FUORISCHERMO

 

ZAVATTINI TEORICO
DEL NEOREALISMO:
l’immediatezza, la casualita’, la quotidianita’
EDUARDO CIGNO
I giovani di Za I Cinecircoli Giovanili Socioculturali hanno di recente pubblicato per la Casa Editrice Le Mani di Genova un prezioso lavoro sulla figura del grande scrittore-giornalista Cesare Zavattini:


«I giovani di Za – Il mondo e il cinema di Cesare Zavattini. Conversazioni e pensieri» a cura di Candido Coppetelli e Giancarlo Giraud, Le Mani, Genova

Il volume presenta la figura di Cesare Zavattini attraverso una serie di incontri, testimonianze e conversazioni con alcune tra le tante personalità che l’hanno conosciuto e apprezzato: Giuseppe Bertolucci, Maria Cassi, Luigi Di Gianni, Luigi Faccini, Giuseppe Ferrara, Ansano Giannarelli, Ugo Gregoretti, Carlo Lizzani, Citto Maselli, Gianfranco Mingozzi, Giuliano Montaldo, Marina Piperno, Furio Scarpelli, Paolo e Vittorio Taviani. Dalla raccolta esce una figura piena di sfaccettature e di luci, che evidenzia come Zavattini abbia favorito l’esordio di giovani registi e documentaristi e, in senso più ampio, quanto sia stata grande la sua disponibilità nei confronti dei giovani.

Per l’occasione vi proponiamo in esclusiva su Fuorischermo.net questa attenta riflessione sulla poetica zavattiniana a cura di Eduardo Cigno


La critica storiografica del cinema tende a dividere in due parti distinte l’attività e il pensiero di Cesare Zavattini: una parte totalmente integrata nel cinema tradizionale con le sue strutture, i suoi compromessi e le sue esigenze tecnico-spettacolari, e un’altra invece, quella più vera, immersa nel sogno e nella tensione sia teorica che pratica verso un cinema “nuovo”.
Zavattini approda al cinema nutrendo ammirazione per Chaplin, Renè Clair e il cinema americano, adotta il nuovo mezzo di espressione con un trasporto che non lascia spazi all’analisi critica delle situazioni né tantomeno a una coscienza politica: lo dimostra l’assenza, nei suoi soggetti anteriori al 1945, di una qualunque critica al fascismo, ad esclusione della costante tematica poveri-ricchi.
Neorealismo, per Zavattini, significa cogliere il punto critico di una situazione e poi sviscerarlo, andarci dentro, farne motivo di conoscenza. Occorre, dunque, cambiare la sua funzione, riuscire a penetrare nel concreto, in un cinema in presa diretta con la realtà politica e storica del momento.
Cesare Zavattini Un concetto fondamentale, in questo caso, è l’immediatezza che assume la funzione di sintesi in quanto sentimento del tempo in grado di raccontare lo svolgimento dell’azione, come se avvenisse in quell’ istante e venisse vissuta in presa diretta dal narratore.
Lui stesso, provocatoriamente, proponeva di “bruciare i soggetti”, buoni o cattivi che fossero, perché i soggetti arrivano sempre tardi sul “luogo del delitto”, perché tramite uno dei suoi tanti aneddoti diceva che “la casa brucia” qui e adesso e non deve poterci essere il tempo di ritardare la tragedia attraverso la narrazione.

«Il cinema del “durante”, di cui Zavattini divenne tenace e solitario sostenitore, appare oggi come il figlio abortito del clima e dello spirito neorealista, ne porta tutti i segni anche se in esso è impossibile non intravedere perlomeno la fertilità di un progetto che era utopico in quanto era sostanzialmente ideologico. Quel rapporto tra fruizione e creazione che Zavattini si poneva come momento propedeutico è un frutto del neorealismo, e così pure la poetica dell’uomo, la tensione a rappresentare il fatto, l’ansia di farsi in qualche modo spiegazione e moralità». (1)

In un numero della rivista Cinema del 1942, Zavattini spiegò ciò che intendeva per racconto cinematografico: una scena di strada durata appena un minuto, un urto tra due passanti, una rissa, uno sparo. E tutto viene analizzato come un film di novanta minuti.

