Il fulcro del disperato e intenso documentario di Michael Glawogger è l'uomo con il suo corpo. Le mani tagliate, dure,
ruvide, sporche e bagnate dal sangue. La pelle come il cuoio. Gli occhi pieni di lacrime secche e amarezza, bruciati dalle
polveri. Le narici otturate dagli odori nauseanti. Le gambe pesanti come macigni, la schiena piegata, le braccia sempre in
movimento.
L'uomo è il centro. Anche se ha perso la dignità. Anche se è stremato, avvilito, sottratto alla felicità e
alla giustizia. L'uomo vive anche così. Dentro e fuori di una miniera. Sopra e sotto una fonderia. Vende cadaveri in
un mattatoio. Respira i fumi. Mastica zolfo. Guarda il cielo ma non vede oltre, non vede altro.
Workingman's death è
rabbia, disperazione e rassegnazione. Glawogger testimonia il dramma di questo precariato senza nascondere niente. Il
suo è un occhio sempre aperto. Guarda a tutto con attenzione, cura e rispetto. E' scrupoloso quando si tratta di
evidenziare la mancanza di sicurezza ed igiene, coraggioso nel mostrare le situazioni più cruente. L'immagine comunica con
gli sguardi, le parole sono poche e marginali. Prevale uno stile elegante, di notevole impatto visivo anche grazie al
coerente uso cromatico. Un film estremo, necessario e testimone della dignità persa. Un ponte visivo che immerge in luoghi
dannati.
MATTEO MAZZA