Piccole e grandi delusioni e mediocrità quotidiane che appartengono a uomini e donne.
Ma Jenna alimenta ancora la speranza di superare il ristretto orizzonte della propria realtà, ogni giorno nella faticosa
semplicità del suo lavoro di cameriera al Joe’s Diner.
Le torte di Jenna sono traduzione simultanea dei suoi pensieri, impulsi, sofferenze, ma anche voce di qualcosa di inconscio,
di rimosso. C’è un percorso ben preciso che più volte lungo il corso della vicenda richiama un senso di perdita, di
nostalgia: la protagonista è rimasta sempre una “figlia”, nel profondo del suo animo, ed il pensiero di dover essere,
improvvisamente e indesideratamente madre, la terrorizza. Eppure quel suo gesto amorevole di infornare torte ha un che di
materno; e nel caldo “nido” del forno si rinnova quotidianamente una dolcissima “gestazione”.
E’ dalla madre che Jenna ha appreso l’arte della cucina: la spiava sin da bambina, e osservandola con attenzione si
impadroniva dei segreti delle ricette e del sapiente abbinamento degli ingredienti.
Forse una torta non può “risolvere i problemi del mondo”, ma è innegabile che il modo in cui i differenti sapori si
rivelano sia un momento di vera “arte”.
In ciò risiedono il fascino e la “magia” di Jenna: ella forse non ne è pienamente consapevole, ma detiene le armi in grado
di dischiudere le porte del piacere, del gusto e della mente al tempo stesso.
Anche solo per la durata di qualche boccone, assaggiare le sue torte permette di riscoprire la corporeità e con essa
sentimenti e sensazioni che erano rimasti sopiti.
La vera sorpresa per lo spettatore è scoprire che la tanto temuta e respinta maternità non finisce per soffocare la
passione la creatività della protagonista, ne è invece un potente propulsore.
È un’emozione scorgere nell’amore di Jenna per le ricette che inventa un dolcissimo esorcismo nei confronti di una vita
avida di soddisfazioni; ma soprattutto notare come la giovane cameriera di provincia interpretata da Keri Russell
arricchisca l’immaginario cinematografico dello spettatore.
Senza timore di risultare offensiva, la regista Adrienne Shelly ci racconta di una donna che non si sente affatto felice ed
appagata al pensiero di aspettare un bambino, e che anzi fa di tutto per respingere l’idea: da ciò scaturisce un ritratto
di madre che è significativo proprio perché corredato di sfumature e contraddizioni interiori. Dolcemente imparentato con
alcune “madri cinematografiche” che per eccellenza sanno ingegnarsi, creare, ma soprattutto trasmettere amore ed essere una
presenza insostituibile per i propri cari.
Le difficoltà ed i contrasti quotidiani spesso si appianano davanti ad un invitante piatto caldo, preparato con ogni cura.
Dalla madre felliniana di
Amarcord, che nutre e senza la quale la cucina – e la vita – si svuotano, alle figure
femminili sulle spiagge italiane degli anni ’50 e ’60, che portano amorevolmente con sé il cibo preparato a casa, affinché
non manchi nulla alle trasferte della famiglia.
Con le numerose preparazioni di torte, dolci e salate, che hanno costellato la sua vita, Jenna ha sempre inseguito una via
di fuga, un modo per colmare la distanza tra sé e la propria esistenza non priva di solitudine, ma anche per recuperare
un’infanzia perduta che le manca profondamente.
Le basterà comprendere che quella sua stessa vita può mutare d’un colpo, sradicare le precedenti certezze ed offrirle una
seconda chance, tenendo per mano la sua bambina.