«Per me il cinema è nell’esempio che offro […] Ecco quaranta metri di pellicola, un minuto di cinema… Con quaranta metri di pellicola, un solo minuto di proiezione, si può dire qualcosa di interessante: non voglio maravigliare nessuno.
[..] Strada affollata, gente che va per i propri affari; due uomini camminano parlando e ridendo, uno dei due urta involontariamente un altro passante che viene dalla parte opposta. Il passante urtato brontola, l’altro gli chiede scusa ridendo; quello, urtato, dice che non è il caso di ridere e lancia un’offesa, alla quale l’offeso, fattosi serio, risponde per le rime. Si moltiplicano le offese, si arriva alle mani alzate, ai pugni, accorre gente, qualcuno cerca di separare i contendenti. Uno dei due estrae la rivoltella e spara, colpisce l’avversario che cade tra le braccia di un passante o al suolo.
Tutto qua: ho cronometrato l’azione, e dura un minuto». (2)

Da questo racconto breve ma intenso di azioni, si può ricavare un film di durata media, analizzando e ripetendo la scena in molti altri modi, così da dimostrare che è l’immediatezza di un’azione colta nel suo divenire che compie l’atto creativo del soggetto, e non più un messaggio raccontato frutto di una pre-conoscenza di un fatto.
Cesare Zavattini In merito alla sua attività pittorica, anche Renato Barilli, in un saggio scritto in occasione di una serie di manifestazioni zavattiniane tenutesi a Reggio Emilia nell’ottobre del 1988, conviene sull’importanza dell’immediatezza nella sua poetica:

«La pittura è il mezzo che consente al Nostro, per la prima volta in ordine di tempo, verso la fine degli anni Trenta, di inseguire il fine essenziale dell’immediatezza: trovare strumenti che immettano senza indugi sulla realtà, che facciano presa su di essa, la azzannino senza filtri inopportuni. Un fine, questo, che si accompagna all’altro coniugato secondo cui deve trattarsi di un’immediatezza non solitaria; occorre che il mezzo da privilegiare sia comune, partecipabile alla portata di tutti». (3)

In questa ottica si vuol vedere in Zavattini, che per educazione e professione risulta uno scrittore e, quindi, è produttore di testi letterari, una personalità che di buon grado accetta di passare dai caratteri della scrittura tipografica alle nuove tecnologie portate dal mezzo cinematografico perché ritenute di gran lunga più efficaci nella ricezione del messaggio di immediatezza e del “fare presto” che si vuol trasmettere:

«Si aggiunge, in Zavattini, l’intuizione che lo strumento della scrittura tipografica ha i tempi contati, e che perderà prima o poi il suo ruolo portante, sostituita dai mezzi alternativi della fotochimica e dell’elettronica. La premonizione del “non libro” aleggia già nelle prime prove zavattiniane. Quanto alla collaborazione cinematografica, anch’essa nell’ultimo scorcio degli anni Trenta, avviene nei modi mediati e raffinati di un sottile letterato che fornisce soggetti a un apparato tecnico-produttivo, di cui poco si sforza di penetrare la logica intrinseca».(4)

Zavattini ha sostenuto la teoria del pedinamento, quintessenza della sua concezione neorealista: la macchina da presa segue un uomo per la strada, lo accompagna nel suo vagabondare, nei suoi incontri fino a farne scoprire l’indole e quindi a crearne la storia.
L’esistenza di un vicino di casa può essere interessante a patto però di riuscire a estrarne il succo:

«Quando dico “basta con i soggetti è perché con l’inventare una storia mi pare di tradire questa immediatezza e freschezza della macchina da presa…: tra il momento del pensiero e il momento in cui la macchina realizza questo pensiero ci corre troppo tempo attualmente. Ecco perché penso al diario come all’espressione più completa e autentica del cinema». (5)

