Il mondo del cinema degli anni ’50; l’avvento della televisione e di nuovi formati ed eroi; lo
star system e i suoi
condizionamenti; il potere dell’immaginario popolare; una
pulp story di potere-denaro-sesso-morte-cinema; la
rievocazione del noir americano e della sua tradizione letterario-cinematografica (da Chandler e
Viale del tramonto
a
L.A. Condfidential); tutti temi toccati dal racconto parallelo della storia di George Reeves, Superman televisivo
di immenso successo negli anni ’50, schiacciato dal peso del proprio fallimentare successo, e dell’investigatore che indaga
sulla morte, forse avvenuta per suicidio, ma forse per omicidio. Ma Bernbaum alla sceneggiatura e Coulter (regista e
produttore televisivo di non poca esperienza) alla regia scelgono una tonalità minimalista che sfiora i temi senza
approfondirli, lasciando alle storie narrate spessore modesto e interesse tiepido. Non giova al film inoltre il
raddoppiamento delle storie, che affianca specularmene due figure di
losers e delle loro infelicità sentimentali,
professionali ed esistenziali, con il solo risultato di infiacchire ulteriormente ciascuna delle due narrazioni. Brody è
sopra le righe (forse come sempre, ma qui si nota ancora di più) e Affleck, nel ruolo di Reeves, si è portato a casa da
Venezia una Coppa Volpi che sembra incredibile non si sia riusciti ad assegnare a qualcun altro.
DAZEROADIECI: 6
MAURO CARON