Come si è trovata in questo suo secondo film con Pupi Avati dopo Il testimone dello sposo?
Ero appena reduce da un’esperienza molto emozionante e coinvolgente da cui faticavo a riprendermi, le riprese a Santo Domingo del film di Andy Garcia “The lost city”. Pensavo di riposarmi a lungo prima di accettare un nuovo impegno ma sono anche un pò fatalista e quando Pupi Avati mi ha voluto incontrare con suo fratello Antonio e mi ha raccontato la storia del film ho accettato subito senza voler leggere il copione. L’idea di lavorare di nuovo insieme a lui mi rassicurava molto: lo conoscevo bene, mi ispirava fiducia, sentivo che mi avrebbe aiutato a trovare la serenità necessaria e che sarebbe stato comunque un onore prendere parte ad un progetto di qualità in Italia, un Paese che mi ha offerto sempre belle opportunità e ruoli interessanti a partire da Al di là delle nuvole di Antonioni.
Che impressioni ha avuto una volta che si e’ ritrovata sul set?
E’ molto gratificante ritrovarsi professionalmente con qualcuno, vuol dire che lui è rimasto contento di te, è un fatto di fedeltà. Tutti i registi sono sempre un pò dei direttori d’orchestra ma Pupi è speciale: preciso, attento, paterno, determinante per portare sul set un clima adeguato, (allo stesso modo di suo fratello Antonio che e’ per noi una costante presenza rassicurante), sempre sicuro di quello che fa ma anche dotato di un’ insolita capacità di scherzare e di lavorare con gioia ed intimità in un ambiente raccolto e familiare. Io do il meglio di me solo se mi sento protetta ed amata e su questo set mi sono divertita molto di più di quanto fosse accaduto su quello di Il testimone dello sposo, c’e’ stata spesso anche la possibilità di improvvisare e di creare strada facendo situazioni nuove. La sensazione che ha i quando inizi un film è simile a quella che si prova quando ci si iscrive ad una nuova scuola, prima di cominciare tutti ti fanno sempre dei grandi sorrisi, ma poi devi dimostrare di meritare l’opportunità che ti viene data. Il banco di prova in questo caso per me era rappresentato dalle tante pagine di copione che dovevo imparare a memoria in italiano, una lingua non mia: è stata una corsa ad ostacoli ma è stato tutto esaltante. Però quando recitavo in presa diretta ero un pò buffa: una volta, ad esempio, nonostante mi fossi preparata a lungo, mi è capitato di dire in scena il marito l’ha strafatta anziché il
marito l’ha sfrattata.
Cosa accade alla Ines Lanza che interpreta nel film?
Ines vive a Parigi, è una prestigiosa e superprofessionale giornalista che si è gettata a capofitto nel lavoro ma che ha maturato un vuoto emotivo dentro di sé, analogamente a quanto accade a tante persone di successo che o si distruggono o vanno avanti con estrema tenacia. L’ennesimo evento traumatico che coinvolge suo padre, l’attore in declino Sandro Lanza costringe lei e le altre due figlie del distratto ed immaturo cinquantenne -le tre sorelle sono nate da tre donne diverse e sono disperse in mezzo mondo- a riunirsi a Roma per affrontare direttamente il problema della sua gestione. Le varie vicissitudini tragicomiche che ne conseguiranno rappresenteranno un segnale di crescita per tutti, è come se tutti finissero col maturare, consapevolmente o meno.
In che cosa il suo personaggio le somiglia ed in che cosa è diverso da lei?
Naturalmente la Ines del film non sono io anche se Pupi ha scritto il copione pensando direttamente alle attrici e agli attori che voleva, elaborando quello che sa o che ha intuito di ognuno di noi e delle nostre personalità. Il mio è forse il personaggio più complesso tra le sorelle, è quella che vuole meno bene a suo padre a cui in un primo tempo si rivolge sempre a muso duro, fredda e aggressiva ma poi si capirà quanto il suo rancore sia motivato dal dolore per l’abbandono e dai comportamenti da irresponsabile di Sandro Lanza che hanno condizionato tanto la sua vita e quella di sua madre. Anche se io nella vita ho con mio padre un rapporto meraviglioso, mi sono ritrovata in certe sue sofferenze e in certi suoi traumi difficili da superare. Se fossi stata lei forse avrei fatto la stessa cosa, non per scelta razionale ma piuttosto come unica strategia di sopravvivenza per andare avanti.
Che rapporto si e’ creato con gli altri suoi colleghi?
Conoscevo già bene Diego Abatanuono, rispetto all’epoca de Il testimone dello sposo l’ho ritrovato ancora più intenso e maturo e mi sono divertita molto sia con lui che con le altre attrici con le quali - nonostante i timori iniziali - non c'è stata mai nessuna competizione o rivalità: molte volte penso che siano gli uomini ad essere più competitivi delle donne. Sul set mi sono trovata bene con chiunque ma ho familiarizzato in maniera speciale con Francesca Neri, ho potuto ammirare da vicino il suo grande talento e la sua grande sensibilità, mi sembrava di conoscerla da sempre. Più in generale, mi ha gratificato molto poter essere coinvolta così profondamente in un film speciale che parla di vita vera, rapporti di famiglia e problemi di comunicazione e fa riflettere su come superare il dolore dell’abbandono e sulla capacità di perdonare.