FUORISCHERMO

 

YOGURT NOSTALGICO
Colori, odori, sapori, amori e dolori nel cinema di Wes Anderson
Il treno per Darjeeling Nel romanticismo ci sono nati. Nel surrealismo sembrano essere cresciuti. Nel tragicomico muoiono e poi rinascono. Nel road movie, mascherato da viaggio ascetico, scappano, s’inseguono, si innamorano. Dentro i luoghi prendono forma, definendo i loro contorni più duri e difficili da accettare, i più strani e lontani. Quelli di Wes Anderson sono personaggi alterati ma veri, estremi ma sinceri, maschere, copioni, costumi edulcorati ma protagonisti di un nuovo e sempre più eccentrico e fantasioso modo di intendere il cinema e l’avventura del racconto.

Morte di un uomofamiglia
Per onorare la morte di uno dei pirati che ha attaccato la Belafonte Klaus cita San Paolo: «Senza stirpe nessun uomo può guardare a se stesso con amore». Con le dovute, ma non eccessive, distanze questo è un concetto che delinea il nucleo fondante del cinema di Wes Anderson (nello specifico la sua trilogia del colore/dolore composta da The Royal Tenenbaums, The Life Aquatic of Steve Zissou e l’ultimo The Darjeeling Limited con la parentesi produttiva di The squid and the whale di Noah Baumbach, suo amico e sceneggiatore). Un cinema che si presenta sempre con forme originali, sorprendenti, stravaganti e innovative, improntato sull’idea di famiglia come luogo delle relazioni primitive e/o necessarie per la sopravvivenza dell’animo umano. (L’idea di un cinema veicolo della relazione padre/figlio, in Zissou, assume significati ancora più profondi: fino alla fine del film, infatti, non sapremo mai se Ned sia effettivamente figlio di Steve, visto che secondo la moglie Eleanor, Steve “spara a salve”. Della trilogia, Zissou è l’unico film in cui la morte colpisce il figlio in ricerca, piuttosto che il padre).
La famiglia rappresenta quindi il primo tassello di un discorso più ampio che appartiene a tutto il cinema di Anderson, una sorta di sistema reticolare che si aggancia al precedente e anticipa il successivo. Un po’ come avviene in The Darjeeling Limited, dove lo spazio narrativo, l’energia e il desiderio della narrazione sono contaminati dalla presenza Il treno per Darjeeling del cortometraggio Hotel Chevalier (prologo corporeo squisito e individuale che collocato in universo più grande amplifica tutto il suo valore). Come una fiamma che brilla nella mente dello spettatore che fa scattare, di continuo, nuovi stimoli. La famiglia, le relazioni, i rapporti tra i soggetti attivi o passivi, spenti o accesi, coraggiosi o spaventati, nostalgici o arrabbiati, sono le coordinate che consentono di riconoscere, ad un primo livello, che quello di Anderson è un corpus in continuo aggiornamento.

Farsi spazio.
La famiglia intesa come occasione per le relazioni è, prima di tutto, un luogo. Uno spazio scenico, finto e vero, manipolato e genuino, nel quale i personaggi trovano la propria dimensione fisica. Dalla villa dei Tenenbaum, alla nave del team Zissou fino al treno Darjeeling i luoghi nel cinema di Anderson prima esistono e un attimo dopo non esistono più. Così come le pareti, le mura, le porte, le finestre, gli oblò, i vagoni, i bauli. Tutto è inaccessibile e poi tutto diventa accessibile. Sono luoghi forse metaforici che rincorrono il senso del gioco, lo stupore dell’immaginazione ludica, la simpatia per l’invenzione e l’improvvisazione (il teatro è per questo una magnifica ossessione: basti pensare a Max Fisher in Rushmore, al ruolo di Margot Tenenbaum, drammaturga anoressica di spessore mondiale, e al fatto che Zissou sia ambientato inizialmente all’interno di un teatro). In Anderson il trucco c’è e si vede. È un maestro della contraffazione della verità perché mescola un pizzico di realtà a quintali di finzione. Così, di conseguenza, attraverso il cinema, lo studio dell’inquadratura, il movimento attoriale, Anderson crea l’illusione di uno spazio infinito e sempre accessibile all’occhio dello spettatore.
Il linguaggio cinema non è mai messo in secondo piano perché è la chiave per entrare in contatto con i personaggi goffi, le Il treno per Darjeeling decorazioni surreali, le storie incredibili dei suoi film. Dall’uso del rallenty per sottolineare le emozioni, alle carrellate laterali o all’indietro, dagli zoom usati a ripetizione alla macchina a mano. Tutto è funzionale a ciò che Anderson vuole raccontare. Un sistema narrativo complesso e indirizzato ad un nuovo modo di raccontare e di fare cinema nel quale la narrazione viene affrontata come una nuova interpretazione degenerata. Anderson coglie l’essenza dei generi e ne sovrappone le parti, così il romanzo di formazione si alterna al road movie, il family drama all’action anni ’70, il viaggio iniziatico e mistico al cinema surreale e d’avanguardia delle origini, il b-movie al telefilm pop.

