Vedere, ad occhi chiusi, il mondo, che non è fatto di pura immagine, ma di suoni, vibrazioni, fruscii. Distogliere lo
sguardo distratto e imparare a guardare toccando e fantasticando. In un epoca come la nostra in cui il contatto tra gli
uomini sembra relegato al mezzo tecnologico,
Rosso come il Cielo “diseduca” all’immagine e arriva dritto al
cuore.
Non ha avuto paura (doverosa la citazione dal duo Ammaniti-Salvatores) il regista Cristiano Bortone (
L’erba proibita,
Sono Positivo), anche produttore insieme a Daniele Mazzocca (Orisa), di affrontare un film sull’handicap,
interpretato da bambini, ma privandolo dei consueti pietismi e stereotipi. Rosso come il cielo ricorda molto di più la
delicatezza e la fantasia di Io non ho paura, piuttosto che l’essenzialità, giusta ma non priva di calcolo, con cui Gianni
Amelio raccontava la “diversa abilità” ne
Le chiavi di Casa. Nel 1971, quando la legge italiana ancora negava la
scuola pubblica ai non vedenti, Mirco (Luca Capriotti), un ragazzino di 10 anni con la passione per i western, si procura un
danno irreparabile alla vista giocando con il fucile del padre. Viene rinchiuso nell’Istituto per ciechi “David Chiossone”
di Genova, gestito dalle immancabili suore intransigenti; eppure Mirco continua a rispondere “sì” ai vari “tu ci vedi?”. La
sua risposta è un evidente rifiuto della propria condizione: il ragazzino impara a vedere sentendo, nel buio di immagini
ricordate, con l’ausilio di un registratore a bobine grazie a cui cattura i rumori del mondo, per merito dell’interesse da
parte di Don Giulio (Paolo Sassanelli,
La capa gira,
Ora o mai più). Mirco, insieme al suo gruppetto,
orchestra una “favola sonora” tutta composta da rumori poi montati insieme. Quando i ragazzi si recano di nascosto al
cinema grazie all’unica ragazzina vedente, nonché fidanzatina di Mirco, il film si fa riflessione sull’inconscio della
visione, sulla potenza della dimensione sonora e quindi sul cinema stesso. Le conseguenze di questi piccoli atti di rivolta
sono fatali a tal punto da vedere Mirco espulso dal collegio. Al diffondersi della notizia le rivolte studentesche, nel
frattempo esplose, si indirizzano verso un nuovo obiettivo, il Chiossone, ottenendo così l’apertura di un’inchiesta sulla
gestione dell’Istituto e la riammissione di Mirco. Potrebbero sembrare questi gli ingredienti per una storia a lieto fine
di dickensiana ispirazione. Invece, è la storia vera di Mirco Mencacci, uno dei sound designer di maggior talento del
cinema italiano (
La finestra di Fronte,
La meglio Gioventù tra i vari titoli), nonché musicista e produttore
musicale. Forse proprio in quanto frutto di un’appassionata ricerca su una realtà sconosciuta, tra cui un training speciale
per tutti gli attori che ha messo questi in relazione con i piccoli non vedenti, il film sorprende per il suo realismo
magico e in nessun momento banale. Bortone e i suoi giovani interpreti ci accompagnano in punta di piedi in una dimensione
fatta di suggestioni sonore in cui gli occhi non sono necessari, sebbene molto curato sia anche l’aspetto visivo del film,
in particolare le inquadrature ad ampio respiro della campagna toscana e le scenografie dell’istituto. Pur incentrandosi
quasi completamente sulla “sovversiva” creazione del poema sonoro, i progressi dei ragazzini, la cui tenerezza è spontanea
(molto di più e meglio di
Les Choristes, altro film paragonabile) seguono un ritmo incalzante di un appassionato
crescendo, supportato dalle bellissime musiche di Ezio Bosso (
Io non ho paura, di cui mantiene lo stile,
Quo
Vadis baby? ). Si riflette sulla diversità fisica senza indugiare nei classici sensi di colpa del momento, che
raramente lasciano il posto a dei contenuti veri. Ma
Rosso come il cielo è anche un’eccezionale affresco di
autentica umanità, offerta da un giovane regista (nonché artista visuale) molto meno famoso di quei tanti nomi il cui
originario talento si è trasformato in ingannevole manierismo.
Fuorischermo ha raccolto alcune considerazioni legate all'idea del film di Cristiano Bortone, Rosso come il cielo, e
del documentario Altri Occhi di Guido Votano.
