Quest’anno il traumatico rientro dalle vacanze è stato allietato dall’uscita di Cars, l’ultima produzione del colosso
Disney-Pixar.
Avendo apprezzato le precedenti fatiche di John Lasseter, regista dei due Toy Story e di A Bug’s Life, mi ero coltivata
delle aspettative molto alte, giustificate soprattutto dalla capacità dimostrata dalla Pixar di realizzare film animati
adatti a tutte le età. Invece la sensazione che ho avuto guardando Cars è stata quella di trovarmi di fronte ad un film che
dal punto di vista della realizzazione tecnica non ha precedenti, ma che difetta un po’in tutti gli altri campi, tanto da
risultare sottotono anche agli occhi dello spettatore adulto più bendisposto.
STORIE. La storia del giovane protagonista che, affrontando una serie di ostacoli, impara a credere nei valori
dell’amicizia, dell’amore e della solidarietà è tanto lineare quanto supersfruttata. Basta pensare a film come
Aladdin,
Il re leone o
Mulan, tanto per rimanere nell’ambito delle produzioni disneiane. In Cars la semplicità di tale
struttura, tipica del romanzo di formazione, emerge più nettamente a causa dall’assenza di trovate divertenti che invece
arricchivano film come
Alla ricerca di Nemo o
Monsters & Co. Trovate che sono diventate dei veri
tormentoni, come le uscite fuori luogo di Dori in perenne lotta con le sue frequenti amnesie (Alla ricerca di Nemo).
Neanche l’ambientazione nel suggestivo paesaggio della provincia americana, che rimanda all’immaginario di registi come
John Ford o Wim Wenders, riesce a compensare la scarsa originalità della trama. Nelle interviste rilasciate in occasione
dell’uscita del film Lasseter parla delle vecchie statali che attraversano il cuore dell’America e che fino alla
costruzione delle più veloci autostrade erano le uniche arterie di collegamento. Strade che lui descrive come piene di
posti caratteristici e non ancora invase dalle catene di
fast food. Attorno a questa idea molto romantica di
intendere il viaggio nella sua dimensione
low speed sono stati sviluppati gli ambienti della cittadina di
Radiator Springs e dei suoi immediati dintorni.
MODELLI. Per i personaggi il discorso è simile. Da una lato bisogna riconoscere l’abilità degli animatori
nell’aver conferito loro una straordinaria umanità. Dall’altro però è inevitabile notare come questi ricalchino i classici
modelli del giovane eroe che diventa adulto conquistandosi una posizione di stabilità e felicità, dell’eroina oggetto del
suo amore, del vecchio saggio che insegna al giovane i valori della vita o dello scemo del villaggio che sa farsi voler
bene per la sua generosità. Non solo. L’eccessiva antropomorfizzazione di questi oggetti, che pensano e agiscono come
esseri umani, non lascia spazio ad un’espressività più consona alla loro natura. Se si confrontano Saetta, Sally e Doc con
i protagonisti dei cortometraggi della Pixar questa differenza balza subito all’occhio. La lampada da tavolo di
Luxo Jr. , simbolo della Pixar, gli uccelli di
For the Birds il pupazzo di neve di
Knick Knack
sono molto più espressivi, autentici, simpatici e commoventi di Saetta & Co.
Il tema principale, quello del viaggio, viene sviluppato in parallelo con il percorso di Saetta alla ricerca della felicità
e dei valori veri della vita e scade spesso in scene un po’ mielose. Amore, amicizia, lavoro di squadra, spirito di
collaborazione … tutti temi che, benché godano di una certa universalità, sono già stati proposti e riproposti nelle loro
mille sfumature. In più sembra esserci quasi una forzatura nel voler mettere bene in luce a tutti i costi la morale della
storia. E questo alla lunga risulta inevitabilmente pedante agli occhi degli adulti così come a quelli dei bambini.
