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Titolo originale: Flags of our fathers
Regia: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Paul Haggis dal romanzo omonimo di James Bradley e Ron Powers
Montaggio: Joel Cox
Musica: Clint Eastwood
Fotografia: Tom Stern
Interpreti principali: Ryan Phillippe, Adam Beach, Jesse Bradford, Jamie Bell, Joseph Cross, Neal McDonough, Paul
Walker, Barry Pepper
Origine : Usa 2006
Durata: 130'
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La leggendaria fotografia scattata sul monte Suribachi, che ha creato l'eroismo americano ai tempi della Seconda Guerra
Mondiale, nasconde un segreto. Chi erano veramente quei soldati? Clint Eastwood offre un punto di vista nuovo e rielgge il
mito Usa, intaccando considerevolmente la credibilità di una nazione (una teoria simile sulla conquista della Luna,
esisteva già da tempo ed è molto simile). Un film spietato che rade al suolo qualsiasi convinzione leggendaria o eroica
che rispecchia i precedenti tentativi del regista di Million Dollar Baby e Mystic River di rilleggere i generi
cinematografici. Ricodifica nel senso che offre nuovi punti di vista rispetto a qualcosa di già visto (come il cinema di
guerra) e di già vissuto (la presa di Iwo Jima). Spinto dalle coordinate principali del discorso, l'amarezza e la verità,
Eastwood sembra insitere nel riproporre quell'idea di America estremizzata in Mystic River. Inculca il dubbio
sull'autenticità dell'identità di una nazione e offre una lucida e spiazzante analisi del presente. Qui, però, sembra
mancare quel profondo senso di commozione e sensazioni che spesso ha contraddistinto il suo cinema.
DAZEROADIECI: 7,5
MATTEO MAZZA
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Storia di guerra, amicizia e coraggio durante la presa di Iwo Jima, isola di zolfo cruciale per le sorti della II° Guerra
Mondiale. Ma cosa c'è realmente dietro la famosa fotografia degli eroi che hanno piantato la bandiera americana sul Monte
Suribachi? Eastwood, che ha in progetto di girare un altro film sull'argomento, ma questa volta dal punto di vista dei
giapponesi, è a caccia di verità. Verità sui fatti, verità sulla leggenda, verità sulle manovre politiche conseguenti.
Veniamo così gradualmente a sapere che la prima vera bandiera, quella più rischiosa dal punto di vista dell'incolumità
personale, era già stata piantata (e poi rimossa per la sciocca vanità di un ufficiale); che questi "eroi" facevano dunque
parte delle retrovie (i sopravvissuti sono un infermiere, un pellerossa e uno della staffetta); che nella celebrazione dei
soldati presenti nella fotografia (dove sono tutti inquadrati di spalle) manca un uomo che c'era e c'è al suo posto uno che
non ci dovrebbe essere (i favoriti e i diseredati della storia, direbbe Sestov); e che la fotografia è stata oggetto di
un'abile campagna di propaganda per raccogliere fondi con cui terminare una guerra che ha dissanguitato le casse della
Nazione. Così il film è spartito tra le atrocità sul campo mostrate in flashback e le azioni di un presente (anch'esso
però flashback, perchè il film è raccontato da uno dei reduci al figlio del protagonista) che vede i tre soppravvissuti
della foto girare tutti gli Stati Uniti come fenomeni da baraccone - tra feste, stadi e majorettes - per vendere i buoni
di guerra. Eastwood filma il tramonto degli eroi e graffia la superficie della leggenda per mostrarci una realtà di sangue,
paura e dolore. La scene belliche - indimenticabili - sono assai diverse da quelle dello Spielberg (tra i produttori del
film) del Soldato Ryan, meno inclini cioè a mostrare l'azione degli uomini, qui ridotti a bersagli, a vantaggio
invece dei bombardamenti, dei cannoni, degli areoplani, delle pallottole e del sangue, sotto uno sguardo impassibile e
una fotografia decolorata, buia e crudele. Ma Eastwood non possiede la ferina lucidità di un Kubrick nel radiografare i
giochi di potere o la brutalità di un Aldrich o di un Fuller nella rappresentazione della guerra, gioca con un incastro
narrativo ampiamente collaudato e non sempre efficace (anche se lo script è firmato da Paul Haggis, sceneggiatore di
Million Dollar Baby e regista di Crash), e mira più alla lezione storico-politica che al radicalismo della
denuncia. L'epos, anche se rivisto, rimane dunque intatto. Tralasciamo poi i temi musicali da lui stesso firmati, assai
banali, che, come già in Mystic River, farebbe meglio ad affidare a un professionista del settore. Insomma un buon
film, non un capolavoro, nè un'opera destinata a riscrivere le coordinate del genere.
DAZEROADIECI: 7
MASSIMO ZANICHELLI
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Eastwood guarda indietro alla terribile battaglia di Iwo Jima, in cui americani e giapponesi si contesero un arido isolotto
vulcanico al prezzo di quasi 30.000 morti, e durante la quale fu scattata una delle più famose fotografie della Seconda
Guerra mondiale, quella in cui un gruppo di marines erige una bandiera a stelle e strisce in cima ad una collina. Di
carne al fuoco ne mette tanta: la rappresentazione della guerra che è orrenda ma pur sempre terribile e bella da guardare
(ancora di più con gli effetti digitali, una novità per Eastwood, che moltiplicano navi, aerei, mezzi da sbarco,
esplosioni); la tragicità della morte ma anche il senso di fratellanza che la situazione estrema e precaria fa nascere tra
i commilitoni ( brothers in arms); la retorica (anti)eroica che esce dalla porta per rientrare dalla finestra (vedi
l’infermiere che si trascina nella sabbia con la gamba infarcita di schegge per aiutare i compagni feriti); la propaganda
politica che si impadronisce di alcuni dei superstiti per manovrarli più o meno cinicamente come testimonial per la
raccolta del prestito di guerra; la questione indiana che vede un pellerossa combattere fianco a fianco di coloro che hanno
sterminato il suo popolo e chiuso i sopravissuti in riserve e che neppure dopo essere diventato un eroe americano riesce a
sfuggire al razzismo imperante; il senso della solitudine e della morte (e di una sorta di sopravvivenza post
mortem) che da sempre aleggia nelle pellicole di Clint. Il film è corale, al punto che spesso è arduo distinguere i
personaggi in divisa, fotografato con colori lividi e spenti che tendono alla monocromia, virtuosistico nella ricostruzione
dello scenario della battaglia (si confrontino le immagini del film con le numerose foto storiche che accompagnano i titoli
di coda: sono quasi indistinguibili). Le somme morali che vorrebbero (farci) tirare mantengono un margine di (voluta?)
ambiguità.
DAZEROADIECI: 7
MAURO CARON
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