CÉLINE GARCIA
co-sceneggiatrice e fonte di ispirazione della storia di Arthur et les Minimoys Artista ‘visiva’, Céline Garcia lavora con suo marito Patrice Garcia, da oltre vent’anni. Insieme hanno collaborato alla scrittura dei libri a fumetti Allande, Les Fils de la Nuit e Le Chant des étoiles.
Come nasce la storia di Arthur?
L’idea del libro è il frutto delle mie esperienze infantili, dei ricordi d’infanzia di mio padre e dell’osservazione di mio figlio, che ha 8 anni. Ci sono tre generazioni di bambini alla base della storia di Arthur, che si ispira inoltre a un nonno che non ho mai conosciuto. Quando ero piccola mi sembrava una figura molto enigmatica, me lo immaginavo come una sorta di Ernest Hemingway, perché era un giornalista e aveva avuto una vita avventurosa, viaggiando in lungo e in largo. Quindi il personaggio del nonno di Arthur è basato sulla figura di un avventuriero innamorato dell’ Africa.
E i Minimei?
Il mondo degli elfi è una specie di giardino incantato che Patrice ed io avevamo in comune ancora prima di incontrarci. Quando ero incinta ci piaceva passeggiare nel bosco e, per quanto possa sembrare strambo, ricordo un giorno in particolare in cui un raggio di sole fra gli alberi mi ha dato la sensazione, per pochi secondi, di aver scorto un mondo fatato. Quell’immagine mi è rimasta dentro e mi ha ispirato il racconto di un bambino che vuole visitare quel mondo. Mi piace l’idea di un luogo in cui i bambini sono grandi come gli adulti, controllano il loro destino e sono in grado di fare tutto ciò che desiderano.
E come è nato il film?
Dopo aver visto le foto di Patrice e aver letto i miei testi, Luc Besson ci ha detto che voleva farne un film! Potrà sembrare pazzesco, ma noi non sapevamo cosa fare e gli abbiamo chiesto del tempo per pensarci. Ci sembrava troppo, non eravamo pronti. Poi abbiamo pensato che fosse una meravigliosa opportunità per condividere il nostro mondo, specialmente perché Luc è stato straordinario quando
abbiamo scritto insieme il copione. Ha saputo ascoltare ma anche aggiungere del suo alla storia. E’ stata un’esperienza unica.
E poi?
E poi devo confessare che è stato abbastanza frustrante perché ci sono voluti cinque anni prima di vedere le prime immagini! Non volevo intromettermi mentre stavano girando il film, perciò ho aspettato. Quando finalmente l’ho visto, sono rimasta senza parole, meravigliata e incredula. A dir la verità mi chiedo ancora se sia tutto vero, se è vero che il film è finito! Non me ne sono resa conto veramente. Sono ancora presa dall’euforia del giorno in cui Luc ci ha detto: “Facciamo un film!”
INTERVISTA CON IL REGISTA LUC BESSON
“Bisogna sempre rispettare e celebrare il nostro bambino interiore”.
Lei considera “Arthur e il popolo dei Minimei” un omaggio al mondo dell´infanzia?
Certamente. Un filosofo ha detto: “Il bambino è il padre dell´uomo” – tutto ciò che sappiamo nasce dalle nostre esperienze d’infanzia. Perciò penso che sia giusto rispettare e celebrare il bambino che è in noi. E’ interessante notare che i bambini hanno dei legami piú forti con la natura, un profondo rispetto per l´ambiente rispetto alla maggior parte degli adulti.
Come è giunto Arthur nella sua vita?
Patrice Garcia e sua moglie Céline mi hanno proposto un progetto per una serie TV. Avevano scritto un breve copione basato sui piccoli elfi. Non era la prima volta che vedevo dei disegni di Arthur, anche se prima non si chiamava cosí, e dei Minimei. Ero affascinato dal loro universo, tuttavia l’idea di una serie non mi ispirava, quindi ho suggerito un film a soggetto. Sembrava un progetto troppo ambizioso e loro mi hanno chiesto del tempo per pensarci, il ché era comprensibile perché significava passare da un progetto in scala ridotta a un’impresa che avrebbe coinvolto 350-400 persone, con il rischio di perdere quel prezioso tocco personale che possedeva inizialmente. Alla fine hanno accettato e quindi ci siamo imbarcati in un’avventura che è durata quattro anni e mezzo!
Qual è stato il primo passo per realizzare il progetto?
