Negli Stati Uniti sembra che siano ricomparse le liste degli artisti sgraditi al potere per le loro posizioni politiche. Per
capire se si tratti di un rigurgito delle liste nere degli anni Cinquanta abbiamo cercato di capire con Luigi Bruti
Liberati, docente di Storia Contemporanea dell’Università di Milano, cosa sia stato davvero il Maccartismo.
C'è un modo di guardare a una cerimonia come quella degli Oscar che non ci interessa per niente (e infatti "duel" non se n'è
mai occupato): le star, i vestiti, il côté mondano, i sorrisi di circostanza, l'elenco dei vincitori e degli sconfitti…
Oppure si può cogliere in una manifestazione come quella la rappresentazione rituale dei valori di fondo e dell'ideologia
cinematografica statunitense. Da questo punto di vista la 75esima edizione degli Academy Awards ha rappresentato il
tentativo dell'industria americana di fare quadrato e di propagandare le ragioni di un'America guerrafondaia in nome della
pace. E ha dimostrato un sostanziale appiattimento sulle posizioni dell'amministrazione Bush, appena scalfito dal
disturbatore Michael Moore (premiato per
Bowling a Columbine). Nessun'altra delle star "contro" ha trovato spazio
all'interno della cerimonia ufficiale, ma ha comunque cercato di far sentire la sua voce grazie a una manifestazione
pacifista, organizzata poche ore prima della consegna degli Oscar, alla quale hanno partecipato circa tremila persone e in
cui sono intervenuti Sean Penn, Jessica Lange, Tim Robbins, George Clooney, Spike Lee, Ed Norton, Susan Sarandon, Steven
Soderbergh, Janeane Garofalo, Meryl Streep, Dustin Hoffman.
Sembra che la cosa non è stata molto gradita dalle potenti majors, quasi che Hollywood avesse nostalgia di classificare gli
artisti sulla base delle loro posizioni politiche. Com'era già successo negli anni Cinquanta ai tempi della guerra fredda,
quando il “famigerato” senatore McCarthy portò alle estreme conseguenze le indagini della Commissione per le Attività
Antiamericane volte a estirpare tutti i presunti comunisti d’America. Prima di stabilire l'analogia, conviene però chiarire
bene il termine di paragone. Ne abbiamo discusso con Luigi Bruti Liberati, Professore di Storia Contemporanea
dell’Università degli Studi di Milano.
Cosa ha rappresentato il senatore Joe McCarthy per gli Stati Uniti di quegli anni?
Sicuramente ha dato il nome a un'epoca e a un fenomeno, che non si riassume soltanto nell’esperienza politica. La sua è
un’esperienza breve (1950-1954) ma molto significativa e importante per capire la società di quel tempo. Uomo politico
molto abile, McCarthy conduceva una politica demagogica, suscitando timori e paure nel pubblico americano. Individuò e
affrontò la delicata questione dei comunisti infiltrati nella società americana, protetti dall’apparato statale, ovvero dal
Partito democratico. La sua breve carriera è sicuramente stata spalleggiata da due elementi chiave: i favorevoli rapporti
con la stampa e con il mondo dell’informazione, e l’amicizia con il capo dell’FBI. In tutta la sua vita non scoprirà nessuna
spia e non verrà a capo di nulla, ma riuscirà a sollevare un grosso polverone nella società americana, destrutturando le
numerose certezze che la contraddistinguevano. La fama acquisita gli ha permesso di attaccare anche personaggi importanti.
Per esempio è significativo un suo libro del 1951 in cui arrivò ad accusare il generale Marshall di tradimento. Anche se le
accuse erano false, Marshall scomparve dalla scena pubblica statunitense. Da questo momento venne coniato il termine
“lista nera”, la famosa lista dei presunti traditori: leggere il proprio nome su quella lista, significava essere distrutti
nel giro di breve tempo. Il suo era sicuramente uno strumento al contempo brutale e rozzo ma raffinato. La sua fortuna è
indubbiamente legata anche alle strategie del Partito repubblicano che lo usò per scardinare il presidente Truman.
Come si concluse la parabola del potente McCarthy?
Il senatore era un personaggio troppo ambizioso, non si accontentava mai, e quindi anche quando il suo operato poteva
ritenersi concluso (venne eletto come presidente Eisenhower, un repubblicano) lui continuò ad accusare personaggi pubblici,
diventando un soggetto scomodo. Addirittura nel ’53 accusò l’esercito statunitense! Di notevole importanza fu la
televisione che cominciò a trasmettere numerosi dibattiti con McCarthy. Infatti a causa dei suoi modi di fare - era spesso
irruento e violento - e del suo aspetto poco “telegenico”, divenne ben presto antipatico, e attraverso i sondaggi di
opinione, risultò che alla gente non piaceva più. Non fu accusato per qualcosa di importante (ad esempio per aver abusato
del suo potere), venne censurato dal Senato a causa di atteggiamenti poco educati, di aver violato un’etichetta morale.