Dentro il gioco
Così come la villa, la nave e il treno ricordano tre diversi modelli(ni) di giocattoli (in questo senso anche la presenza fissa di animali – il falco, gli elefanti, le creature marine, i serpenti - può essere letta come un ritorno alla fiaba, all’infanzia o all’epica), i protagonisti dei suoi racconti permettono di tracciare un secondo livello strutturale del suo cinema: l’antieroicismo. Se Royal Tenenbaum era un uomo avido e meschino che presagendo di essere arrivato al capolinea della sua esistenza di uomo, marito e padre, aveva deciso di provare a rimediare agli sbagli del passato e a ridare forma a una famiglia geniale ma sgangherata, Zissou si presenta come un idolo ma si rivela ben presto un clamoroso flop (uno stralunato e molto meno epico, ma genuino, capitano Achab), mentre i tre fratelli Whitman (salgono sul treno dei sogni) ma rappresentano l’instabilità affettiva, fisica, mentale e relazionale (giungono infatti nel luogo della vicenda prendendo ciascuno le distanze da qualcuno e qualcosa: Peter è un quasi padre, Francis ha avuto un incidente e Jack ha il cuore a pezzi).
Il treno per Darjeeling I protagonisti del cinema di Anderson sono costruiti rispettando i binari della genuinità e del talento. Il primo criterio non manca mai, è quello che fa la differenza, il valore aggiunto che rende l’uomo o la donna agile di pensiero. Il secondo criterio è come un treno che passa e che non si ferma. Una costante da acciuffare prima che svanisca. Così i tre prodigiosi Tenenbaum, Chas (esperto di finanza internazionale), Richie (campione di tennis) e Margot (commediografa di successo) restano intrappolati nel loro passato a causa dei tradimenti, dei disastri e dei fallimenti del padre che virtualmente cancella il loro tutto. Lo stesso Steve Zissou, che insegue un sogno che diventa incubo, è sull’orlo del fallimento e nasconde insistentemente il suo disagio.
È un cinema, poi, colorato e sfumato dai sentimenti, dall’umorismo e dal senso della morte. Non un banale umorismo rosanero, bensì un discorso vitale sull’esistenza. Il tragicomico è un elemento portante del corpus andersoniano in quanto rappresenta la più originale scommessa dell’autore. Dietro al profilo di ogni personaggio si nasconde una doppia entità completa ma in perenne stato confusionale, quasi ambiguo, di lotta, redenzione e riscatto. L’attimo di romanticismo (è significativo notare come l’amore sia rappresentato da tre donne che diventano icone romantiche grazie al loro fascino: Gwyneth Paltrow, Cate Blanchet, Natalie Portman. La moglie/madre è invece sempre rappresentata da Anjelica Huston) che si assapora è seguito da un vortice di nostalgia, la risata grossolana preceduta dalla lacrima, la vitalità dalla morte, dalla perdita, dalla lontananza. E nel cinema di Anderson, si muore per davvero. Ma poi si rinasce. Si risorge grazie alla luce dell’immagine, alla forza delle colonne sonore, alla magia degli effetti speciali (e in questa direzione autoriale è fondamentale la collaborazione con il direttore della fotografia Robert Yeoman).
Il treno per Darjeeling È un cinema che mescola differenti codici per raggiungere differenti stati d’animo, molteplici punti di vista. Un cinema che ama la citazione, che per molti è solo il manifesto di un sistema calligrafico e snob e feticcio, ma che, invece, fa leva sulle varianti dell’esistenza umana per raccontare sempre con fantasia e immaginazione l’imprevedibilità del percorso di ciascuno. È uno sguardo amaro che non finisce mai di sperare nell’altro e nel diverso, che racconta l’essere anche dalla sua parte più vulnerabile.
Anderson rivaluta, mischia le carte, scopre nuove strade, destruttura convinzioni e piaceri. Ama ricercare nuovi sapori, mescolare, scomporre e ricreare. In questa direzione andrà il suo prossimo The Fantastic Mr. Fox, film d’animazione tratto da un racconto di Roal Dahl, dove, forse, potrà inseguire il tracciato intrapreso con le animazioni surreali e dolci di Steve Zissou.