Frank ha deciso di non chiedersi altro, e continua a guardare April negli occhi. April, però, guarda da un’altra parte.
Revolutionary Road di Sam Mendes è questo campo/controcampo mancato, ripetuto e persistente. Un film costruito sull’idea dell’amore finito e assopito che prova a confrontarsi ancora una volta con il tempo passato e con le prospettive future. Quella di Mendes e dello sceneggiatore Justin Haythe è una scelta che si chiude in se stessa, soffoca, si stringe, cerca una via di fuga ma finisce col restare costretta e rinchiusa nella gabbia dei sentimenti e del dolore. Che, sembra strano a dirsi, non sono l’unica chiave di lettura di questo intenso e drammatico e patinato film.
Revroad avrebbe potuto essere ancora più potente e graffiante di quanto non lo sia stato. Di fatto, si presenta come la versione matura di una fine d’amore, come la versione acida e bruciante di una fine d’ambizione, come il tramonto della passione e della condivisione, del gesto e dello sguardo nella stessa direzione, appunto. Tuttavia
revroad manca decisamente di quell’aspetto che rende il tutto parte di un niente che schiaccia e appesantisce. Quel contesto così protetto e affascinante, così finto e strettamente legato ad un alto profilo socio-monetario, resta troppo ai margini di una vicenda così clamorosamente condizionata da agenti esterni. Ciò che rende la vita di April e Frank così monotona, ripetitiva, senza prospettive, è proprio la vita e le cose che posseggono quella vita. I Wheeler esistono grazie a quelle cose, a quella casa, a quei vicini, a quel giardino a quello spruzzino che innaffia il loro prato verde (che è verde sempre). Privati della loro vita i Wheeler arrivano al capolinea ma questo,
revroad e Mendes e Haythe ce lo ricordano solo nell’inquadratura finale.
DAZEROADIECI:: 7
MATTEO MAZZA