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Titolo originale: Centochiodi
Regia: Ermanno Olmi
Sceneggiatura: Ermanno Olmi
Montaggio: Paolo Cottignola
Musica: Fabio Vacchi
Fotografia: Fabio Olmi
Interpreti principali: Raz Degan, Luna Bendandi, Amina Syed, Michele Zattara
Origine : Italia, 2007
Durata: 92'
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Un professore universitario (Raz Degan) fugge dopo aver "messo in croce" tutti gli antichi manoscritti di una biblioteca. I
carabinieri lo cercano e lui è accolto dagli abitanti di Bagnolo San Vito, sulle rive del Pò. Olmi ha dichiarato che questo
è il suo ultimo film di finzione. Esce dallo spettacolo per tornare a parlare di quello che, forse, più gli interessa: la
realtà delle persone, dei luoghi occupati e più o meno civilizzati, del lavoro e della natura. A dirla tutta anche qui c'è
tutto questo. E a tratti sembra che l'intenzione del giovane e misterioso professorino sia la stessa dell'Olmi regista: un
ritorno alle origini, alla purezza, al semplice e al giusto. Sorprende anche questa volta Olmi con la semplicità di una
ripresa mai scontata, in bilico tra il lirico e il surreale. Sorprende la capacità di Degan di mantenere una coerenza di
fondo e sorprende, ovviamente, il fondo di tutto discorso. In croce ci vanno i libri, ovvero le teorie. «Nessun libro al
mondo vale un caffè con un amico» dice ad un certo punto Degan. E' vero. Ma non solo. Olmi parte dalle relazioni per
specchiare la condizione della fede e della religione. Un urlo che vuole svegliare tutti dal torpore. Uomini di Chiesa e
non. Nella mancata "resurrezione" di Degan si trova la risposta ad alcune mezze ambiguità.
DAZEROADIECI:: 7,5
MATTEO MAZZA
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Praticamente tutti coloro che hanno parlato dell’ultimo film di finzione di Olmi (ultimo per davvero, nel senso che ha
dichiarato che poi non ne farà più - nel frattempo sta anche lavorando ad un documentario sulla trasformazione delle aree
Falck a Sesto San Giovanni e sul relativo progetto commissionato a Renzo Piano dal costruttore Zunino) hanno usato la parola
“testamento”. Bene, se veramente Centochiodi è il testamento spirituale del regista, si tratta di un testamento
davvero imbarazzante. Partito come un remake de “Il codice da Vinci”, il film diventa ben presto una parabola
francescana e neomessianica (con tanto di maddalene, ultime cene, parabole, ecc. – ma stavolta la crocifissione tocca ai
libri della biblioteca…), manifestando un’ideologia antitecnologica (via il telefonino! via l’automobile! – restiamo nudi
con la carta di credito!), antilluministica e antiumanistica (nel senso storico-letterario del termine): la cultura è
niente; quello che conta è la natura, il cuore semplice della gente (dopodichè si vede un contadino cuore-puro che sta
leggendo “Il Giornale” di Maurizio Belpietro!), un caffè con un amico vale tutti i libri del mondo. E allora il
protagonista, un professore di filosofia di un istituto religioso (quello di cui sopra, il tipico insegnante di filosofia
di un istituto religioso: una sorta di fotomodello che viaggia su Bmw decappottabile) si spoglia di tutto per tornare in una
campagna ancestrale, un’Emilia-Romagna (per collocare geograficamente la vicenda il regista ci fa ascoltare echi lontani di
“Romagna mia” e a più riprese varie altre arie di liscio) con una naiveté della rappresentazione che sta a metà tra le
visioni di un Fellini drasticamente spogliato del genio e le salaci rozzezze di un Tinto Brass mestamente deprivato del
sesso. L’imbarazzo si estende dall’ideologia reazionaria alle scelte stilistiche e narrative (una diffusa sciatteria – che
non diventa mai poesia o ingenuità - pervade la rappresentazione, la recitazione, la scrittura) e alla fine ci troviamo
d’accordo con Olmi: se ha deciso che questo sarà il suo ultimo film, non possiamo che approvare la sua decisione.
DAZEROADIECI: 3
MAURO CARON
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