FUORISCHERMO

 

LO SCHERMO ANIMATO
Visioni e riflessioni di un anno di cinema sognato e disegnato.
CARS La stagione cinematografica 2006/2007 si sta avviando verso la sua conclusione e sono felice di constatare come il panorama dei film d’animazione sia stato ricco e prodigo di belle sorprese, da Cars di John Lasseter (Disney/Pixar) fino ad Asterix e i Vichinghi di Fjeldmark e Møller, passando per le uscite natalizie come Happy feet di George Miller, Giù per il tubo di Bowers e Fell (Aardman / Dreamworks), La gang del bosco di Tim Johnson (Dreamworks) e Boog & Elliot a caccia di amici di Culton, Allers e Stacchi (Sony Pictures). Comprenderei nella categoria anche quei film per ragazzi usciti negli ultimi tre mesi che sono un misto di animazione e riprese dal vero, da Arthur e il popolo dei Minimei di Luc Besson fino a Un ponte per Terabithia di Gabor Csupo. Quello che mi è saltato subito all’occhio è che i film più innovativi sono quelli che osano affrontare tematiche adulte pur all’interno di strutture tipiche da film per ragazzi, piuttosto che quelli che tentano di accattivarsi un pubblico adulto snaturando la tradizione a cui fanno riferimento. In particolare, stringiamo l'obiettivo su tre di questi, mettendo a confronto Asterix e i Vichinghi, Arthur e il popolo dei Minimei e Un ponte per Terabithia.

Inizio da “Asterix” perché è l’unico che mi ha deluso. Il film è l’ottavo ispirato ai famosi personaggi di Goscinny e Uderzo e vede alla regia il danese Fjeldmark che tre anni fa aveva suscitato tante polemiche con “Terkel in trouble”, anche questo film animato. Questa volta Asterix e Obelix si trovano davanti ad un compito difficile: far diventare Spaccaossix, nipote del loro capovillaggio, un vero uomo, forte e coraggioso. Peccato che l’impresa si riveli più ardua del previsto. ASTERIX E I VICHINGHI Spaccaossix è lo stereotipo del ragazzo di città, viziato e vanitoso, tanto bravo nei balli all’ultima moda quanto inesperto in tutte le cose della vita quotidiana. E soprattutto sotto l’apparenza da sbruffone cela un animo paurosissimo. Proprio per questa sua indole viene rapito dai Vichinghi capeggiati dal temibile quanto credulone Olaf Timandaaf. Questo interpreta infatti letteralmente il proverbio “la fifa mette le ali” e spera di carpirne il segreto dal campione di fifa Spaccaossix. L’inevitabile lieto fine riporta il piccolo villaggio gallico al consueto tran tran di tutti i giorni. Il film ha richiesto quattro anni di lavorazione e un budget di 22 milioni di euro. Sono stati fatti più di 100.000 disegni e 1.300 differenti inquadrature. I motivi della delusione sono legati principalmente allo stile con cui i due registi hanno tentato di modernizzare il mondo e i personaggi di Goscinny e Uderzo. Non è simpatico il modo in cui si ironizza sui cibi biologici e sulle scelte vegetariane di Spaccaissix, così come non sono divertenti certe trovate come il piccione Sms che scolpisce i messaggi con il becco. A coronare il tutto una colonna sonora dance in stile anni ‘80 e ‘90. Se la volontà era quella di svecchiare, strizzando l’occhio anche ad un pubblico adulto, il risultato può essere interpretato dai più affezionanti come uno snaturamento della tradizione. Tutti gli elementi che fanno riferimento alla contemporaneità vanno a compromettere le dinamiche del mondo di Asterix e ne stravolgono la tipica ironia che invece caratterizzava tutte le precedenti trasposizioni cinematografiche.

