FUORISCHERMO

 

RIFLESSIONI SULL'OGGETTO NEVE
COME ICONA DEL NATALE E OLTRE...
CUORI L’ultimo capolavoro del maestro francese Alain Resnais, Cuori, utilizza abbondantemente l’elemento-neve, filo rosso che fa da sfondo alle parallele e a tratti convergenti vicende e solitudini dei diversi personaggi. Sei storie ambientate in una Parigi dove la neve fiocca di continuo, simbolo del gelo che si è instaurato nelle loro vite, dell’isolamento e dell’impossibilità di comunicare. Un ritratto sulla difficoltà delle relazioni e sull’irrimediabile solitudine come condizione esistenziale dell’uomo. Ma allo stesso tempo il fiocco di neve diventa anche segno di un avvicinamento, di un incontro possibile tra due esseri umani, come la sequenza tra Charlotte e Lionel testimonia. Nel mentre di un reciproco confidarsi, di un aprirsi con fiducia all’altro, di un vero e proprio contatto, la neve entra irrealisticamente nell’appartamento e sommerge di candidi fiocchi le due mani che si stanno toccando. Resnais in questo modo altera il comune uso che si potrebbe fare della neve, per conferire alla scena un’aura surreale e visionaria.
Una conferma per il cinema, soprattutto per quello cosidetto "natalizio", perché nell’immaginario collettivo non esiste Natale senza neve. Per questo, quando il cinema deve cimentarsi con la festa più attesa dai bambini, il bianco ingrediente non manca mai. Il fiocco di neve si trasforma così, in icona paradigmatica natalizia e cinematografica.
LA FABBRICA DI CIOCCOLATO Ne è un esempio efficace il capolavoro di Tim Burton, The Tim Burton’s Nightmare Before Christmas (1993), che, se per dipingere la città di Halloween usufruisce delle tinte fosche e gotiche del regno dei morti, abbinate ad oggetti-simbolo quali scheletri, cimiteri e zucche, quando deve tratteggiare la città del Natale non può che disegnarla con le rosse sfumature del costume di Santa Clause e il bianco immacolato dei fiocchi di neve. Anche in Edward mani di forbice (1990) e nel recente La fabbrica di cioccolato (2005), ancora una volta targati Tim Burton, il Natale è associato al velo ghiacciato della neve. Così, se Edward passa dalle sculture in siepe d’erba alle statue di ghiaccio, regalando così alla città un inedito Natale innevato e dando vita ad una delle sequenze più suggestive e poetiche del film (la danza di Kim attorno alla figura in ghiaccio che la ritrae, atto d’amore di Edward), nella fabbrica di cioccolato di Willy Wonka lo zucchero a velo ricostruisce artificialmente l’effetto-neve sulla piccola casa fatiscente della bizzarra famiglia di Charlie.
La lista di film ambientati il 25 dicembre e virati nel bianco abbacinante della neve è infinita, ma come non citare l’opera celeberrima di Frank Capra, un classico natalizio come La vita è meravigliosa (1946), che non smentisce certo il connubio tanto citato.
Ma il fattore-neve spesso sembra non essere associato al Natale esclusivamente per ovvi motivi stagionali, ma anche per il potere evocativo e il significato simbolico che questo evento metereologico veicola. La neve sembra avere il potere di trasformare e trasfigurare la realtà. Una sorta di “velo di Maya”, parvenza illusoria che ricopre le reali ed autentiche sozzure quotidiane, azione purificatrice alla quale lo stesso elemento dell’acqua, variazione della neve per il processo inverso alla condensazione, è accostato (basti pensare all’acqua battesimale). Il tocco leggero e candido della neve, cristallo naturale, diafano simbolo di delicatezza, leggerezza e levità. La danza dei fiocchi che vibrano nell’aria come movimento analogico della danza aggraziata delle ballerine classiche vestite del bianco tulle. Sostanza trascendente, simbolo di purezza, castità e nobiltà dei sentimenti. Colore verginale dell’abito della sposa e tinta emblema dell’innocenza puerile. L’aura poetica della neve diventa così non solo segno del Natale, ma una componente immaginifica essenziale per evocare visioni di purezza o momenti di delicata poesia, come lo stesso cinema di Tim Burton, al di là dei riferimenti natalizi, già attesta perfettamente. Esemplare a questo QUARTO POTERE proposito anche il cinema di Orson Welles, in cui la neve figura come tema ricorrente. Infatti, già con Quarto potere (1941), esordio cinematografico del geniale regista, i fiocchi argentei raffigurano il sottofondo scenografico dei ricordi di fanciullezza di Charles Foster Kane, legati ad un mondo ancora intatto e immacolato rispetto all’universo di degradazione e corruzione di cui sarà testimone ed artefice. E Rosebud, l’ultima parola pronunciata dal vecchio magnate della stampa prima di morire, è guarda caso il nome della sua slitta da neve, oggetto paradigmatico dell’infanzia perduta di Kane. La neve ritornerà con la stessa funzione metaforizzante anche nell’immediatamente successivo L’orgoglio degli Amberson (1942), ambientato nella prima parte del film, quella non a caso più spensierata e meno cupa, in un gelido inverno innevato. La sequenza-cardine del primo atto del lungometraggio e momento di rottura all’interno della pellicola è infatti rappresentata dalla gita sulla neve, ultimo episodio di gioia e felicità prima dell’arrivo incombente dell’ombra della morte, subito dopo annunciata dal decesso del primo componente della famiglia, il padre di George, ultimo rampollo della casata.
Se vogliamo visualizzare invece un impiego più specificatamente lirico della sostanza nevosa, Toro scatenato (1980) di Martin Scorsese ne rappresenta un modello eccellente. L’incipit della pellicola ci immerge, infatti, in un’atmosfera onirica e irreale nella quale soffici fiocchi di neve galleggiano sul ring accompagnando la “danza” di Jake La Motta, protagonista del film, che riproduce a rallentatore i gesti tipici che un pugile compie per prepararsi ad un incontro. Scorsese sceglie di girare questa sequenza trasfigurandola in una realtà altra, non reale, quasi allucinatoria, attraverso l’elemento-neve, impossibile e inopportuno ospite di una palestra di pugilato. La figura del pugile che volteggia delicatamente, fendendo l’aria con i pugni, fotografato in un magnifico bianco e nero (opzione molto efficace per tratteggiare al meglio la forza visionaria della scena) e sotto un’incessante quanto improbabile nevicata è un’immagine di sicuro effetto poetico.