Dopo aver preso la decisione di farne un film a soggetto, ho chiamato Emmanuel Prévost, un produttore che conosco e che vanta una considerevole esperienza nell’animazione. Anche Patrice Garcia lo conosceva e quindi noi tre abbiamo iniziato a pensare al modo migliore per portare avanti la nostra idea. Il dubbio maggiore riguardava l´aspetto tecnico, perché non volevamo fare il film solo in 3D,
bensí utilizzare anche elementi e set reali all’interno di uno studio. Ed è stato allora che è entrato in scena il quarto moschettiere: Pierre Buffin, con cui avevo già lavorato a un video musicale per Madonna e sugli effetti speciali di alcuni dei miei film. La sua abilità tecnica è rinomata in tutto il mondo. Volevamo che il progetto restasse in Europa, perciò Pierre ci sembrava il collaboratore ideale. Si è unito a noi e abbiamo formato un gruppo in cui tutti rispettavano la posizione e le capacità altrui.
Cosa sapeva dell´animazione prima di iniziare questo film?
Assolutamente nulla. E´stata un´esperienza totalmente nuova per me, alla quale però mi sono accostato come se si trattasse di un film qualsiasi: lo scopo era comunque quello di raccontare una storia e di creare dei personaggi. Non era poi cosí diverso dai miei film precedenti. Ciò che cambiava era il modo in cui veniva realizzato il film, perché non c´è un regista dietro la cinepresa bensí 200 persone sedute ai computer. Tecnicamente era una cosa nuova per me, ma alla fine è stato il film di un regista che utilizza una tecnica diversa e non il film di un tecnico che vuole dirigere un film.
Qual è stato il Suo approccio all´utilizzo di queste nuove tecniche?
Un genio di nome Pierre Buffin ha messo a punto un sistema che consente di filmare i movimenti di un attore senza ricorrere ai sensori che solitamente permettono la registrazione del movimento. Ero completamente libero di dirigere gli attori come volevo. E´ una cosa nuova. Non potrei spiegare dettagliatamente come ha fatto, ma lo ha fatto e io ero totalmente incredulo. Era il materiale migliore che potessi dare agli animatori. Non potevo certo stare lí a controllare quel che facevano, sono troppo bravi. D´altro canto, riprendendo i miei attori da varie angolazioni, riuscivo a consegnare agli animatori un´ampia gamma di riferimenti per le espressioni facciali, i sorrisi, le intenzioni, il comportamento dei personaggi. Non sono un grande fan della tecnologia, non ho neanche un computer o un indirizzo email. Traggo le mie ispirazioni per lo piú dal mondo che mi circonda, dalla vita vera. Cerco di proteggermi dal mondo virtuale, anche se mi affascina, tuttavia mi circondo di collaboratori che lo adorano.
Lei non ha mai pensato di fare un film totalmente in 3D?
Per quanto riguarda la cinematografia 3D, la Pixar è all´avanguardia, così come la Dreamworks. Piuttosto che avventurarmi nel loro territorio, ho pensato che sarebbe stato più interessante fare qualcosa di nuovo, qualcosa che nessuno aveva ancora mai fatto. Infatti nel mio film ci sono personaggi 3D in azione all’interno di set tridimensionali basati su modelli reali; ad esempio i funghi giganti che si
vedono nel film erano reali! In questo modo il film possiede una qualità e una rifinitura uniche. Questo è il nostro modo di competere con gli americani, anche se a confronto siamo piccolissimi!
Come avete finanziato un film dal budget cosí importante?
E´vero, 65 milioni di euro sono una bella cifra e per i primi due anni abbiamo dovuto autofinanziare il film. E´ impossibile convincere i potenziali partner cinque anni prima della distribuzione solo mostrando loro una bozza e dicendo: “Sarà magnifico!” Fino a quando non c´è davvero qualcosa da mostrargli, è abbastanza difficile. Fortunatamente, dopo due anni di lavoro, grazie alle prime immagini da
noi prodotte, la maggior parte degli investitori stranieri con cui lavoro regolarmente, mi hanno accordato la loro fiducia e questo mi è stato di grande aiuto. Poi c´è stata la ATARI, che ha corso il rischio unendosi a noi tre anni fa. E’ stata un’ottima idea, perché le sue squadre di animatori hanno lavorato con i nostri artisti scambiandosi le idee per oltre due anni. E tutto questo si nota nella versione finale del film.
Lei si è reso conto delle dimensioni del progetto?
