Col rischio di essere frainteso (e in molti lo hanno frainteso) a causa della sua forza adrenalinica e spettacolare, il film di Kathryn Bigelow racconta in modo provocatorio e cinico quello che sta dietro la scelta dell’eroe di guerra.
The Hurt Locker non vuole santificare niente e nessuno. Non sta dalla parte di nessuno. Si limita a raccontare con grande enfasi e retorica (ma questo fa parte di una scelta stilistica) la vita di chi combatte, spara, disinnesca bombe. La Bigelow traccia una linea feroce e sanguinolenta sul corpo dell’uomo, come una ferita, e si installa dentro il pensiero di chi ha percepisce la guerra come habitat naturale, come unico luogo per sentirsi vivo. È qui che risiede tutta la tristezza di questo film, e questo film lo sa fin dall’inizio: esistono persone che si sentono chiamate a fare questo; esistono persone che vivono per questo. Sembra dirci che, di fatto, dobbiamo rendercene conto e accettare la cosa. Questo è un film che racconta una dipendenza grave, come se si trattasse di una droga necessaria non per sballarsi, ma per vivere. E il finale, dove compare l’unico personaggio femminile significativo, conferma tutta la tesi iniziale.
DAZEROADIECI:: 8
MATTEO MAZZA