Tra le più sconvolgenti e, forse, spaventose convinzioni uscite dalla bocca di Franco, l’artefice dello smistamento rifiuti
interprato da Servillo, ne emerge una nel finale del film particolarmente significativa: «È grazie a gente come me che
siamo in Europa». Seguendo i binari dell’indagine sociale documentaristica, con ampie prospettive di sviluppo, e il ricalco
reale dell’immagine cinematografica, in una condizione di equilibri estremi tra oscurità e trasparenza, Garrone desidera
raccontare una parte dell’Italia, Napoli, Scampia, la camorra: un po’ vittima e sacrificio, un pò carnefice e killer.
Garrone si sposta da un luogo oscuro e lugubre che può essere una casa o un box ma anche la spiaggia, per entrare nella
mente più oscura e lugubre delle persone, della gente, dei poveri e dei furbi dai sicari ai sarti, dai giovani che sognano
Scarface ai bambini ignari. La gente che magari spera in un cambiamento e poi, dopo, si trova coinvolta, risucchiata, persa
o anche vittoriosa. Garrone è spietato ma sincero, onesto e coraggioso. Non si tira indietro, si ferma sulla pelle delle
persone, entra nei loro occhi, va sulle loro bocche. Il suo è ancora una volta un cinema innovativo che recupera la
tradizione neorealista (il regista sostiene di avere mantenuto come riferimento
Paisà di Rossellini), che non si
accontenta di mostrare il nudo e il crudo sapore della sconfitta umana (urbana). È un cinema che scava nel profondo, della
terra e dell’uomo, che evade, che non trattiene lo stupore, lo sgomento. Cinque storie, cinque differenti realtà che
assumono la forma di cocci aguzzi, che assomigliano a cinque lame che affondano in un corpo ferito e sempre più virulento.
DAZEROADIECI:: 8
MATTEO MAZZA