Titolo originale: A praire home companion Regia: Robert Altman Sceneggiatura: Garrison Keillor Montaggio: Jacob Craycroft Musica: Richard Dworsky Fotografia: Edward Lachman Interpreti principali: Woody Harrelson, John C. Reilly, Tommy Lee Jones, Virginia Madsen, Meryl Streep, Kevin Kline,
Lindsay Lohan, Lily Tomlin Origine : Usa, 2006 Durata: 105'
Colore
La nuova regia di Robert Altman, ottantunenne fresco di Oscar alla carriera, è un omaggio a uno dei programmi più leggendari
e ascoltati degli Stati Uniti: “A Praire Home Companion”, che dal 6 luglio 1974 manda nell’etere splendida musica country
(e non solo) suonata e cantata dal vivo.
Il cinema per Altman è coro. Come in Nashville (id., 1975), ad esempio, quando raccontava l’America degli anni ’70 sulle
note country alternando a un comizio politico un desiderio irraggiungibile. O come ne I protagonisti (The player, 1992),
quando metteva al tappeto le dinamiche della fabbrica dei sogni o anche come nel più recente Gosford Park (id., 2001),
quando derideva i vizi della high-class britannica, Altman ha sempre dimostrato di lievitare attorno alle storie
raccontate senza farsi troppo notare. E Radio America segue queste precise coordinate. Regia invisibile, spazio al racconto
e alla forza di un’immagine densa di contenuti e significati. Spazio alla musica e ai ricordi, ai pianti, alle risate, al
mistero del futuro e alla nostalgia del passato. Spazio agli uomini e alle loro storie. Graffianti o tenere che siano.
Perché il cinema di Altman è anche core. Caratterizzato dai personaggi, dalle vicende personali e dagli intrecci, a volte
sentimentali, a volte misteriosi. Quello di Altman è un cinema che proietta le emozioni in una dimensione libera, in grado
di esprimersi. A volte commuove, altre volte fa gridare dalla rabbia o fa ridere di gusto. Pure le note di Radio America
sembrano suggerirlo. Un film essenziale. MATTEO MAZZA
Altman torna sulla soglia degli 80 anni a narrare una storia collettiva ambientata nel mondo dello spettacolo, come in
Nashville (musica country), o ne I protagonisti (cinema), o in Prêt-à- porter (moda) o in
The Company (danza). Stavolta, come esplicita il titolo italiano, tocca alla radio: nelle unità aristoteliche di
tempo (l’arco di alcune ore), luogo (lo studio di registrazione, tranne il prologo e l’epilogo) ed azione (l’ultima
trasmissione prima della chiusura definitiva dell’emittente). In effetti si potrebbe pensare ad una sorta di tragedia greca,
dove però è il coro il protagonista (che si esprime con canzoni folk), l’antagonista è il capitalista cinico e
ignorante, il deus-ex-machina un angelo della morte biondo e in trench bianco e la catarsi è già interna al
film, perché nonostante le tragedie la vita continua ed è anche un po’ commedia. Il risultato è pesantemente ambivalente:
all’attivo ci sono la consueta abile orchestrazione generale, alcune performance attoriali/musicali e un senso di
malinconia autentico; al passivo la ripetitività dello schema, alcune scelte decisamente kitsch (il detective
pasticcione, lo stesso angelo della morte) e un sapore polveroso e claustrofobico - da vecchio teatro, appunto. MAURO CARON