Il cinema è ragnatela
Tralasciando il discorso dei record e dei botti al botteghino ma anche le riflessioni critiche sulla buona o cattiva
riuscita di questo terzo capitolo della saga di Sam Raimi, è curioso notare come Spider Man 3 inauguri a tutti gli effetti
la stagione dei sequel. Dopo l'avventura dell'Uomo Ragno, infatti, lo spettatore cinematografico potrà rituffarsi nei mari
dei Caraibi per assistere al terzo capitolo della saga dei pirati di Gore Verbinski e Gerry Bruckheimer oppure aspettare la
nuova divertente avventura di Shrek e il ritorno dei marvelliani Fantastici 4.
Nulla di stravolgente, quindi, se pensiamo che questo terzo capitolo si presenta come uno fra tanti della saga faraonica
firmata da Raimi che proseguirà negli anni a venire. In Spider Man 3 tutto è spettacolo e il prodotto cinema si declina
ulteriormente verso un'idea nuova e commerciale sempre più studiata a tavolino, prima nelle sale e, poi, negli shop. La
tendenza attuale affermata e consolidata da almeno un decennio, sembra sempre più vicina a quella che il prodotto seriale,
videogiocatizzato e frenetico, stimola non solo, e non più la visione, ma anche qualcosa di altro.
Non solo. Il luogo cinema si trasforma attraverso questo meccanismo, in un vero Luna Park, un parco di divertimento
funzionale allo spettatore che appena uscito dalla sala, insegue per mesi, o anni, il ritorno dei propri eroi, cioè
l'attivazione di nuove giostre. E in tutto questo panorama ultravideogiocatizzato, emerge una seconda declinazione, legata
all'identità del medium cinema. Come sottolinea Matteo Bittanti in Incubi e meraviglie nel saggio
Il film come
software, «il cinema come medium, è morto. Quello che ci ostiniamo a chiamare "cinema" è in realtà una sua
manifestazione simulacrale, il suo ultracorpo. Il digitale ha ridefinito le pratiche di produzione, distribuzione e
consumo degli artefatti culturali - di tutti gli artefatti culturali, dalla musica ai videogiochi, dalla letteratura al
cinema. Uniformandole. Omologandole. Standardizzandole. [...] Oggi i film sono puro software. Informazioni. Bit. E i bit,
dice Negroponte si possono mescolare facilmente. Si possono usare e riusare, insieme o separatamente». Spider Man 3 è
l'ennesimo elogio del digitale. Non una nuova frontiera, ma la frontiera consolidata, esperta, proiettata direttamente
nell'occhio dello spettatore. Ma tutto questo trova un secondo livello di combinazione che si riferisce al passato, alla
tradizione. Ecco spiegata la strategia a soap opera di Spider Man, soprattutto di questo ultimo terzo capitolo. Una scelta
che sembra basata sulle inclinazioni di una società traumatizzata e condizionata di continuo dal melodramma. Una scelta
che realizza e fa da ponte tra diversi estremi: il concetto di
show, quello di
game, durata e pathos. Una
ragnatela.
Immagini universali
Spider Man 3 è un prodotto estremo e assoluto per
action e
digital-effect e di conseguenza una conferma di
spettacolarizzazione dell'eroe e del mezzo cinematografico. Non c'è eroe meglio rappresentabile al cinema che il goffo
Peter Parker-Spider Man. Questo perché, più di tutti, l'eroe assume i tratti reali dell'umano. Nessuno, come lui, è tanto
umano quanto vulnerabile, tanto agile quanto goffo e impacciato, tanto potente e furbo quanto distratto e innocuo.
Nell'eroe è intrinseca sia la potenzialità spettacolare, sia la fisicità umana-reale. E' un luogo-cinema, ma anche un
metacinema.
E' la vicenda stessa di Peter Parker a dimostrare il tutto. Come sottolinea Giuseppe Guidi in L'alba del Ragno:«L'Uomo Ragno
è Peter Parker, liceale nerd e mingherlino che durante una dimostrazione scientifica viene morso da un ragno radioattivo e
ottiene poteri formidabili che lo trasformano in un ragno umano. In pochi istanti acquisisce forza, agilità, la facoltà di
aderire alle pareti e un senso premonitore che lo avverte di ogn ipotenziale pericolo. Peter è orfano che vive con lo zio
Ben e la zia May a Forest Hills, un quartiere del Queens, a New York. Ciò che lo spinge a diventare un eroe è il trauma per
la perdita dello zio Ben, ucciso da un ladro che Peter, nei panni di Spidey, ha irresponsabilmente evitato di catturare
qualche giorno prima». Ecco perché è fondamentale il passaggio nel terzo capitolo della vendetta che invade Peter
Parker-Spider Man. Cresce nell'uomo e nel supereroe il bisogno di saldare i conti con la giustizia e in quell'istante la
vendetta cresce in maniera incontrollata come una pianta carnivora dentro il cuore dell'uomo-eroe. Qui Venom, l'alieno
simbionte che aggredisce Spider Man, ha terreno fertile. Qui il Male può aderire sul corpo dell'uomo-eroe trasformandolo
in un nuovo e Altro supereroe.
Il terzo capitolo della saga propone quindi una nuova declinazione dell'eroe, una variante cattiva, più aggressiva,
arrogante, incapace di controllare le proprie emozioni e le proprie forze. Spider Man è assalito dal Male e al tempo stesso
si ritrova conquistato e imprigionato. Poco importa se tra film e fumetto si evidenziano notevoli differenze di
sceneggiatura. In questo terzo capitolo Spider Man assapora il gusto della supremazia malefica.
