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Titolo originale: Gran Torino
Regia: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Nick Schenk
Montaggio: Joel Cox
Musica: Kyle Eastwood, Michael Stevens (II), Clint Eastwood
Fotografia: Tom Sterns
Interpreti principali: Clint Eastwood, Cory Hardrict, John Carroll Lynch, Geraldine Hughes, Brian Haley, Brian Howe, Nana Gbewonyo
Origine : USA 2008
Durata: 116 Min
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Il cinema della rabbia che lega le pulsioni istintive di Mystic River, la rabbia destabilizzante di Million Dollar Baby, lo sconcerto per una dignità perduta di Changelling, i ricordi di Flags of our fathers e Letters from Iwo Jima, la salvezza dell’anima e la lotta contro il male degli Spietati. Gran Torino è questo. Un film potente che si scaglia contro la rabbia, l’intolleranza, l’assurda incomprensione, l’ignoranza compulsiva. Un film che racconta la prospettiva di chi partecipa alla crescita di una Nazione che sembra essere, comunque, il soggetto inseguito, descritto, sfiorato e graffiato da Clint nel suo cinema. E se le questioni religiose tornano spesso come motivo di rilettura dell’animo umano, non ci si dimentichi del forte impatto umanitario del cinema di Clint. Che usa il suo sistema retorico come modello anaforico di commozione, significazione e perdizione. L’uomo è il personaggio del polacco Kowalski fotografato a più riprese, a più livelli, a più altezze. E per questo le ultime immagini riconsegnano al Cinema un mito che esprime con tutto sé stesso (senza rinunciare ai limiti) la forza del Cinema e di quella Nazione di cui ha sempre cercato il lato compassionevole, difficilmente trovato.
DAZEROADIECI:: 8
MATTEO MAZZA
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Dopo le scombiccheratezze in salsa classica di Changeling, Clint Eastwood, alle soglie dei propri splendidi 80 anni, tira le somme del proprio cinema e ritocca la propria icona per consegnarla ai posteri, con un film semplice e toccante. Il cavaliere pallido e solitario, dal passato ferito e con un presente pieno di sensi di colpa, votato al sacrificio di sé; il rapporto con le nuove generazioni e con i “figli”, in genere putativi; la vecchiaia e la malattia, la morte incombente; la presenza del male nel mondo, il senso di responsabilità individuale e la vocazione a difendere i più deboli; i grandi valori americani. I temi più duri, più costanti, più autenticamente eastwoodiani ci sono tutti, e c’è soprattutto lui, il vecchio Clint, con tutta la sua fisicità asciutta, ringhiosa e segnata dagli anni. E in più, rispetto alla sua filmografia, una dose inconsueta di ironia e autoironia che rende la prima parte del film, dopo un prologo che sembra preludere ad una rappresentazione dell’inconciliabilità della convivenza tra razze e etnie, all’impossibilità del melting nella grande pot americana, e prima della svolta drammatica e melodrammatica finale, una godibilissima commedia etnica. E se vuole essere un testamento, Clint cerca di fare le cose per bene: da una parte i grandi valori americani e puritani dell’etica del lavoro, della responsabilità individuale, del rispetto della proprietà privata; dall’altra un razzismo atavico che si stempera via via grazie alla conoscenza, alla simpatia umana, alla pietà. E non era così scontato che il giustiziere spietato e senza nome avrebbe lasciato il proprio testimone ad un mite ragazzo asiatico in cerca del proprio futuro. E nemmeno che, nel farlo, avrebbe sparato molto più con le dita che con la pistola o il fucile.
DAZEROADIECI: 9
MAURO CARON
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