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Titolo originale: Bobby
Regia: Emilio Estevez
Sceneggiatura: Emilio Estevez
Montaggio: Richard Chew
Musica: Mark Isham
Fotografia: Michael Barrett
Interpreti principali:Anthony Hopkins, Helen Hunt, Nick Cannon, Emilio Estevez, Colin Ferguson, Demi Moore, Freddy
Rodriguez, Sharon Stone, Elijah Wood, Michael Bowen, Laurence Fishburne, Ashton Kutcher, Heather Graham, Jacob Vargas,
Martin Sheen, Gus Lynch, John Lavachielli, David Krumholtz, Harry Belafonte, Lindsay Lohan, Christian Slater, Joshua
Jackson, William H. Macy
Origine : Usa, 2006
Durata: 114'
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Le ultime ore di vita di Bob Kennedy, le ultime parole, gli ultimi pensieri dedicati ad un'America illusa e sognatrice,
fregata e arrabbiata, impotente e omicida. Uno spaccato di un tempo che fu, di una società che si preparava ad una svolta,
di occhi proiettati al futuro e orecchie ferme sul presente. Un'altra data sporca di sangue, un'altra ferita che spaccò
ulteriormente l'America, che portò paura e sconforto. Un'altra tappa affrontata da un paese vittima e carnifice di sè
stesso. Emilio Estevez ricorda quella America con nostalgia e affetto, e pur strizzando l'occhio ad Altman nella regia
corale, offre un dignitoso e onesto profilo dei personaggi coinvolti. Un hotel come sfondo. Parole (elettorali) come colonna
sonora, maschere (di volti) come costumi di scena. Un grande cast che forse rischia di abbagliare lo spettatore più per la
carriera di ciascuno che per il reale peso assunto nel film.
DAZEROADIECI:: 6,5
MATTEO MAZZA
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Ventidue personaggi per raccontare la fine dell’innocenza dell’America. Ventidue facce di un paese smarrito in cerca di sè
che perde per l’ennesima volta la possibilità di un vero riscatto. Ventidue facce. Più una, la faccia pulita da bimbo del
Senatore Robert Francio Kennedy, candidato alle presidenziali e ferito a morte nelle cucine dell’Ambassador Hotel a Los
Angeles il 5 giugno 1968. Emilio Estevez riunisce un cast "all star" per raccontare le illusioni di un'America perduta, ma
ancora capace di amare e di essere compassionevole, come ribadiva il Senatore Kennedy nei suoi discorsi. Ogni personaggio,
alla ricerca di sè stesso, si sente spinto dalle parole del Senatore e da un’innocenza ancora genuina a compiere piccoli
atti di coraggio quotidiano: regalare biglietti della partita, sposarsi, prestare una radio, soccorrere un ex dipendente
ferito. Tutto questo per superare barriere razziali, salvare delle vite, regalare semplici attimi di serenità. Ma è negli
occhi di chi ha visto passare il mondo attraverso la porta a vetri dell’Hotel Ambassador, il vecchio portiere Anthony
Hopkins, che si legge la consapevolezza della fine di un mondo in cui si poteva ancora credere. Un film corale alla Altman,
ma più sfilacciato, con alcune storie non sviluppate al meglio, e con alcuni errori di mis-casting (vedi l’improbabile
pusher hippy Ashton Kutcher) che però la regia di Estevez fa vibrare di passione civile. Difficile non commuoversi nella
lunga scena finale.
DAZEROADIECI:6,5
DONATA SALA
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L’ultimo giorno di vita di Robert Kennedy, raccontato senza che lui si veda mai, se non in immagini televisive o fotografie,
oppure come una sagoma indistinta in mezzo alla folla nelle sequenze finali. 1968. In un’epoca di grandissime tensioni
nazionali e internazionali, politiche, sociali, razziali, l’America tenta di riconquistare la propria innocenza (perduta a
colpi di omicidi politici – John Kennedy, Martin Luther King – e di “sporche” guerre) e riprova a sognare insieme a
“Bobby”, di cui ascoltiamo i bellissimi discorsi – vale la pena di vedere il film anche solo per questa occasione –
improntati alla fratellanza e alla solidarietà interna ed esterna, alla volontà di superare le barriere che dividono poveri
da ricchi, privilegiati da diseredati, bianchi da neri, America dal resto del mondo. Ma c’è sempre un utile idiota con
un’arma in mano per riportare l’America e il mondo con i piedi per terra. Nell’albergo californiano dove si compie
l’attentato, una ventina di personaggi (alcuni rimarranno essi stessi feriti) vivono la loro vita di tutti i giorni,
assorbiti dai propri problemi individuali, sfiorati dall’ala di un’utopia (im)possibile, ignari di essere destinati ad
essere testimoni dell’ennesimo tristissimo evento storico. Estevez (figlio di Martin e fratello di Charlie Sheen) dipinge
un affresco di chiarissima ispirazione altmaniana; ci sono qualche caduta di ritmo, qualche episodio meno ispirato e
qualche soluzione convenzionale, ma il tutto è sorretto da un sincero afflato umanistico e politico e alla fine è difficile
trattenere la commozione e non sentire i brividi, udendo le parole di Kennedy che descrivono un mondo migliore: come sembra
potrebbe essere ma che ostinatamente non è mai.
DAZEROADIECI: 7,5
MAURO CARON
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