Ladri di biciclette L’esistenza dell’individuo racchiusa nella quotidianità è motivo di grande interesse per chi la osserva da dietro una macchina da presa o da uno schermo. E’ una presa diretta a contatto con la realtà di un soggetto la cui giornata è scandita da eventi casuali e ostacoli che capitano sulla propria strada. E’ lo spirito e il filo conduttore su cui si regge la struttura portante di Ladri di biciclette, con la minuziosa ricostruzione della giornata di un uomo che con il figlio vaga per le strade di Roma alla ricerca della bicicletta che gli è stata rubata.
Un evento che, agli occhi di un qualsiasi osservatore, può sembrare banale in quanto viene classificato solitamente come un normale fatto di cronaca, ma che, invece, è rilevante per il protagonista. Per lui, infatti, la bicicletta è il mezzo indispensabile per svolgere il lavoro di attacchino che ha ottenuto molto faticosamente e tale oggetto assume un significato particolare anche ai fini della storia, la quale, senza di esso, non avrebbe ragione d’esistere.
Eppure, questa strenua ricerca dell’oggetto passa attraverso personaggi diversi e multiformi che, solo il caso, mette sulla strada dei due protagonisti, è un pedinamento ossessivo, penetrante e coinvolgente che sembra non giungere mai a una conclusione.
L’uso della cinepresa non è determinato, esso si sviluppa tramite la realtà e con le diverse esigenze di esprimerla il più direttamente possibile.
Zavattini sognava il film-lampo, ma il cinema è un meccanismo i cui ritmi non possono essere accelerati più di tanto e, in questo senso, la televisione è il mezzo che più si avvicina alle sue aspirazioni di immediatezza e casualità:

«Se fossi il padrone della TV, spalancherei le porte di via Teulada almeno una volta al mese, avanti, avanti, avanti, e lascerei che chiunque apparisse sul video a modo suo, chi con un turacciolo al naso, chi in pigiama, chi urlante, chi solo, chi con i coinquilini o i compaesani. Fate, dite, liberatevi dai complessi d’inferiorità alimentati proprio dalla TV stessa in tutto il mondo». (6)

La veritàaaa Rileggendo, a trent’anni di distanza, queste dichiarazioni è difficile non pensare a un profetico riferimento ai reality-shows che dilagano oggi sulle nostre reti televisive, e non è nemmeno azzardato rifarsi alla sua vecchia idea sulla realizzazione di una candid camera che spiasse ventiquattr’ore su ventiquattro la vita di un signor Rossi qualsiasi (perché in un arco di tempo così lungo un evento casuale potrebbe captare l’attenzione dello spettatore) o all’unico suo film personalmente diretto La veritàaaa dove veniva rappresentato un “canale televisivo” degli italiani in cui ognuno era libero di esprimere la propria verità.

«Quando realizzavo questi film negli anni ’50, mi nascevano i bisogni di film-lampo perché lo spazio tra la cosa successa e la sua proiezione sullo schermo fosse minimo, per avere ancora la fragranza: quindi vedi che già cominciavo ad avere molto chiaro il dato politico come fatto di milizia e di immediatezza».(7)

Una cosa, quindi, è il cinema di quello che è accaduto che si porta addosso i fatti, facendoli diventare strumento di comprensione anche del momento presente; un’altra è il fatto che accade, e allora l’evento, mentre accade, se assunto fino in fondo sbocca in un cinema dove non esiste la parola fine; si conosce l’inizio in quanto dato da una certa situazione ma da lì in avanti non si sa cosa succederà.
E’ un procedere per piccoli passi verso un futuro non predeterminato.
«Il concetto nuovo è che il cinema di oggi non può che guardare in faccia la situazione che pone di fronte il capitale, con tutta la sua organizzazione, con la massa che fa uso di tutti i mezzi che ha oppure ne è rallentata nella sua dinamica di lotta. Da questo deriva il rifiuto radicale del cinema che ho chiamato del film-ogni-tanto e che è sostituito dal cinema-continuo, cioè da un cinema che ha la stessa carica degli eventi che sono continui o senza soluzione di continuità, mentre le soluzioni di continuità dell’altro cinema fanno parte di quelle strutture di tempo e di realtà che dobbiamo superare».(8)

