Gilliam dopo aver firmato il suo capolavoro con
Brazil, non ne ha più azzeccata una (con la significativa eccezione de
L’esercito delle 12 scimmie, in cui abbondavano motivi d’interesse). Affascinato dalle rappresentazioni visionarie e
distorte della realtà (
Il barone di Munchausen, Paura e disgusto a Las Vegas), alle prese spesso con disavventure e
problemi produttivi, qui aveva a disposizione una doppia possibilità: la rappresentazione del mondo fiabesco dei fratelli
Grimm incastonata a sua volta in un intreccio
fantasy in cui i protagonisti sarebbero stati i famosi favolieri in persona.
Ma il difetto comincia già in fase di sceneggiatura, dove gli accenni alle fiabe classiche del duo (ridotti a sbrigative
citazioni visive) vengono soppiantati da una sedicente attività circense-truffaldina dei due. E prosegue in fase di regia,
dove i trucchi allestiti dai Grimm per ingannare gli allocchi dei loro tempi non sono rappresentati diversamente dalle
magie “vere” con cui poi si trovano a lottare. Il piano dell’analogia è trasparente; ma gli spettatori d’oggi non sono dei
contadini sempliciotti, e una girandola meccanica e senza poesia di effetti speciali non basta più ad affascinare e
meravigliare.
MAURO CARON