Assente da qualche anno dai nostri schermi (dal 2001 del non memorabile
Invincible), Herzog torna ora alle origini,
alle aspre immagini di natura di
Fata Morganae al cinema ipnotico di
Cuore di vetro. Allora si diceva che ad
essere ipnotizzati fossero gli attori, ora il tentativo di suggestione č rivolto verso (contro?) gli spettatori. Ma il
coraggio sperimentale č un po’ sedentario, con quasi tutto il film composto sostanzialmente da tre sole sequenze (il
monologo dell’improbabile alieno Brad Dourif, le scene di repertorio all’interno dell’astronave e le riprese subacquee e
subglaciali) non legate tra loro (il preambolo ironico stride con il finale onirico-metafisico), e la filosofia di fondo
rimane, per rimanere sul tema, troppo
liquida da una parte e troppo poco
profonda dall’altra.Ci si interroga
se si debba
immergersi nella fascinazione, e in molti hanno dichiarato di averlo fatto, oppure se sia meglio
sprofondare nel sonno.
MAURO CARON