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THE BLACK DAHLIA
FLYER
Titolo originale: The black dahlia
Regia: Brian De Palma
Sceneggiatura: Josh Friedman
Montaggio: Bill Pankow
Musica: James Horner
Fotografia: Vilmos Zsigmond
Interpreti principali: Josh Hartnett, Scarlett Johansson, Aaron Eckhart, Hilary Swank, Mia Kirshner
Origine : Usa, 2006
Durata: 120'
Colore





FLYER Fiero ritorno dietro la macchina da presa per Brian De Palma, tra i registi-cinéphile più carismatici della New Hollywood a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta ( Il fantasma del palcoscenico, Carrie, Vestito per uccidere, Blow Out, Scarface, Omicidio a luci rosse), che, pur senza toccare gli apici di Carlito's Way (di gran lunga il suo film migliore degli ultimi vent'anni) ritrova quella vena e quel vigore che sembrava aver smarrito negli ultimi tempi, tra opere di mestiere poco personali (le due Mission, quella Impossible con Tom Cruise e quella to Mars dagli evenescenti accenti new age) o sterili esercizi di stile ( Omicidio in diretta e soprattutto l'autoreferenziale, farraginoso Femme Fatale). Lo fa con una storia volutamente intricata, in puro stile hard-boiled (il cui modello paradigmatico resta Il grande sonno), tratta da un cupo romanzo di James Ellroy, di cui traspaiono le ossessioni tematiche (i bassifondi morali, il doppio, la violenza efferata contro le donne, temi già visibili in L.A. Confidential di Curtis Hanson) e che in più di una circostanza si è detto soddisfatto dell'adattamento (la sceneggiatura è di Josh Friedman). Josh Hartnett (in una prova finalmente matura) e Aaron Eckhart (il brillante interprete di Thank You for Smoking) sono due poliziotti, amici ed ex pugili, che nella Los Angeles degli anni Quaranta cercano di trovare il bandolo della matassa del brutale assassinio di una giovane starlette di Hollywood. Scoperchianno il classico vaso di Pandora, e non senza perdite importanti. Noir nei toni e nell'anima, supportato da un cast efficace (accanto alla coppia maschile ben figurano Scarlett Johansson, nella parte della moglie angustiata di Eckhart, e la dark lady Hilary Swank, in un ruolo per lei inusuale), il film di De Palma non ha paura di spingersi dove non aveva osato con lo sterile, patinato, sopravvalutato Gli intoccabili, portando i suoi personaggi al limite estremo del proprio agire, circuendoli e affogandoli in una spirale senza rendenzione, dove anche il ritorno all'ordine non possiede colori dorati ma grigio-amari. Molteplici le citazioni, ma tutte incorporate all'azione, evitando così le ostentazioni di un manierismo postmoderno pago del proprio stile: dal Postino suona sempre due volte a La donna fantasma, da Fiamma del peccato a La donna nel lago, da Veronika Lake a Orson Welles, dal piano-sequenza di Professione: reporter agli inevitabili omaggi ad Alfred Hitchcock ( La donna che visse due volte, Gli uccelli).
MASSIMO ZANICHELLIMASSIMO ZANICHELLI


FLYER Los Angeles anni ’40. Due poliziotti ex-pugili; tra loro la donna del gangster, che tra poco esce di galera; un’attricetta ritrovata torturata e segata in due; una ragazza bisessuale che si veste come la “dalia nera”; e poi sparatorie, poliziotti corotti, ricchi debosciati, speculazioni edilizie, filmini a luci rosse, assassini sfregiati, e chi più ne ha più ne metta… De Palma impagina il romanzo cult di Ellroy con un nitore visivo che potrà piacere ai fan, ma che lascia un’impressione di freddezza e di manierismo, come se fosse molto più interessato alle coreografie della violenza (ma con stile classico, per intenderci, siamo più dalle parti di un musical anni ’50 che di un action di Hong Kong) e all’eleganza dei movimenti di macchina piuttosto che alla torbida materia raccontata. La L.A. d’epoca ricostruita in Bulgaria, la musica pomposa, e un cast parzialmente sbagliato e svogliatamente diretto contribuiscono a fare di Black Dalia una delusione d’autore.
MAURO CARONMAURO CARON


FLYER The Black Dahlia, ultima creazione cinematografica di Brian De Palma, tratto dal romanzo di James Ellroy, è un noir fitto e passionale che sfrutta l’ingranaggio cinema a trecentosessanta gradi, rivelando, senza alcun pudore, l’arte del racconto cinematografico. Il film del regista di Scarface e Carlito's Way, dipinge con toni cupi le atmosfere intriganti di una peccaminosa Los Angeles, più simile ad una città di anime perdute che ad una città di angeli. L’occhio di De Palma si catapulta sulla finzione della realtà, sui suoi inganni, e sulla debolezza dell’uomo davanti al potere e al desiderio di successo. Il ritratto della sua città e della sua umanità è disperato e vincolante. Un'ossessione bagnata dal sangue che scorre lento e inesorabile, entra nella mente dell’uomo, lo stringe forte e lo contamina. E’ feroce e soprattutto sporco. E’ sangue nero e marcio. Corrotto. Come il ritratto della sua Los Angeles, che è fatta anche di uomini in cerca di giustizia. Impeccabile regia di un grande maestro anche se in alcuni casi fredda e distaccata per un tocco di troppo di citazionismo, gustoso, ma non sempre necessario.
MATTEO MAZZAMATTEO MAZZA