Cesare Zavattini Il rifiuto di un cinema che narra e seleziona i momenti significativi dell’esistenza umana, che si muove sempre e costantemente in senso riduttivistico rispetto all’”accaduto” porta Zavattini a teorizzare la necessità del “film-inchiesta” :

«Facciamo cento film, mille, cinquemila con il metodo dell’inchiesta, e ci accorgeremo che le diverse necessità arriveranno a farci esprimere in una inarrestabile pluralità di forme, per il momento imprevedibili. E’ questo un modo di moltiplicare all’infinito i linguaggi e insieme ad essi modificare i rapporti, le ipotesi gli schemi».(9)

Il film-inchiesta non ha la pretesa di ricercare una verità ma semplicemente un’approssimazione, non pretende una completezza d’informazione dei contenuti ma una ricerca continua, che conduca a quello che Zavattini chiamava “conoscere per provvedere”.

Anche il montaggio appare l’esatto contrario di ciò che vorrebbe pretendere, vale a dire una maggiore attenzione ai fatti, alle cose come sono, alle tematiche che si esprimono nella norma e mai nell’eccezione.
Il montaggio è qualcosa che si pone davanti agli atti e che deve effettuare, tramite un’operazione di sintesi, una selezione per mantenerne alcuni aspetti ed eliminarne degli altri, tralasciando in questo modo quelle che Zavattini definiva le “intercapedini” tra atto e atto, le quali, esse pure sono a loro volta degli atti:

Cesare Zavattini «…una volta, sempre per le malintese ragioni di ritmo, suspence, movimento eccetera, una lite non poteva durare più di due minuti, perché si diceva, il pubblico si sarebbe stancato e bisognava passare oltre. Oggi siamo riusciti a farla durare il tempo necessario, perché la lite possa essere analizzata in tutti i suoi elementi, in tutti i suoi echi, in tutta la sua essenza.
Questo avverrà solo il giorno in cui si arriverà a convincersi che una lite, naturalmente parlo di una lite qualunque tra uomini qualunque in un luogo qualunque, fatta vedere nel più analitico dei modi, ha in sé dei momenti di dolore, di stupore, di tensione come la più costruita delle storie».(10)

E la più costruita delle storie può essere, quindi, anche solo quella di un uomo qualunque, colto nell’immediatezza dei suoi aspetti quotidiani in una precisa unità spazio-temporale, non servono grandi eventi. Ogni evento, seppur semplice per il pubblico, racchiude molti aspetti e ciò che conta è coglierli tutti, così da costruire una storia. Il compito più importante spetta certamente a chi è dietro la macchina da presa: dovrà mostrare che, anche il più banale degli eventi (come, ad esempio, può esserlo una lite fra uomini qualsiasi), può essere trasformato, attraverso l’analisi dettagliata delle sfaccettature emotive e dell’excursus fra i vari sentimenti del o dei protagonisti, magari contrastanti fra di loro, in un capolavoro di introspezione.

note: (1) Sandro Petraglia, Cesare Zavattini teorico del neorealismo, in Il neorealismo cinematografico italiano a cura di Lino Miccichè, Venezia Marsilio editore 1975
(2) Cesare Zavattini, Un minuto di cinema in Cinema n.136 del 25 febbraio 1942.
(3) Renato Barilli, Il pianeta Zavattini in Zavattini cinema a cura di Tullio Masoni e Paolo Vecchi, Bologna Edizioni Analisi 1988.
(4) Renato Barilli, op. cit.
(5) Cesare Zavattini, Neorealismo ecc. , Milano Bompiani 1979.
(6) Giacomo Gambetti, Zavattini mago e tecnico, Roma Ente dello Spettacolo 1986.
(7) Intervista di G. Gambetti a Zavattini in Zavattini mago e tecnico
(8) G. Gambetti op. cit.
(9) Sandro Petraglia op. cit.
(10)C . Zavattini, op.cit.