Scomparì improvvisamente dalla scena pubblica e la sua parabola si concluse definitivamente quando morì di cirrosi epatica
nel 1956. I mezzi di comunicazione lo crearono e loro stessi lo distrussero anche perché in quegli anni non ci si poteva
permettere esagerazioni. Il periodo di Eisenhower è ricordato come “i tranquilli cinquanta”, perché si voleva mostrare una
situazione positiva, quindi un personaggio del genere non funzionava, suscitava delle inquietudini, era diventato
ingombrante o forse semplicemente non serviva più.
In che modo l’ideologia maccartista condizionò la produzione cinematografica di quegli anni?
Il clima teso delle vicende politiche americane si trasferisce in questi anni anche a Hollywood. Il timore di un’espansione
comunista si traduce in un clima di sospetto, con la persecuzione di chiunque possa essere coinvolto in presunte attività
antiamericane. La “caccia alle streghe” prosegue con la presidenza Eisenhower, coinvolgendo Hollywood in una serie di
indagini e processi che portano alla formazione di una vera e propria lista nera di registi, sceneggiatori, attori
progressisti accusati di filocomunismo e di attività antiamericane. Se Charlie Chaplin è costretto all’esilio in Europa,
come Joseph Losey, altri cineasti sono costretti a lavorare non accreditati, come lo sceneggiatore Dalton Trumbo, il cui
nome tornerà a comparire solo nel 1960. Altri registi “segnati”, per evitare la scomunica decideranno di collaborare con il
Comitato per le attività antiamericane, denunciando altri colleghi, come accadde ad Elia Kazan. Tra l'esilio e il
collaborazionismo, si può comprendere perfettamente il clima. Chaplin continuerà la sua carriera in Inghilterra, invece il
regista di
Fronte del porto e
Un tram che si chiama desiderio, prima di scegliere la delazione, si fa un po’ di mesi in
carcere, poi decide di collaborare per poter continuare a lavorare. Molto simile è la storia di Edward Dmytryck: ex
comunista che finisce in galera, si pente, denuncia qualche collega e poi torna a lavorare. Nella filmografia di Dmytryck è
molto importante una pellicola del 1954 con Humphrey Bogart,
L’ammutinamento del Kane, dove non vengono affrontati
direttamente argomenti politici, ma viene messa in luce in maniera negativa la figura dell’intellettuale. Il tema del
maccartismo va letto in modo ampio: i politici addetti alla Commissione, poco noti e in cerca di fama, controllavano gli
intellettuali che gravitavano ad Hollywood per ottenere successo e ovviamente più soldi. C'è un film del 1991 con Robert
De Niro,
Indiziato di reato di Irwin Winkler, che è utile per entrare a fondo nelle questioni dei primi anni cinquanta
negli Stati Uniti. Sempre da questo film possiamo estrarre anche un altro concetto fondamentale di quel periodo:
l’apoliticità dei produttori cinematografici.
Negli anni Cinquanta sono molte le pellicole di fantascienza, un genere ad alto tasso metaforico. C'è qualche opera che si
collega al clima da “caccia alle streghe”?
Sicuramente il genere in quegli anni riscuote molto successo tra il pubblico, e indubbiamente si può ritenere la
fantascienza una valida chiave di lettura. Suggestivo, è indubbiamente uno dei più riusciti, è l’esempio di Don Siegel con
L’invasione degli ultracorpi che ormai è un film di culto. Anche se in maniera un po’ rozza e rudimentale, Siegel mette
l’accento sul problema dell’infiltrazione degli esterni - ossia del comunismo che si insinua nella società. Altri esempi
sono dati da film come
La cosa, e tanti altri titoli con invasioni di mostri come protagonisti.
In che modo cambiano le cose negli anni sessanta?
La lista si allenta e le persone accusate cominciano sempre più a diminuire. Coloro che in precedenza dovevano lavorare con
pseudonimi, possono riavere il loro nome reale, e nella gente si comincia a formare un po’ di coscienza critica rispetto a
quanto successo. Un esempio di cambiamento di vedute è dato dal regista William Wyler, il quale nel 1964 con
Quelle due fa
il remake di un suo film che affrontava il tema dell’intolleranza, allargandolo, fino a lasciar trapelare il rapporto
lesbico fra le due ragazze.
È possibile azzardare qualche parallelismo storico tra la situazione di allora e quella di oggi?
È sempre pericoloso fare dei paragoni e dei parallelismi con il passato, soprattutto perché i periodi sono molto diversi.
Quell’epoca è terminata da un pezzo. È possibile invece mettere in evidenza come viene fatto nel libro
Il paradosso del
potere americano, che da quando è finita la Guerra Fredda, eliminato il nemico di sempre, il rapporto con il mondo esterno
è diventato sempre più complesso e a volte aspro. C’è una sorta di chiusura per non ammettere e accettare il bisogno di un
confronto con altri modelli. Come avveniva in quel periodo, ciò che fa paura viene cacciato… Il problema è la differenza
culturale netta che c’è tra americani e non-americani, non solo islamici ma anche europei (vedi ad esempio la Francia). Il
paradosso del potere americano attuale è probabilmente quello di non avere elementi di confronto e paragone.