Che la protagonista (ed è la prima volta che una donna è al centro del cinema maschile di Salvatores) faccia di professione
la detective serve in fondo solo ad applicare un’etichetta di genere al film, visto che l’indagine è tutta privata, famiglia
re, ed esistenziale. A Salvatores, al contrario delle apparenze, interessa altro che il noir: la memoria mitica degli anni
’60 (bellissimi i titoli di testa), il rapporto padri-figli che sta saldamente al centro di tutto il suo cinema recente, la
memoria altrettanto mitica del cinema (per capirci, lo stesso titolo è “rubato” a
Ultimo tango a Parigi), il potere di
verità delle immagini. Dalle immagini (a differenza di quello che succede nel libro da cui il film è tratto e come in
Cachè di Haneke) parte la recherche della protagonista; con le immagini (tanto importanti da risultare mortali) la
protagonista svolge il suo lavoro; alle immagini spetta il compito di svelare alla fine la verità. Ma l’investigatrice
edipica ha già
rinunciato a vedere: lasciando agli spettatori il disagio di non poter condividere con lei le immagini
finali e fatali, prima che lo schermo si svuoti.
MAURO CARON