|
Titolo originale: Into the wild
Regia: Sean Penn
Sceneggiatura: Sean Penn
Montaggio: Jay Cassidy
Musica: Eddie Vedder, Kaki King
Fotografia: Eric Gautier
Interpreti principali: Emile Hirsch, Jena Malone, Marcia Gay Harden, William Hurt, Brian Dierker, Catherine Keener, Vince Vaughn, Kristen Stewart, Hal Holbrook
Origine : USA, 2007
Durata: 148'
|
Un pullman abbandonato nelle terre estreme e selvagge dell’Alaska, dove la natura è matrigna e l’uomo ritorna primitivo, al
contatto con la nuda pietra, propria madre e proprio padre fin dai primordi. È qui che si sconta la vita di Christopher
McCandless, che divenuto Alexander Supertramp abbandona la ricca e borghese famiglia per dedicarsi alla ricerca della verità.
Ma chi era Christopher McCandless? Un eroe o un folle ingenuo? Era in ricerca oppure in fuga? Il film di Penn si pone
sempre in bilico fra questi due possibili approcci, senza mai trovare alla fine uno sguardo, un giudizio univoco sulla
storia di Christopher. Gli incontri umani, gli indizi che il film dissemina sembrano indicare che Penn prenda le distanze
dalle scelte estreme del ragazzo, spaventato sembra più che altro dai rapporti umani, soprattutto quelli di coppia, tanto
da rifiutare di fermarsi con chiunque lo abbia accolto e gli abbia aperto il proprio cuore. Perché l’avventura di Chris è
un’avventura nell’estremo territorio umano, dove l’amore e il dolore si confondono e dove non è difficile trovare un
residuo di speranza e di umanità. Un film affascinante, in cui la voce roca di Eddie Vedder sostiene le meravigliose
immagini di una natura non ancora sconfitta. Ma il film è troppo lungo e forse troppo denso. Ogni immagine, ogni canzone,
ogni dialogo, ogni citazione si caricano di significati altri, di simboli e di metafore. La voce narrante non fa che
appesantire l’impianto, confutando spesso il significato dei segni sopra descritti. E il sorriso finale di Chris sembra
smentire tutto il resto.
DAZEROADIECI:: 7
DONATA SALA
|
Quarto film per Sean Penn regista che indaga con passione, desiderio, cuore e forza magmatica il senso del vivere, del
resistere e del lasciare. Un viaggio immaginifico raccontato attraverso la vera storia di Christopher McCandless, giovane
scapigliato americano in cerca della verità, partito dal South Dakota e giunto fino alle terre selvagge del Nord dove ha
incontrato il suo triste destino. Il film di Penn fa leva più sulla potenza delle immagini che sulla linearità narrativa,
si concede qualche furbizia di troppo (come ad esempio qualche ammiccante sguardo in macchina) ma fonda la propria missione
sul racconto di emozioni, pulsioni, sensazioni ed esperienze sensoriali che emergono dal rapporto tra uomo e natura. Eddie
Vedder dei Pearl Jam in sottofondo amplifica questo discorso di smarrimento esistenziale e sconvolgimento rivoluzionario
dell’animo. È un film che vuole raccontare il viaggio di chi ha scelto la solitudine come mossa vincente, che ha guardato
nel cuore della natura mentre cercava il suo sguardo, che forse ha capito, o ha pensato, che la vera felicità è quella
condivisa con l’altro. Spiazzante.
DAZEROADIECI:: 7,5
MATTEO MAZZA
|
Christopher McCandless fa sul serio. Dice che non gli interessano le cose, l’auto nuova, il possesso, i soldi, la carriera.
Così lascia tutto, casa, famiglia, studi, nome e cognome; si sceglie il nome d’arte di Alexander Supertramp, parte in
macchina, l’abbandona, brucia il denaro che ha in tasca e comincia un supervagabondaggio attraverso l’America. Sta cercando
molte cose: la propria identità (ha scoperto tra l’altro di essere un figlio illegittimo) e l’avventura, l’esperienza e i
propri limiti, la conoscenza e la solitudine, la rinuncia e la felicità, l’essenza delle cose e la natura, la verità e se
stesso. Il film traduce in immagini il libro di Krakauer, che racconta una storia vera, sottolineando con la penna rossa
del cinema l’attualità (forse l’eternità) dei molti temi di riflessione che pone l’avventura di questo
eroe-asceta-eremita-vagabondo arcaico e scomodo, simpatico e inaccettabile. Sean Penn adotta il grande respiro (anche in
termini di durata) del cinema classico americano, per antonomasia il cinema dei grandi spazi, attualizza la narrazione
adottando una struttura frammentata che alterna diversi piani temporali, usa la voce off della sorella del
protagonista per riempire gli spazi di narrazione dove a prevalere sarebbero altrimenti la solitudine e il silenzio, trova
in Emile Hirsh un interprete generoso disposto a mettere in gioco tutta la propria fisicità e in Eddie Vedder dei Pearl Jam
un partecipe commentatore musicale. Un trip che è insieme cinematografico e letterario, politico e religioso, morale
ed esistenziale.
Tutto bene; il film si imprime negli occhi, mette in moto la mente, scava nel cuore e nella coscienza. Ma, se permettete, e
ho quasi ritegno a dirlo, a me rimane un dubbio. Per un film dove si cerca l’essenza delle cose, la nuda verità, non
c’è troppo cinema, troppo stile, troppa retorica (in senso buono) visiva? Certo, così il film può arrivare a molti,
piacere a tutti; ma forse per raccontare la storia del Supertramp più che un ribelle come Penn (massimo rispetto a lui,
che non solo ha trovato la storia giusta, ma l’ha fortemente voluta ed inseguita nel corso degli anni) ci voleva un folle
selvaggio e visionario come Herzog.
DAZEROADIECI: 7,5
MAURO CARON
|
Into the wild è un’occasione persa. La vicenda di Christopher MacCandless è così forte da lasciare il segno persino
se non lo volesse. Per questo, l’occasione perduta è lasciar scorrere la storia con il proprio ritmo, secondo il naturale
accadimento dei fatti e in accordo con la potenza dei luoghi. Invece Sean Penn sente il bisogno di aggiungere materiale:
sovrimpressioni, inquadrature a incastro, forzature cromatiche, rallenty, continui flashback e voci narranti fuori campo.
Ne scaturisce un film barocco senza la scanzonata autorevolezza del barocco. Ciò che sboccerebbe da sé attraverso la forza
delle immagini, la selvaggia vigoria dei paesaggi, i comportamenti, gli sguardi, i silenzi e i pensieri è vanificato della
spiegazione forzata. I messaggi obliqui sarebbero una grazia ricevuta; invece tutto è tremendamente diretto ed esplicito
. Al punto che una storia vera perde credibilità, con danno irrimediabile. Il “fondo di cottura” moralistico è l’inevitabile,
prevedibile macchia di una regia acerba ma è solo il minore dei mali.
DAZEROADIECI: 5,5
SAMUEL COGLIATI
|
|