
Montaggio: Paolo Cottignola
Musica:
Fotografia: Luca Bigazzi
Interpreti principali: Giovanni Capovilla, Ahmed Hafiene, Valentina Lodovini, Giuseppe Battiston.
Origine : Italia 2007
Durata: 110'
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Emozionarsi, compatire, mettere a nudo i sentimenti, appassionarsi… rischiare di ‘bruciarsi’? O piuttosto estraniarsi,
‘difendersi’, assecondare il comune (e comodo?) sentire, rispettare il ‘politicamente corretto’… stare alla (‘giusta’?)
distanza?
Sono gli estremi che La giusta distanza non tocca mai e se lo fa è con la titubanza e la fragilità di chi corre il
rischio (Mara, Hassan, Giovanni…), con la pacatezza e la remissività di chi protegge il proprio quieto vivere (Bencivenga,
l’avvocato difensore in primis). Di passioni senza ma e senza se o di indifferenza o, ancora, di cinismo (tre modi di
sentire forse esemplari dei due estremi) lo sguardo di Mazzacurati non ne porta segno. Saper giocare il rischio è
essenzialmente il senso de La giusta distanza. Imparare a conoscere l’altro da sé, riconoscere il palpitare di un
altro sentire, comprendere la necessità di adeguarsi di volta in volta (non prendere la ‘giusta distanza’ una volta per
tutte), da persona a persona, di luogo in luogo, rispettare il vissuto dello ‘straniero’, saper immaginare che ognuno ha
la propria storia e che potrebbe essere del tutto diversa da come la immaginiamo, credere nel ‘vero’ (nel giusto) sapendo
che potrebbe essere ‘falso’ (sbagliato)… insomma, saper rinnovare la profondità del proprio sguardo e la forza delle
emozioni (poi sentimenti, magari) rimane, alle fine (del film, almeno), la ‘vera’ regola della giusta distanza.
La giustezza risiede nel saper giocare il rischio, la distanza (forse) nel riconoscere il suo punto d’equilibrio.
Mazzacurati rischia e complessivamente gioca abilmente…a volte perde l’equilibrio o si adagia su terreni ‘troppo’ comodi, ma
mai si lascia bruciare o distaccare dalla sua storia.
DAZEROADIECI:: 7
ERICA BUZZO
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Mazzacurati sembra suggerire che la sua “giusta distanza” sia quella che prevede un avvicinamento tale da non farsi vedere,
da non farsi capire e scoprire. Arrivare fino a un certo punto, sfiorare ciò che si guarda, ciò che si desidera, ma non
afferrarlo. Una teoria che, poi, un finale che chiude un cerchio, oltre che un racconto, ribalta quasi inaspettatamente su
binari positivi, prospettici, buonisti. Se da un lato, infatti, non si mette in discussione la volontà e la capacità di
Mazzacurati di trasferire le atmosfere della provincia all’interno di una rete di relazioni ambigue e interessanti (su
tutte, quelle scaturite dall’arrivo dalla presenza della bella insegnante che sconvolge i ritmi di un contesto consolidato
nel tempo), dall’altro lato, sembra di guardare ad uno schema, a volte, troppo chiuso in se stesso e prevedibile. Ma oltre
questo mancato distacco dagli stereotipi, e oltre alcuni intoppi di sceneggiatura, il film di Mazzacurati racconta una
nuova pagina di provincia italiana e si colloca con precisione all’interno di un’idea di cinema attuale che vuole, per
davvero, mettere al centro l’uomo, le sue ambizioni e le sue relazioni. Da un certo punto di vista il film di Mazzacurati
vuole raccontare il desiderio dell’uomo a entrare in contatto con “altro” da se stesso. L’insegnante che arriva nel
piccolo paese, gli stranieri integrati e in continua ricerca, il giovane aspirante giornalista. Tutti rincorrono la
necessità di accorciare le distanze con i propri desideri. Tutti sperano di ottenere qualcosa in più da quello che
vivono.
DAZEROADIECI:: 6,5
MATTEO MAZZA
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