Fortunatamente ero totalmente inconsapevole quando ho intrapreso questa avventura. Pensavo che ci sarebbero voluti un paio d´anni, e non addirittura cinque! In effetti dopo i primi due anni mi sono un po’ demoralizzato, soprattutto perché non avevamo ancora nulla da mostrare, nonostante avessimo già lavorato tantissimo! Dopo due anni non avevamo ancora neanche un secondo di immagini! Credo che Pierre Buffin se ne sia reso conto perché dopo circa una settimana mi ha mostrato i primi secondi.
C´è molto di Lei nel personaggio di Arthur?
Si, al 50% è come me. Molti bambini sperimentano una separazione o una perdita nella propria famiglia, ed è sempre un forte trauma. Anche io ho avuto esperienze simili, che mi hanno molto segnato e che sono presenti nella parte “emotiva” del film. Un po’ di me c´è anche in Selenia, in Bétamèche e anche in Max! Poiché ho dei figli anch’io, so bene quanto sia difficile, con i bambini, parlare di concetti quali la moralità e il rispetto per gli altri e per se stessi. La storia di Arthur e il modo in cui lui trova risposte alle domande, è stato un modo per parlare con i miei bambini. Loro non mi ascoltano ma se è Arthur che parla, allora è diverso! Le sue parole li colpiscono di piú.
In che modo ha influenzato il disegno dei personaggi?
Non è esatto dire che ho influenzato i disegnatori. Patrice Garcia e la sua eccellente squadra mi hanno sottoposto molteplici versioni, e io, come il capitano di una nave, ho dovuto prendere le decisioni finali, sempre valorizzando il meraviglioso contributo di ognuno dei miei collaboratori.
E´vero che il personaggio di Selenia è stato oggetto di una attenzione particolare?
Si, è stato il più complesso da disegnare! Mentre la maggior parte dei personaggi, come il Re e Bétamèche, erano pronti già al secondo anno di produzione, Selenia è stata costantemente ritoccata per quattro anni. C’era sempre qualche dettaglio da perfezionare! … bè, in fondo è una principessa!
Qual è stato il Suo approccio al casting per le scene di live-action?
Abbiamo lavorato con l’idea che ci sarà un sequel. Arthur è una trilogia. E perciò quando si scelgono le persone con cui lavorare, non si prende in considerazione solo il loro talento ma anche la loro personalità. Devono essere affidabili, devono essere persone con cui si potrà piacevolmente trascorrere molto tempo! Freddie e Mia erano perfetti da questo punto di vista. Possiedono grande talento e personalità!
Freddie Highmore colpisce per la sua età. Come l´ha scelto?
Il casting è stato un po´ tortuoso, si è svolto tra Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Non è facile scritturare un protagonista giovane: deve avere l´innocenza di un bambino e la professionalità di un attore maturo, perché dovrà recitare continuamente, imparare le battute e i tempi in cui pronunciarle. Inizialmente ero indeciso fra alcuni bambini inglesi e americani. Poi un direttore del casting, che non lavorava in questo progetto, mi ha suggerito di dare un´occhiata ad alcune foto di Freddie.
La Fabbrica di cioccolato era stato ultimato da poco. Non appena le ho viste, ho capito che era lui il bambino che stavo cercando. Sono stato molto fortunato perché è la seconda volta che mi è successo. La prima volta è stato con Nathalie Portman, un’attrice sorprendente già all´età di 11 anni, e ora mi è capitato di nuovo con Freddie, che ne ha tredici ed è altrettanto straordinario.
Anche Mia Farrow è una scelta insolita...
E´ raro trovare un´attrice che, come lei, ha interpretato eroine romantiche, figure materne e ora, seguendo un processo del tutto naturale, veste perfettamente i panni di una nonna. E´ una donna molto dolce e gentile, che adora i bambini e ama raccontare favole. Non ho dovuto pensarci molto prima di convincermi che fosse adattissima alla parte.
E poi ci sono voci prestigiosissime...
Disney e Pixar hanno giá provato di tutto. E´ difficile trovare un attore importante che non abbia ancora mai doppiato un film animato. Sapevo che volevo Snoop per fare Max, perché mi piace molto la sua musica e la sua personalità. Quando lui ha visto un´illustrazione del personaggio che avrebbe dovuto doppiare, ha accettato immediatamente e sull´onda di questo entusiasmo ho chiesto ad altri artisti di
doppiare gli altri personaggi. Madonna, che ho avuto la fortuna di conoscere abbastanza bene, è stata veloce ed efficiente come sempre. L´ho chiamata. Ha detto di sí. Abbiamo registrato. Cosí è stato con David Bowie, un genio assoluto. E´stato un sogno lavorare con lui.