Gli alieni sono tra noi, questo lo sapevamo già. Alcuni lo sostengono da anni. Film, libri, associazioni di ufologi, insomma
il contatto con gli exterrestri è sempre presente nella mente degli uomini, che si sentono un po’ soli in un universo
immenso, e, per quel che ne sappiamo, scarsamente popolato, almeno di forme di vita simili alla nostra (guardando
Star
Trek, invece, e soprattutto considerando le relazioni di Kirk, le cose cambiano). Ma nell’immaginario dell’uomo,
l’incontro con l’alieno non avviene quasi mai in forme pacifiche, di mutuale e reciproca comprensione, tranne il caso, più
unico che raro, dei film di Spielberg, convertitosi comunque anche lui con la
Guerra dei mondi. Il fatto è che
l’uomo non si fida. Egli vede negli alieni una forma di vita molto più evoluta della nostra, e proprio per questa
superiorità evolutiva, secondo l’uomo, gli alieni non hanno niente da imparare da noi. La Terra, per loro, sarebbe solo un
territorio di conquista: ricordate lo slogan di
Mars Attack, “Bel pianeta, lo prendiamo?”. Ecco appunto, secondo noi,
loro il nostro pianeta lo vorrebbero solo usare per qualche losco fine: sfruttamento, distruzione, cibo, etc. Insomma
l’uomo manda la sonda Voyager in cerca di un qualcuno l’ha fuori nell’universo, mentre la Terra si prepara a combattere
l’invasione. La sagoma scura di enormi astronavi che oscurano il cielo sembra diventata una metonimia della conquista, basta
quello ha generare paura e terrore nell’uomo, un’ombra che oscuri il cielo. Ma questo tipo di conquista un po’ baraccona
alla
Indipendence Day è la più facile da sconfiggere e da sfuggire, si individuano i buoni, esseri umani che più
umani noi si può e gli alieni, corpi diversi, umanoidi, strani, diversi. Ma se la vita sulla terra stessa si presenta in
molteplici forme, la grandezza stessa dell’universo ne ammette la moltiplicazione in forme che magari non riusciamo nemmeno
ad immaginare.
E così gli alieni non sono solo gli omini verdi, magri, con la pancia sporgente, gli occhi grandi e le braccia lunghe, ma
possono presentarsi sotto qualunque aspetto, alcuni di questi sono più pervicaci e più difficili da sconfiggere perché
possono abitare dentro l’uomo, dentro di noi, mettere in discussione ciò che ci rende umani, contaminarne l’essenza, a
volte senza alcuna possibilità di ritorno.
Forse l’idea di un bacello alieno che si sostituisce agli umani, lasciando intatto il corpo, ma stravolgendone la
personalità, creando così un clone senza sentimenti, amore e pietà, nacque all’indomani dello sconvolgimento che la
seconda guerra mondiale e l’atroce esperienza dei totalitarismi avevano provocato in Europa. La Russia staliniana con le
sue purghe era un qualcosa con cui fare in conti negli anni ’50, quando Jack Finney scrive
The Body Snatchers,
tradotto
L’invasione degli ultracorpi.
Il libro fu portato per la prima volta sul grande schermo da Don Siegel nel 1957. Era l’epoca del maccartismo, della caccia
alla streghe, del pericolo rosso e dei comunisti ad Hollywood, e molti vollero vedere nel film una metafora politica. Se
la sinistra dell’epoca si scagliò contro il regista, vedendo nella omologazione aliena una metafora del comunismo, in anni
più recenti il film venne interpretato all’opposto come una metafora della persecuzione del Senatore Mc Carthy contro i
comunisti. Siegel non avvallò mai una visione politica del suo film, che rimane un baluardo della fantascienza, un must del
genere. Girato in economia, negli anni ’50 la fantascienza era considerata un genere minore, di serie B, il film riesce a
trasmettere un perturbante senso di pericolo senza ricorrere agli effetti speciali, solo grazie ad una sceneggiatura di
ferro e all’ambientazione in una piccola cittadina sulla costa californiana dove è più facile rendersi conto delle
trasformazioni in atto in quanto tutti gli abitanti si conosco fra loro. Siegel aveva pensato ad un finale pessimista, in
cui il protagonista non riesce ad avvertire il mondo della minaccia aliena che dalla cittadina sta invadendo il mondo, ma
la produzione impose un finale più rassicurante, con un incidente a risolvere la situazione.
