Il percorso per arrivare all’hangar è significativo. Viale Edison corre in quella che veniva definita l’area Marelli, tra i fantasmi di edifici superstiti e spesso abbandonati di un passato industriale (la Marelli, la Transider…) e i nuovi edifici-totem della Sesto del terziario.
Si entra in un lungo capannone spoglio, pavimento di cemento, tetto a capanna, una striscia luminosa a guidare il cammino. All’ingresso distribuiscono coperte per i più freddolosi (ma non fa così freddo).
Si entra in un box, un piccolo teatrino da circa 140 posti, le tribune inclinate in faccia ad una stanza arredata dall’aria un po’ polverosa.
Lo Cascio-Foa entra, riflette in silenzio. Poi si rivolge a Miriam (Mafai) e ad Alfredo (Reichlin), assenti. Recita agli spettatori la lettera che a loro scrive e indirizza. Chiede loro le ragioni del silenzio dei comunisti in un’Italia che ha visto fino a qualche decennio fa una presenza massiccia - non solo del partito comunista, ma di persone che si dicevano comunisti, simpatizzavano per loro, votavano il partito comunista, militavano nelle sue fila - che non aveva eguali nell’Europa occidentale.
Oggi il comunismo tace. Il passato del comunismo italiano viene dimenticato, rimosso, a volte addirittura negato. La politica non si interroga sul suo passato, quel passato che dovrebbe servire a capire ed interpretare il presente, a capire se un altro mondo sarebbe stato possibile.
Foa sollecita i suoi interlocutori a rispondere ai suoi quesiti, che investono tanto la loro storia personale e il loro individuale percorso politico che la storia dell’Italia contemporanea, il senso e il ruolo della politica.
Sono interrogativi che scavano nella memoria storica individuale e collettiva, che suscitano la riflessione storiografica e politica ma anche l’ondata dei ricordi e delle passioni. Dall’Unità d’Italia alla Rivoluzione d’Ottobre; dall’avvento del fascismo alla Resistenza; dalla nascita del Partito Popolare e dei Partiti Comunista e socialista; dai rapporti di Togliatti con l’Urss al 20° Congresso del Pcus, al rapporto Breznev, all’invasione dell’Ungheria; da Berlinguer e dal compromesso storico alla modernizzazione craxiana; dai travagli del Pci alla caduta del muro di Berlino, fino all’Italia berlusconiana e ai movimenti no global.
Domande e argomentazioni che scavano nel profondo della storia e dell’identità di un Paese, di una specifica formazione politica e della sua evoluzione, delle masse che hanno partecipato a movimenti storici, dei politici che li hanno guidate, dei militanti che hanno speso il loro tempo, le loro energie e la loro passione nell’azione politica, degli intellettuali che hanno cercato di interpretare ed indirizzare la realtà storica nel suo divenire.
Domande che scavano nei ricordi, negli entusiasmi di un tempo, nelle conquiste e nelle sconfitte (tattiche e strategiche le une e le altre), negli errori e nelle contraddizioni, nelle disillusioni e nella fiducia nonostante tutto di un possibile futuro migliore.
Domande che sollecitano il cuore, stimolano l’intelletto, costringono a guardarsi indietro, a guardarsi addosso, a guardarsi dentro, a guardare avanti.
La recitazione di Luigi Lo Cascio (Vittorio Foa) è tutta concentrata in una tensione ermeneutica lucida e tagliente. Quella di Maria Paiato (Miriam Mafai) e quella di Fausto Russi Alesi (Alfredo Reichlin) è più appassionata, alla passione intellettuale si mescola quella della prassi politica.
Le loro risposte, indirizzate alle porte prima chiuse e poi aperte che si affacciano sulle stanze da cui parlano, mettono in mostra la loro esperienza personale, la loro storia individuale e politica; si mettono e mettono in discussione, rispondono e controinterrogano, danno risposte e le cercano, puntualizzano e ampliano i temi in discussione.
Si parla dell’individualismo che ha preso il posto del collettivismo del passato; della capacità del lavoro di definire l’identità individuale e sociale; delle sfide poste dalla mondializzazione dell’economia; del senso e dei confini del pacifismo della sinistra italiana; del silenzio dei comunisti che forse è il silenzio della politica, una politica che non interroga più non si pone e non pone domande, non costruisce più progetti, non spinge lo sguardo all’orizzonte ma lo limita al qui e ora degli interessi immediati, in un’Italia dove ormai, secondo le parole di Reichlin, “i mercati governano, i tecnici amministrano e i politici vanno in televisione”.
La scena si suddivide in tre stanze. Tranne la prima, benché anch’essa dia un’impressione disadorna, le altre stanze sono vuote, abbandonate o in ristrutturazione. Simboli del tempo che fa da sfondo alla memoria, alla prassi e al progetto (passato, presente, futuro), ovvero simboli della provvisorietà delle acquisizioni della dialettica politica, del cantiere sempre aperto della ragione?
Gli attori parlano prima ciascuno nella propria stanza, con le porte chiuse. Poi le porte si aprono, gli attori si muovono, occupano ciascuno la stanza dell’altro. Alla fine, benché la riflessione dialettica non diventi mai un dialogo diretto ma mantenga sempre la forma comunicativa epistolare, si trovano tutti e tre dentro la stessa stanza, riuniti dalla volontà di dialogo, dall’esercizio comune dell’intelligenza, dall’ottimismo della volontà che cerca nuovi orizzonti al pessimismo della ragione.
Gli stessi spettatori sono letteralmente in movimento: i passaggi di ambientazione, di stanza in stanza, non sono ottenuti con cambi di scena tradizionali: le stanze coesistono ed è lo spettatore insieme all’intera sala teatrale in cui si trova a muoversi grazie ad un sistema di binari per posizionarsi davanti alla stanza in cui si svolge l’azione in quel momento.
“Il silenzio dei comunisti” mette in scena con un’alta tensione intellettuale lo spettacolo della parola e del pensiero, dove il pensiero non è pura speculazione astratta ma si interroga sulla storia, sulla realtà, sulla vita degli uomini, sulle possibilità di una vita migliore e sui modi per ricominciare a progettarla.
Difficilmente si potrebbe chiedere di più al teatro.
Lo spettacolo "Il silenzio dei comunisti" è stato rappresentato a Sesto San Giovanni dal 7 al 19 novembre 2006 a cura
del Piccolo Teatro di Milano - Teatro d'Europa - in collaborazione con il Comune di Sesto San Giovanni - Assessorato alla
Cultura, Sport e Politiche giovanili