Il film di Besson ha come protagonista un bambino di dieci anni e vuole rivolgersi ad un pubblico che in questo personaggio ARTHUR E IL POPOLO DEI MINIMEI si identifica. Dal punto di vista tecnico è un misto di riprese dal vero e animazioni in 3D. Arthur (Freddie Highmorenome) vive con la nonna (Mia Farrow) in una vecchia fattoria che rischia di esser loro tolta a causa dei debiti. Esiste però un tesoro che potrebbe risolvere la situazione e Arthur si avventura sulle sue tracce e su quelle del nonno esploratore scomparso molti anni prima. Il mondo dei Minimei in cui Arthur viene “risucchiato” dopo essere strato rimpicciolito si rifà a tutta una tradizione di regni vegetali, elfi e quant’altro. Arthur farà amicizia con i suoi abitanti e si innamorerà della bella e coraggiosa principessa. Anche nel mondo dei Minimei però esiste il male, che viene alla fine inevitabilmente sconfitto. Di certo guardando “Arthur” qualsiasi adulto ha avuto una sensazione di deja-vù. Questo perché il mondo dei Minimei è abbastanza originale, ma si rifà comunque ad una tradizione di cui Tolkien è forse il più rappresentativo modello. Comunque sia “Arthur” è una bella storia di formazione in cui il protagonista impara quali sono le su capacità, quali siano il valore dell’amicizia o dell’amore, o cosa significhi lottare per qualcosa a cui si tiene più di ogni altra.

Il protagonista di “Un ponte per Terabithia” di Gabor Csupo è un ragazzino di nome Jess. La sua famiglia è piuttosto numerosa e a causa di ristrettezze economiche la situazione non è delle più idilliache. Sia a scuola che a casa Jess si sente incompreso. Se da una lato si scontra con le cattiverie dei suoi compagni di scuola che lo prendono un giro per le scarpe da ginnastica tutte rotte, dall’altro deve fare i conti a casa con due sorelle minori e due maggiori. Fortunatamente la passione di Jess per il disegno gli permettere di estraniarsi dalla sua vita reale e di viaggiare in mondi immaginari pieni di creature fantastiche. Questo suo gioco viene condiviso dalla sua nuova compagna di classe Leslie. I due iniziano a passare insieme tutti i pomeriggi dopo la scuola e nel bosco costruiscono una casa sull’albero che diventa il loro rifugio. UN PONTE PER TERABITHIA Anche questo è un mix di riprese dal vero e animazione. E’ interessante come i registi siano riusciti a mettere in scena un’amicizia così profonda senza cadere nella retorica o complicando la situazione facendo innamorare i due ragazzini. Subito si pensa all’amicizia dei quattro protagonisti di Stand by me di Rob Reiner (1986). Stessa forza, stesso coinvolgimento. Oltre a questo, affascina il messaggio che può essere letto in questa loro storia e cioè quanto sia potente l’immaginazione e quanto sia importante fantasticare e perdersi in mondi che non sono reali. Come in Big fish di Tim Burton (2003) il potere delle parole del padre (Albert Finney) annullava la distinzione tra vero e falso, così nel film di Gabor Csupo il potere dell’immaginazione spazza via il limite tra realtà e fantasia come se fosse una divisione senza importanza. E’interessante come all’interno del film questo tema venga a galla esplicitamente come nella scena in cui i compagni ridono di Leslie perché non ha la tv casa, cosa per loro inconcepibile. Quando Leslie risponde difendendo la scelta dei suoi genitori i compagni dimostrano di essere persone che hanno perso la capacità di pensare autonomamente, resi pigri dalla tv. Il terzo aspetto di questo film sorprendente, oltre al modo di mettere in scena il mondo di Terabithia e l’amicizia tra Leslie e Jess, è stato il finale. A venti minuti dalla fine Leslie muore affogata nel ruscello nel bosco oltre il quale si estende il regno di Terabithia. Raccontare la morte in questo modo è una scelta coraggiosa anche perché l’ultima parte del film mostra il protagonista in preda ai sensi di colpa che si domanda in quale modo avrebbe potuto evitare la morte della sua amica. Inusuale trovare questo tema presentato anche con una certa cura per le sfumature.

Tra le ultime uscite, quindi, i film più innovativi sono quelli che osano di più su campi nuovi piuttosto che quelli che si vogliono inserire in una tradizione consolidata. Aspettiamo di vedere presto sui nostri schermi le prossime animazioni: I racconti di Terramare di Goro Miyazaki, Paprika di Satoshi Kon (entrambi presentati all'ultima Mostra di Venezia), I Robinson di Stephen J. Anderson e poi Madagascar 2, Shrek 3, Toy Story 3 e Ratatouille, prossima creazione della Disney Pixar.