La Polonia è dunque l’epicentro della tragedia dell’Olocausto, il teatro dove viene messo in atto lo sterminio. Una prima
accezione del rapporto tra cinema sulla deportazione e Polonia potrebbe quindi riguardare il ruolo della Polonia
precisamente come teatro di posa, come set in cui ambientare film ispirati alla realtà storica. Molti di quelli che
potrebbero essere definiti lager-film sono in effetti ambientati nei campi di sterminio ubicati su territorio polacco, ma
le strategie produttive non sempre rispettano la fedeltà alle ambientazioni storiche autentiche. La casistica è variegata:
se Schindler’s List è ambientato tra Krakow e Auschwitz, Il pianista e Jakob il bugiardo oscillano tra
ambientazioni polacche (Warsaw, Lodz, Piotrkow) e non (Germania, Ungheria); altri ancora scelgono ambientazioni non
polacche nell’Est europeo (la Yugoslavia per Fuga da Sobibor, la Bulgaria per Jona che visse nel ventre della
balena, la Romania per Amen), mentre La vita è bella ricostruisce “in casa”, su un set umbro-toscano, il
lager in cui è detenuto Benigni.
Ma decisamente più interessante sarà affrontare quello che è il vero e proprio tema del presente articolo, e cioè il
rapporto tra il tema della deportazione e il cinema prodotto in Polonia (2), come già si è accennato segnato da un’oscillazione
contraddittoria, che lo vede tema centrale nella cinematografia del dopoguerra e nello stesso tempo oggetto di uno sguardo
di volta in volta obliquo, distante, interrotto, a causa sia di ragioni di carattere generale (il tabù che contrassegna
l’indicibilità del Male che permea la Shoah e la politica di sterminio nazista), che di carattere storico (la censura
politica di cui sono oggetti i temi in questione) che di carattere personale, legati alle resistenze e alle vicende
personali degli autori.
La situazione del cinema polacco, uno dei più vitali nell’Europa nell’Est prima della guerra, nell’immediato dopo-guerra
appare disastrosa. Dei 789 cinema esistenti nel 1938, vigilia dell’invasione nazista, nel 1944 ne sopravvivono 5; gli studi
di produzione di Varsavia sono annientati, molti tra cineasti e tecnici sono morti durante la guerra o finiti nei campi di
sterminio. L’artefice della rinascita del cinema polacco può essere considerato Aleksander Ford, che continua la sua
attività di cineasta anche durante il conflitto, fondando una sezione di cinematografia accanto alla prima divisione del
ricostituito esercito polacco, che combatte accanto ai Russi. Nel 1945 è posto a capo dell’organizzazione della
cinematografia nazionalizzata e assume la direzione di Film Polski, l’ente cinematografico statale. Nel 1948 viene fondata
la scuola di cinematografia di Lodz, dove Ford insegnerà per vent’anni, fucina di tutti i cineasti polacchi del dopoguerra.
Tra le prime realizzazioni del rinato cinema polacco trovano posto immediatamente, a caldo, diversi film dedicati al tema
della persecuzione degli Ebrei e della deportazione, come L’ultima tappa(3), di Wanda Jakubowska o come Fiamme su
Varsavia(4) , dello stesso Ford, premiato alla Mostra di Venezia, dedicata alla tragedia del ghetto di Varsavia e alla
resistenza ebrea anti-nazista. Ford, di origine ebraica e uno dei maggiori esponenti del realismo socialista, si è
occupato della questione ebraica anche prima della guerra, firmando già nel 1935 Sabra, su una colonia ebraica in
Palestina, e quindi La strada dei giovani(5), sugli orfani ebrei del proletariato polacco. Ma le tematiche ebraiche,
in un’Europa che si avvia ad essere nazi-fascista, sono già delicate: la censura polacca blocca il secondo film, che uscirà
invece in Francia con il titolo Nous arrivons. Grottescamente, nella Polonia liberata e socialista riemergono
tendenze antisemite, tanto che alla fine degli anni ’60 lo stesso Ford sceglierà l’esilio, trasferendosi in Israele e poi
in Danimarca e negli Stati Uniti, dove si concludono la sua vita e la sua carriera cinematografica. La cappa del regime
comunista spingerà molti cineasti all’emigrazione in Occidente; il risorgere dello storico antisemitismo polacco, che cova
sotto la cenere della società socialista, ostacolerà una trattazione esplicita della tematica ebraica legata all’Olocausto.
Ancora nel 1990, Wajda, terminata la realizzazione del Dottor Korczak, parla dell’”eliminazione totale della
tematica ebrea dall’arte da parte della censura polacca negli ultimi vent’anni”.(6)
Il cinema polacco del dopoguerra è anche un cinema della diaspora. Lo stesso Wajda, la cui filmografia aspira a fondersi ed
identificarsi con la storia patria, sarà costretto a partecipare a produzioni straniere (Francia, Germania), così come
anche Zanussi (Stati Uniti); emigrano all’estero Polanski (un apolide che firmerà produzioni alternativamente francesi,
inglesi, statunitensi, italiane), Skolimowski (Belgio, Gran Bretagna, Stati Uniti), la Holland (Francia, Gran Bretagna),
Kieslowski (Francia).