Nel 1978, Philip Kaufman ne fece un remake a colori intitolato
Terrore dallo spazio profondo. Senza i sottesi
politici individuati nel film di Siegel, il film di Kaufman si rivela ancora più perturbante e maggiormente capace di
trasmettere terrore. Peccato che l’ambientazione a San Francisco snaturi l’idea di base di una contaminazione che avviene
all’interno di una comunità di persone in cui tutti si conosco e in cui dunque sia più facile individuare i contagiati e
sentirsi maggiormente in pericolo: chi ti insegue e vuole trasformarti in un alieno è un tuo parente, il tuo vicino di casa,
l’uomo del negozio all’angolo, gente di cui conosci il nome e la storia. Libero dai condizionamenti della produzione il
regista firma un finale meno consolatorio, senza alcuna speranza o via d’uscita. Alcuni hanno comunque voluto leggere nel
film di Kaufman un’allegoria dell’America all’indomani della guerra in Vietnam e dei cambiamenti sociali apportati negli
anni ’70 alla società americana.
Nel 1993 esce anche la versione firmata Abel Ferrara,
Ultracorpi-L’invasione continua. Ambientata in una base
militare in cui l’invasione è già in atto prima dell’arrivo dei protagonisti, che si scontrano con un mondo ostile in cui è
ancora più difficile capire chi sia infetto e chi non lo è a causa delle rigide regole e dei rigidi schemi vigenti in una
base militare. Ma Ferrara ad un certo punto, perde di vista la storia, concentrandosi invece sulle immagini, per girare un
film pieno di invenzioni visive. Questo toglie al racconto suspance e tensione, trasformandolo, invece, in un film d’azione
con lunghe fughe, scoppi e rumori assordanti.
L’ultima trasposizione del romanzo è diretta dal regista de
La caduta, il tedesco Oliver Hirschbiegel. Il regista
trasporta l’azione nel cuore stesso del potere americano, una Washington moderna e grigia. Infettando tra i primi un alto
dirigente del Sistema Sanitario Nazionale, gli alieni si trovano a disporre tutti i mezzi necessari a soggiogare la nazione,
una nazione che, ignara, si lascia infettare. La città lentamente cambia sotto gli occhi dei protagonisti, al disordine e
al caos umano si sostituisce l’ordine maniacale degli alieni. Alieni che non conoscono, amore, non conoscono, passione,
tenerezza, gioia, ma nemmeno dolore, paura. Sono violenti certo ma solo verso coloro che non sono ancora stati infettati,
il loro obiettivo infatti non è uccidere, ma sopravvivere, e sopravvivere al meglio in un mondo dilaniato da guerre e
conflitti. Un personaggio nel film, un ambasciatore russo invitato a cena dal suo omologo della repubblica ceca, sostiene
che “immaginare un mondo nel quale una crisi non si traduca in nuove atrocità, nel quale un giornale non sia pieno di guerra
o violenza, significa immaginare un mondo in cui gli umani cessano di essere umani”. È la paura di perdere tutto questo:
il terrore, la morte, l’angoscia, il rimorso che crea nei personaggi il terrore. In fondo noi vediamo il tutto da un punto
di vista molto umano, vediamo gli alieni usare la forza, dove non funziona la persuasione, per infettare le persone, e
questo ci spaventa. Ma loro non uccidono, non violentano, non squartano, sono sempre compassati e impassibile, in giacca e
cravatta, degli impiegati dell’invasione. Non guerrieri ma colletti bianchi. Gli infetti non diventano zombie, che
mantengono solo gli istinti primordiali di mangiare e sopravvivere, ma mantengono intatti i loro ricordi, che anzi
diventano più nitidi, anche se spogliati di ogni sentimento, sono dei computer dotati di ottima memoria, ma senza capacità
di comprenderli: amore e odio sono la stessa cosa, non c’è un negativo ma nemmeno un positivo. John Carpenter quando
La
Cosa (1982) venne paragonato al film di Siegel disse: “È un po’ azzardato (…) In Don Siegel gli invasori sono talmente
civilizzati che la loro prospettiva di vita risulta allettante anche alla protagonista. Se l’essere umano sopravvive dov’è
il problema? Se ciò che ci rende umani ha a che fare con la violenza, la morte e la paura, perché non diventare tutti
alieni?
Esatto, dov’è il problema? Sono talmente civilizzati che la loro prospettiva di vita risulta, anche per la protagonista,
allettante la proposta di diventare come loro. Se l’essere umano sopravvive dov’è il problema? Se ciò che ci rende umani
ha a che fare con la violenza, la morte e la paura, perché non diventare tutti alieni?