IL PROGETTO
All’inizio ci fu la storia di Mirco. Diventato cieco da bambino per un incidente, fu spedito a Genova in un istituto per
ciechi.
Qui, sfidando i rigori di un sistema educativo impermeabile alle speranze e al cambiamento, Mirco trova la sua strada
imparando a registrare suoni con un vecchio apparecchio a bobine. Un’esperienza sensoriale nata per gioco, che diventa
sempre più importante e che coinvolge gli altri bambini ospiti dell’istituto. Quasi un percorso di liberazione, il suo,
che si intreccia con quello che vide, nella Genova dell’inizio degli anni settanta, le proteste di piazza contro la gestione
di quell’istituto, giudicata inumana, oltre che rapace.
Oggi Mirco Mencacci, a 45 anni, è uno dei sound designer di maggior talento dell’industria del cinema italiano, e dal suo
studio di registrazione sono passati tutti i grandi registi italiani di oggi, da Marco Tullio Giordana a Ferzan Ozpetec.
Il percorso umano e professionale di Mirco è diventato la base per la sceneggiatura di Rosso come il cielo. Una sfida
produttiva che ha reso necessaria una lunga ricerca in tutta Italia dei piccoli protagonisti non vedenti che avrebbero
dovuto interpretare il film. Durante questo "viaggio" in un mondo sconosciuto alla maggior parte di noi, il regista
Cristiano Bortone e gli altri collaboratori hanno sentito storie e vicende straordinarie per umanità e intensità emotiva.
Sulla base di queste suggestioni, parallelamente alla lavorazione del film, è nato il documentario Altri Occhi, affidato
alla regia di Guido Votano, che ha seguito per un anno le vite private di due dei bambini ciechi, interpreti del film, e
delle loro famiglie. Al termine della lavorazione poi, è stato determinante il ruolo dello stesso Mirco Mencacci, che ha
curato l'edizione sonora di entrambi i film.
Altri Occhi è stato presentato in concorso, fra gli altri, al Festival di Torino e al Festival di Aubagne in Francia. Rosso
come il cielo, invece, ha visto la sua presentazione ufficiale come Evento speciale UNICEF al primo Roma Film Festival per
poi proseguire in numerosi altri festival internazionali che ne hanno chiesto la partecipazione. Entrambi hanno riscosso
già consensi e sostegno in Italia ed all’estero e verranno distribuiti in sala nel 2007. Sono stati venduti già in più di
quindici territori stranieri, hanno ottenuto il patrocinio del Comune di Roma, il sostegno della Regione Lazio, della
regione Toscana, dell’Agis scuola, ma soprattutto il concreto interesse delle associazioni che operano nel campo della
disabilità visiva in Italia, prima tra tutte l’Unione Italiana Ciechi. In particolare è stata messa in rilievo la
straordinaria potenzialità dell’uso didattico dei film, sia in ambito specialistico (cioè per la formazione di coloro che
lavorano nel campo dell’educazione dei non vedenti e delle famiglie che hanno a che fare con la cecità), sia per la
promozione presso il grande pubblico di una consapevolezza più generale delle realtà che riguardano il mondo di chi non
vede. Relativamente ai film, si sta anche progettando la realizzazione di audio-descrizioni ad uso dei non vedenti e di
proiezioni-evento, organizzate assieme al mondo associativo ed istituzionale che opera attorno alla disabilità visiva.
Il nostro auspicio e il nostro impegno sono che i film possano dare un contributo ad aumentare la coscienza sociale della
nostra collettività.
LE LOCATIONS
Le ambientazioni del film sono divise fra la Toscana e Genova.
Per ricreare la maestosità e i grandi spazi di un collegio della fine degli anni sessanta si è scelta l’imponente struttura
dell’ex Albergo dei poveri a Genova. Il complesso, con la sua aria monumentale ma allo stesso tempo polverosa e fatiscente,
è riuscito a rendere l’idea di uno spazio “più grande” dei bambini ciechi che lo abitavano, una dimensione che incutesse
rispetto anche a chi non era in grado di percepirla direttamente con la vista. All’interno dell’enorme costruzione è stato
creato un vero e proprio centro di produzione e sono stati ricostruiti la maggior parte degli ambienti del film: le enormi
camerate, le cucine, la sala mensa, i giardini interni.