Detto questo, di Cars si salvano comunque molte cose. Le vecchie macchine arrugginite, assolutamente magnifiche nel ruolo
delle perdenti di fronte ai nuovi e scintillanti modelli da corsa. Curate fin nei più piccoli particolari della
carrozzeria, hanno quel fascino che invece le cose nuove di zecca non hanno. I trattori/mucca che ronfano nel prato
recintato come un tipico branco di placidi bovini e la trebbiatrice/toro che fa loro la guardia. Il design anni ’50 di
Radiator Springs con le luci al neon, i cartelli di benvenuto e l’unico e inutile semaforo giallo lampeggiante, simbolo
drammatico e inquietante dell’assenza di traffico, e quindi di vita, della cittadina. Divertono certe gag come la diatriba
musicale tra i due vicini di casa. Da un lato la jeep militare che saluta ogni nuovo giorno con l’alzabandiera accompagnato
dall’inno nazionale e dall’altro il furgoncino Volkswagen che, da bravo hippy, preferisce la versione di Jimi Hendrix. La
colonna sonora in generale è ricca di brani tipicamente
on the road che ben si sposano con il lento scorrere delle
auto nel paesaggio desertico. E' assolutamente geniale il fatto che tutte le creature fossero macchine, animali compresi, e
lo sketch metacinematografico con la mosca/maggiolino che sbatte contro il finto obiettivo della telecamera in una delle
sequenze finali del film. Lasseter ci ha inoltre omaggiato di una chicca finale. Nei titoli di coda i protagonisti sono
parcheggiati in un
drive in e guardano
A Bug’s Life, Toy Story e Monsters & Co. i cui attori sono macchine,
ovviamente.
L'ARTE DELLA PIXAR. E’ ormai palese che il digitale si stia affermando sempre più come una tecnica tra le più
diffuse nella realizzazione di film, di cortometraggi o di spot animati. La Pixar si è trovata nel corso degli anni ad
affrontare diverse sfide: l’espressività dei giocattoli in
Toy Story, la resa realistica del mondo acquatico
sottomarino di
Alla ricerca di Nemo e i movimenti dei primi personaggi umani digitali ne
Gli Incredibili.
Cars non è stato da meno. Prima di tutto la resa della velocità. Secondariamente l’illuminazione che, grazie al
sapiente bilanciamento delle ombre, dona una consistenza fisica agli oggetti digitali. Qui la complicazione era costituita
dai riflessi sulla carrozzeria e sui cerchioni. Per fare tutto ciò Lasseter e soci hanno avuto a disposizione tre software
di cui la Pixar detiene l’esclusiva. Si tratta di
Marionette, per animare, di
Ringmaster, per coordinare le
animazioni e di Renderman, per la resa realistica. In particolare per la resa della velocità la tecnica usata è quella
della
ray tracing, già sperimentata ne
Gli Incredibili. Il
ground locking system ha permesso
invece di dare l’idea della forza di gravità a cui neanche i cartoni animati possono sottrarsi. Se si calcola che per
renderizzare il frame più semplice ci vogliono in media una ventina di ore, non stupisce che la lavorazione di
Cars
si sia prolungata per quattro anni e mezzo e abbia visto al lavoro ogni giorno circa 260 persone. Non sono mancati
incidenti di percorso con perdita di informazioni che hanno costretto gli animatori a riprogettare da capo alcuni
frame. Indubbiamente Lasseter ha sempre la grande capacità di usare tutta questa tecnologia come un valido
strumento di lavoro e mai come una sperimentazione fine a se stessa.
Cars rimane quindi un film tanto interessante dal punto di vista tecnico quanto poco originale nella trama, nei temi
trattati e nello sviluppo dei personaggi. La tendenza a voler sempre e comunque suggerire una morale e la scelta di
antropomorfizzare i personaggi non umani, rimanda a quei canoni disneiani che da decenni detengono il monopolio come unico
modello d’animazione possibile. E’ come se
Cars fosse la declinazione in digitale del pensiero disneiano. Chi,
aveva sperato che la Pixar si sarebbe affermata come alternativa alla Disney ha dovuto ricredersi. Fino al film
Gli
Incredibili il contratto prevedeva che la Pixar si occupasse della realizzazione e la Disney solo della distribuzione.
La possibilità che la Pixar, scaduto tale contratto, rompesse i legami con il colosso americano acquistando una maggiore
autonomia sono invece sfumati. Nel gennaio 2006 la Pixar è stata acquistata dalla Disney per 7,4 miliardi di dollari. Non
resta che prendere atto di questa situazione e sperare che alle novità tecnologiche facciano presto seguito anche dei
rinnovamenti di contenuto e struttura. «Anche le immagini più stupefacenti e “mai viste”, e le arditezze più pirotecniche,
impallidiscono rapidamente nella memoria dello spettatore che le abbia visionate anche solo poche volte; a meno che non
abbiano maggiore sostanza del semplice sortilegio tecnico».