FUORISCHERMO

 

INLAND EMPIRE
FLYER
Titolo originale: Inland empire
Regia: David Lynch
Sceneggiatura: David Lynch
Montaggio: David Lynch
Musica: Angelo Badalamenti
Scenografia: Wojciech Wolniak, Christina Ann Wilson, Christine Wilson
Interpreti principali: Laura Dern, Jeremy Irons, Justin Theroux, Harry Dean Stanton, Peter J. Lucas, Karolina Gruszka, Jan Hencz, Krzysztof Majchrzak
Origine : Francia, Polonia, Usa, 2006
Durata: 168’

FLYER Esulerò un po’ dalla spazio che abitualmente dedico al commento dei film in questa rubrica, non tanto perché un film che dura oltre tre ore merita uno spazio doppio rispetto ad uno che ne dura un’ora e mezza, ma perché già definire che cos’è Inland Empire non è facile. La via lynchiana al cinema espanso? Un incubo dall’incredibile lunghezza? Una metastasi del già incasinato Mullholland Drive? Il capolavoro di Lynch, l’esito della sua deriva verso la destrutturazione della narrazione classica? Un monumento a (e coprodotto da) Laura Dern (impegnata in una performance che vale un’intera carriera)? Un ritorno alla surrealtà senza spiegazioni di Eraserhead? Un’oscura metafora del cinema e del suo potere di creare realtà alternative ed autonome? Un film di fantasmi? Il viaggio all’interno (inland) dell’impero (empire) della follia? Un’accozzaglia di ripetitive sequenze senza capo né coda? Una gigantesca presa per i fondelli con tanto di sberleffo finale (la donna senza gamba, la scimmietta, la puttana che sembra una star…)? Un esperimento di video-arte proiettato per errore sugli schermi del cinema commerciale (ma quanto ci resterà?)?
All’inizio, pur tra strane apparizioni e bizzarri episodi, sembra di poter seguire una traccia narrativa, quella di un’attrice scelta per girare il remake di un film maledetto, originato da una fiaba di zingari polacchi e interrotto per l’assassinio degli attori protagonisti, la cui vita privata comincia presto ad assomigliare minacciosamente a quella del personaggio che deve interpretare, coinvolto in una pericolosa relazione adulterina; ma presto il racconto si disintegra definitivamente, si frantuma in una serie di schegge impazzite che non si sa da dove siano partite e non si sa dove sono dirette, in uno spazio cinematografico-siderale in espansione. Spazio, tempo, personaggi, sono tutti permeabili e irrealmente contigui; presente, passato e futuro si mescolano, realtà, finzione, sogno e irrealtà sono indistinguibili; ogni porta che si apre sembra affacciarsi su un’altra dimensione; il personaggio principale si deframmenta in un intero universo di figure femminili.
Il risultato, per lo meno fino ad un certo punto, è quello di tenere lo spettatore con tutte le antenne ermeneutiche rizzate, nel tentativo di capire dove si vuole andare a parare (gli stessi personaggi spesso non capiscono dove si trovano, o non si riconoscono l’un l’altro). Ma poi la durata del film costringe a scegliere: prendere o lasciare; o ci sia abbandona al flusso lisergico delle immagini, e magari una volta usciti si grida al capolavoro, o ci si irrita di fronte all’arbitraria sconclusionatezza (pare che Lynch girasse senza sceneggiatura, inventandosi il film giorno per giorno) di tutto l’insieme, aggravata dall’opacità visiva delle riprese effettuate in elettronica, e magari si esce dalla sala prima della fine. Oppure ci si intorcina a scegliere tra idee geniali e trovate cheap e risapute.
Chi ha ragione? Tutti e nessuno. Ognuno (se ne ha voglia) giudichi per sé. Ad esempio, la capacità tutta lynchiana di provocare angoscia attraverso l’uso degli spazi diventa qui un estenuante tormentone; ma chi si dovesse arrendere prima della fine si perderà ad esempio la scena della morte (?) della Dern sull’Hollywood Boulevard, o gli ironici titoli di coda finali sulle note festose e consolanti di Nina Simone.
Come si suol dire, buona visione.
DAZEROADIECI: s.v (senza valutazione)
MAURO CARONMAURO CARON


FLYER Un delirio. Un'esperienza fisica, emotiva, sensoriale. Una percezione parziale del reale. Un'overdose di surreale. Uno schiaffo. Un graffio. Sale sulle ferite. Sabbia negli occhi. Un vortice di inganni. Una palude di misteri e pericoli. Una visione estrema, profonda, contraddittoria, improvvisata, imprevista, improbabile, imprevedibile. Un gioco, una presa in giro, un gioco di specchi. Uno sguardo allo specchio. Il film (?) di David Lynch invade la percezione. E' un contatto che modifica le convinzioni dello spettatore, ma che lascia una vastità di dubbi e irrisolutezze devastanti. E' maiuscola l'idea di cinema di Lynch quando fonde spazio e luogo, sogno e paura, sensi e segni. E' problematica l'idea di cinema quando si tratta di arrivare ad un punto focale, una conclusione, un epicentro. Lynch non dosa. Lynch emana punti di vista. Distribuisce sguardi e perfora le menti e gli occhi in un'altalena deviante di non sense e originalità purissime.
DAZEROADIECI:: ?
MATTEO MAZZAMATTEO MAZZA