Titolo originale: La stella che non c’è Regia: Gianni Amelio Sceneggiatura: Gianni Amelio, Umberto Contarello, dal romanzo di Ermanno Rea Montaggio: Simona Paggi Musica: Franco Piersanti Fotografia: Luca Bigazzi Interpreti principali: Sergio Castellitto, Wang Biao, Tai Ling, Hiu Sun Ha, Angelo Costabile, Xu Chungqing Origine : Italia / Francia / Svizzera / Singapore, 2006 Durata: 104'
Colore
Il manutentore Vincenzo Buonavolontà (nomina sunt consequentia rerum!) scopre un guasto alla centralina idraulica di un
altoforno italiano appena venduto ai cinesi. Da qui parte un affascinante viaggio nei meandri della Cina contemporanea alla
ricerca dell’altoforno perduto e in compagnia dell’enigmatica Hua a fargli da guida e interprete… Liberamente tratto da
“La dismissione” di Ermanno Rea, il film di Amelio si presenta come un convincente road movie dall’impianto abbastanza
tradizionale: accanto al viaggio “fisico”, alla scoperta di una Cina per nulla “da cartolina” e soffocata dalle
contraddizioni (oltre che dalla miriade di grattacieli senza ascensore che stanno sorgendo un po’ ovunque,
indiscriminatamente), scorre lento e solenne come il Fiume Giallo, il viaggio “interiore” nei recessi più remoti dell’anima
dei protagonisti. Con discrezione e pudore, senza per forza volerci svelare tutto, come Amelio ha già dimostrato di saper
fare (ad esempio nel suo penultimo Le chiavi di casa), alternando a flash e brevi illuminazioni, lunghi primi piani
di scavo psicologico (su tutti coraggiosissimo quello di Castellitto verso la fine del film) sulle mutazioni di stato dei
protagonisti: buon film, da meditazione! GIANLUCA CASADEI
Ispirato al romanzo di Ermanno Rea "La dismissione", il film riconferma la tesi basilare del cinema di Gianni Amelio: la
vita dell'uomo è un viaggio e la cosa più importante è quello che si scopre non la meta prefissata. O dovrebbe esserlo.
Come accade a Vincenzo Buonavolontà (Sergio Castellitto), manutentore specializzato nei controlli delle macchine di
un'acciaieria aquistata da una compagnia cinese. Convinto che nell'impianto appena venduto ci sia un difetto, Vincenzo si
reca in Cina alla ricerca del "guasto perduto". Accompagnato da Liu Hua, una ragazza cinese, studentessa (suo discapito) di
lingua italiana, Vincenzo aprirà gli occhi sulla Cina, scoprendone soprattutto ombre e ostacoli. Contrariamente a quanto
accadeva in Le chiavi di casa, dove il protagonista partiva con un atteggiamento negativo nei confronti del suo viaggio per
poi esaltare le ricchezze della diversità, qui, il viaggio di Buonavolontà assume un carattere inizialmente positivo, quasi
da impresa eroica, e si trasforma, poi, in disfatta. Per Amelio il risultato non cambia: l'uomo viaggia, è in ricerca,
comunica, e poi si libera. Succede anche qui, seppur con meno intensità, meno emotività, e, forse, meno sincerità. MATTEO MAZZA
Le ultime opere di Amelio seguono un canovaccio pressoché identico: si prendono alcuni personaggi, possibilmente una coppia,
con un forte elemento di disparità (un carabiniere e due bambini; un affarista e un vecchio smemorato; un giovane padre e
un figlio handicappato), li si mette in viaggio, in un contesto disorientante ed estraneo (rispettivamente le strade
italiane de Il ladro di bambini; l’Albania de Lamerica; la Germania e la Scandinavia de Le chiavi di
casa), e si sta a guardare quali affetti si producono tra loro. Stavolta tocca ad un manutentore italiano, che parte
per avvisare i cinesi che nei macchinari che hanno acquistato da un’industria siderurgica italiana in dismissione c’è un
pezzo difettoso e pericoloso, e la sua giovane guida cinese. L’operazione può dirsi riuscita anche in questo caso,
soprattutto nel rendere lo spaesamento del protagonista mentre si addentra nella profondità di una Cina frastornante ed
aliena. Tutto funziona, compresi un Castellitto più misurato del solito (e quindi più umano e credibile) e l’esordiente
(al cinema) Ling Tai; il punto critico è proprio il pretesto iniziale, sul quale tutto il film si dovrebbe reggere (per
rinforzare il concetto al protagonista si dà il nome di Buonavolontà), ma che rimane una molla narrativa debole e poco
credibile. MAURO CARON