Spider Man è lo specchio della fantasia umana perché da sempre mantiene la dimensione ambigua e contradditoria del
supereroe vicino al popolo. E' un'icona pop, un concetto trasparente, un personaggio appiccicato ai gusti del popolo. Più
di Superman, perché Clark Kent nasce dopo l'eroe venuto da Kripton; più di Batman, che seppur nobile e coraggioso, posside
un background tragico, estremo e unico (inoltre Batman non è contaminato da forze sconosciute o contaminanti); più di Hulk,
perché il gigante verde sprofonda in un tragico senso di devastazione autolesionista prima ancora di diventare pericoloso
per gli altri, mentre Spidey sfrutta i suoi poteri per aiutare la gente. E la lista potrebbe continuare con altri esempi.
Dice bene Marco Lupoi, direttore dell'edizione italiana di Spider Man: «Quando, nell'aprile 1970, usciva in Italia il primo
numero de L'Uomo Ragno, nessuno immaginava che sarebbe iniziata una nuova era nel campo del fumetto nazionale, all'epoca
dominato da western locali, da diabolici tascabili neri e da topolini vari». Un ideale collettivo molto più vicino
all'innavicinabile, all'irraggiungibile. Si spiegano così i personaggi, indiscutibilmente affascinanti, di Tex Willer,
Diabolik e Topolino. Icone sognate dal popolo ma intoccabili. Spider Man invece è umano perché più perdente, controverso,
insicuro di tutti i supereroi. I suoi super poteri hanno lo stesso valore del suo stato di appartenenza alla forma umana.
Spider in love e inside
La genesi del Black Spider Man a cui assistiamo da spettatori ci fa conoscere il lato debole dell'eroe, quello vittima
dell'ira, guidato dall'odio e dalla perversione. E a salvare Spidey dalle grinfie di Venom sarà ancora una volta l'amore.
Spesso veicolo per lo spettatore più che vincolo, ad ogni modo, forza trainante che scatena in Peter-Spidey la voglia
nuova di tornare a combattere per la giustizia.
Un amore decisamente e, forse irresponsabilmente, sottovalutato da Raimi and co. che in questo terzo capitolo, invece di
investire sulla relazione tra Peter e MJ, restano ad un livello ambiguo e decisamente meno accattivante dei precedenti
episodi. In fondo, nella realtà, cioè nel fumetto, è MJ a consegnare a Peter il vecchio costume rosso-blu e a chiedere di
bruciare il costume nero. E Peter, per amore, compie il gesto. La versione cinematografica lascia un'ambiguità di fondo che
in parte non rende giustizia allo spettatore, e soprattutto al personaggio di MJ. Ma il cinema, spesso, necessita di
qualche trucchetto.
E' intrinseco il fascino che deriva dalla spettacolarizzazione dell'eroe, capace di ogni movimento, ed è intrinseco pure il
fascino che proviene dall'identità stessa del ragno. L'eroe possiede tutti i codici bestiali in grado di farlo sembrare un
ragno. Non solo nel fisico, anche nella mente. Le famose ragnatele che Spidey espelle dal suo corpo sono utilizzate in
svariati modi e rievocano, metaforicamente, anche i pensieri e i dubbi dell'eroe. Un vero pensiero-ragno, pieno zeppo di
contraddizioni e sfumature che si intrecciano come in una tela robusta e fitta. Come raccontava David Cronenberg nel
suo
Spider (id., 2002), dove Ralph Fiennes viaggiava nella fitta tela dei suoi ricordi, in modo schizofrenico e
cronenberghiano. Lui non era un supereroe, ma solo un umano contaminato e ragnatelizzato. Da qui nasce l'ossessione di
Raimi che da sempre racconta l'inadeguatezza del corpo, l'esplosività della fisicità dei suoi eroi/non-eroi. Come ricorda
Canova in Poetiche del cinema hollywoodiano contemporaneo nel saggio
Il tramonto del corpo, «Osservando film come
Fargo di Joel Cohen,
The Mask di Chuck Russell,
L'armata delle tenebre di Sam Raimi, La morte ti fa
bella di Zemeckis o lo stesso
Pulp Fiction di Tarantino si ha come l'impressione che in certesequenze gli attori
provino una sorta di disappunto per il fatto di non essere cartoni animati. [...] E' in sequenze come queste che affiora
indiscutibilmente l'inadeguatezza del corpo attoriale, la sua obsolescenza, forse perfino il suo tramonto. Il corpo
dell'attore è sempre lì, sempre identico a se stesso: quasi un residuo archeologico del cinema delle origini, o un
fossile di cui il cinema del futuro - non più necesssariamente antropocentrico - vorrà e forse potrà o dovrà cominciare a
fare a meno». Si spiegano così le provocazioni cartoonesche, le atmosfere dark e i toni da humor nero che da sempre
caratterizzano i film di Raimi, da
La Casa (Evil dead, 1981) al già citato
L'armata delle tenebre (Army of
darkness, 1993), da
Darkman (id., 1990) a
The Gift
(id., 2000).
Il corpo di Spider Man, quindi, sintetizza l'ideale corpo-cinema di Raimi. Un prodotto che comprime l'idea di
contaminazione (il ragno radioattivo che origina l'eroe, ma anche Venom che lo modifica); il fattore moltiplicazionale
(che gli permette di produrre ragnatele e compiere azioni bestiali, ma anche di sviluppare sensi straordinari); la
sottrazione/rottura/privazione in apparenza totale con il corpo ospitante (Spider Man infatti è l'unico superereoe che
non mostra parti del corpo umane grazie ad un costume che copre interamente Peter Parker).