IL SUONO
Essendo uno degli elementi centrali della storia, il suono del film non poteva non essere oggetto di una particolare ricerca
creativa e tecnica. L’impianto sonoro della produzione è stato creato da un gruppo di lavoro di sound design fin dalle
prime fasi della realizzazione. Per la prima volta la figura del rumorista non ha fornito un semplice arricchimento del
film finito, ma un apporto creativo per tutto il periodo della lavorazione. Durante la revisione della sceneggiatura e nel
corso delle riprese i rumoristi hanno ideato le atmosfere sonore che avrebbero guidato Mirco all’interno del suo nuovo
mondo di oscurità e hanno creato i rumori che lui e i suoi amici avrebbero raccolto per le loro“favole sonore”. Il passo
successivo è stato insegnare ai bambini protagonisti come riprodurre dal vero i rumori. Tutti loro si sono trasformati in
piccoli rumoristi in erba, esplorando oggetti, materiali, forme, fino ad arrivare a dare loro stessi consigli ed idee. Per
molti di loro la finzione si è andata trasformandosi in realtà.
ALTRI OCCHI
di Guido Votano
Imparare a vedere la persona, dietro agli occhi del non vedente, resta una sfida importante per chi vede. La cecità è ancora
un tabù per troppi, da sempre il cieco è percepito come una persona che si muove in un mondo totalmente oscuro, distante e
differente da quello che vivono i vedenti. Il cieco “fuori dal mondo” è un luogo comune con radici profonde, nella storia,
nel mito e nella letteratura. Un pregiudizio così forte da creare addirittura una mitologia speculare e contraria, che
talvolta immagina e dipinge i ciechi come portatori di poteri quasi sovrumani, capacità percettive e psichiche differenti e
superiori, talenti misteriosi e straordinari.
Per i 350.000 ciechi che vivono in Italia, per i 2 milioni e mezzo che vivono in Europa e soprattutto per quei 37 milioni di
non vedenti che vivono per il 90% nel mondo povero, la realtà naturalmente è ben diversa. L’accesso alla prevenzione e alla
cura, possibile ma indisponibile nella grande maggioranza dei casi, è la priorità numero uno. Poi, chi non vede deve fare i
conti con le tante difficoltà della vita quotidiana, con le discriminazioni, l’isolamento, le diffidenze e i pregiudizi che
restano ben radicati. E se non bastasse, chi vive la cecità nel nostro mondo sviluppato si trova sempre più spesso di
fronte ad una diffusa banalizzazione della propria disabilità. Una tendenza che – come nota Fabio Levi nel saggio “Non vedo
perché” - ne svaluta, magari in nome di una malintesa ideologia iper-egualitaria, le implicazioni psicologiche, cognitive e
sociali, il che conduce quasi automaticamente a giustificare l’indifferenza e la disattenzione per qualsiasi iniziativa
mirata a tener conto della specificità del cieco o anche solo dei suoi bisogni più elementari.
La scommessa del film documentario Altri Occhi è stata proprio quella di provare a mostrare dal vivo, riducendo al minimo le
inevitabili elaborazioni proprie del linguaggio filmico, il mondo di chi non vede, e in particolare quello dei bambini non
vedenti. Raccontare molto da vicino la vita quotidiana di due di loro, con affetto e partecipazione emotiva, ma senza
pietismi ed “effetti speciali” emozionali. Provare, insomma, a filmare l’invisibile, a scalfire il tabù della cecità, e se
possibile col sorriso sulle labbra. Le vite parallele di Matteo e Federico, uno nato cieco, l’altro divenuto, uno timido,
l’altro estroverso, uno laziale l’altro ligure, sono raccontate nel film nella loro quotidiana, intima straordinarietà, per
incontrarsi poi sul set del film Rosso come il cielo, nel quale i due bimbi girano una scena. Da quell’incontro è nata
un’amicizia vera tra i bambini e le rispettive famiglie, un’amicizia che chiude il documentario, ma che continua nella vita
reale.
Le famiglie, che dopo qualche primo, comprensibile imbarazzo hanno accettato di mostrare senza filtri la propria vita,
esprimono più volte il loro fastidio profondo verso lo sguardo degli altri sui figli. Ma allo stesso tempo decidono di
offrirsi allo sguardo discreto della telecamera, e del pubblico.
Per Paola Zanuttini, che ha recensito Altri Occhi per
Il Venerdì di Repubblica, è "una lezione di coraggio e di
civiltà", un film "bello, sobrio, intimo e onesto".
Un film che propone uno sguardo finalmente libero da pregiudizi e pietismi su un mondo verso il quale tutti percepiamo
ancora una distanza troppo grande. E che tutti immaginiamo buio, ma solo perché raramente ci è stato raccontato nella sua
realtà vera.