Titolo originale: La terra Regia: Sergio Rubini Sceneggiatura: Sergio Rubini Montaggio: Giogiò Franchini Musica: Pino Donaggio Fotografia: Fabio Cianchetti Interpreti principali: Fabrizio Bentivoglio, Claudia Gerini, Sergio Rubini, Massimo Venturiello, Paolo Briguglia Origine : Italia, 2006 Durata: 112'
Colore
Luigi (Fabrizio Bentivoglio) torna al suo paese per vendere l’eredità del padre e dividerla con i propri fratelli. Crede di
potersela cavare in poche ore e invece si accorge presto che la situazione è più complicata di quanto sembra. Soprattutto
dopo l’uccisione del boss del paese.
Alla sua ottava regia Sergio Rubini inciampa e cade per terra. Il suo ultimo film rimane impantanato, fermo, statico,
bloccato nelle maglie del noir soleggiato. L’operazione di evolvere la classica struttura da dramma famigliare ad una più
ambiziosa struttura da film giallo non riesce, e a parte qualche slancio evocativo dell’amata Puglia, il resto è fragile e
teatrale. Completamente spaccato in due parti, il film di Rubini rimane sconclusionato nella descrizione di qualche
personaggio, disordinato nella sceneggiatura, futile nelle intenzioni. Nonostante la coerenza dell’impronta autoriale che
ripropone tematiche come l’importanza della famiglia, la riflessione sulla morte, la Puglia come palcoscenico, il ruolo del
denaro nelle relazioni, il film si perde strada facendo, toccando anche ritmi molto bassi. Un passo indietro che non ti
aspetti, da parte di un regista che in altre occasioni, con semplicità, originalità e brio, è riuscito ad ottenere e
trasmettere quello che cercava. MATTEO MAZZA
Rubini ha trovato nella terra di Puglia terreno fertile per il suo cinema; stenta ad orizzontarsi invece il protagonista -
tornato al sud dopo un esilio volontario in seguito ad un dramma famigliare -, che ritrova i tre fratelli con cui dovrebbe
accordarsi per la spartizione dei possedimenti paterni. Ma il sud e la famiglia sono un unico gorgo pieno di sole, di
sapori/odori, di pasticci esistenziali e di segreti inconfessabili, che lo stordisce e lo disorienta sino allo scioglimento
finale, quando si trova costretto a prendersi sulle spalle i carichi famigliari e a riacquistare persino una dimenticata
cadenza dialettale per sistemare il sistemabile. La sceneggiatura funziona quasi sempre, l’ambientazione è azzeccata, gli
attori in parte (Bentivoglio, la Gerini, Soffrizzi; ma su tutti giganteggia un superbo Rubini, che si autoassegna un ruolo
da cattivo unto e viscido e lo interpreta in maniera memorabile). Un bel film italiano (in quanto tale dobbiamo considerare
il finale buonista e ottimistico come obbligatorio?), dove divertono ma non si spiegano anche le citazioni hitchcockiane
che aprono e chiudono il film. MAURO CARON