Tre figure, tre solitudini. Un uomo, una donna, un figlio. Tre scelte, tre conseguenze, tre corpi, tre stati d’animo, tre sensi. Guardare, ascoltare, parlare.
Le tre scimmie di Nuri Bilge Ceylan, premio per la Miglior regia a Cannes 2008, è il ritratto amaro di un’umanità sconfitta, in costante ricerca della serenità ma senza speranza. Il regista turco (dopo
Uzak e Il piacere e l’amore) entra nei nascondigli più segreti della mente dei suoi tre personaggi ridefinendo ogni volta la condizione di dolore, rabbia, rancore. Ma forse il primo protagonista del film è semplicemente il senso di colpa. Ciò che non si è detto, ma sofferto. Ciò che non si è voluto vedere, ciò che non si è ascoltato. Tutto è raccontato con le immagini, con il gusto della visione, con la purezza dello sguardo del fotografo (Ceylan lo era di professione) che vuole indagare a cominciare da piccoli particolari. Atmosfere rarefatte, luci soffuse, colori accesi, ombre misteriose. Un film sull’umanità e disumanità dell’uomo,
prezioso anche per la sua matrice interculturale.
DAZEROADIECI:: 8
MATTEO MAZZA