Sembra che il cinema polacco si rifiuti di far penetrare lo sguardo nel cuore dell’orrore, nel recinto tabù del campo di
sterminio. Lo sguardo sull’Olocausto finisce così per essere, come nel caso de Il pianista (7) di Polanski, uno sguardo
distante, gettato all’indietro da un cineasta che ha vissuto la tragedia del ghetto di Varsavia ma che tra essa e il
suo film ha messo decenni di esistenza apolide e di un cinema, almeno nelle sue intenzioni dichiarate, frivolo e divertente;
oppure sarà uno sguardo che adotterà forme alternative del linguaggio filmico, come il documentario (ancora Wajda(8) , fino
a Fotoamator(9) , prodotto e diretto da Dariusz Jablonski) o il mediometraggio seriale d’autore (Decalogo 8(10) di
Kieslowski; o ancora sarà uno sguardo obliquo, che non osa rappresentare l’orrore dei lager raccontando piuttosto
l’occupazione tedesca in chiave simbolista-surrealista ( La terza parte della notte(11) di Andrzej Zulawski), le storie
del Ghetto ( Samson(12) , Dottor Korczak(13) o Wielki tydzien(14) , tutti di Wajda), Il pianista di Polanski,
Jeszcze tylko ten las(15) di Jan Lomnicki, la liberazione dai campi di sterminio ( Paesaggio dopo la battaglia(16)
- ancora di Wajda), la fuga dalla Polonia occupata ( Europa Europa(17) della Holland, di produzione franco-tedesca,
I skrzypce przestaly grac(18) di Alexander Ramati.); o ancora impostando il discorso come riflessione etica astratta
(ancora il Decalogo) o da un’angolazione cattolica (come in Vita per vita - Padre Kolbe(19) - di Zanussi (20).
Pornografia(21) diretto da Jan Jacob Kolski e tratto da un racconto di Witold Gombrowicz, presentato alla 60a Mostra
del Cinema di Venezia, sembra in qualche modo tematizzare il rifiuto dello sguardo, mettendo in scena un intrigo
libertino ordito da gentiluomini di campagna mentre intorno infuria – siamo nel 1943 – la guerra tra gli occupanti tedeschi
e i partigiani polacchi.
Quando lo sguardo si fa quasi diretto (per quanto mediato dal racconto e dalla memoria, che probabilmente ne falsa la
veridicità e lo rende problematico) addentrandosi nell’inferno del lager, lo sguardo si interrompe: è il caso de
La passeggera di Munk(22).
(2)Nell’articolo i film verranno citati di norma con il titolo italiano (indicando in nota titolo originale, Paese d’origine e anno di realizzazione) se editi in Italia; con il titolo originale (con la sua traduzione letterale, il Paese e l’anno in nota), se inediti nel nostro Paese. Per i film il cui il tema ha diretta attinenza a quello dell’articolo, viene inoltre fornita in nota una sintetica sinossi.
(3) Ostatni etap, Pol., 1948. Documentario sulle tragiche condizioni delle deportate polacche ed ebree nei campi nazisti in Polonia. “Al di là della testimonianza, l’opera di un raro pudore e della più alta tenuta, si classifica”, secondo Georges Sadoul, “tra le grandi riuscite del dopoguerra” (“Histoire du cinéma mondial des origines a nos jours”, Ed. Flammarion, 1961 - sesta edizione; traduzione mia). La regista diresse poi altri film sul tema, come Spotkania w mroku (Incontri nelle tenebre, 1960), in cui una pianista polacca ritorna a dare un concerto nella città tedesca in cui era stata deportata e Koniec naszego wiata (La fine del nostro mondo, 1964), ancora sui campi di sterminio.
(4) Ulica graniczna, Pol., 1948. E’ il racconto di un gruppo di Ebrei che decide di resistere agli occupanti tedeschi piuttosto che sottostare alla deportazione. Il film fu bandito in Polonia perché gli Ebrei, piuttosto che i comunisti, risultavano gli eroi della resistenza anti-nazista.
(5) Droga mlodych, 1936.
(6)Citato in “Adrzej Wajda” di Paolo D’Agostini, Ed. Il Castoro, 1993, pag. 126.
(7) The Pianist, Fr-Germ-Gb-Pol, 2002. Il film è ampiamente analizzato nel capitolo dedicato a Polanski.
(8)v. più avanti nel capitolo a lui dedicato.
(9)id., Pol-Fr-Germ, 2003. La tragedia del Ghetto di Lodz rievocata a partire da 400 diapositive a colori – tra le prime riprese a colori realizzate all’epoca – scattate da Walter Genewein, ragioniere capo del Ghetto di Lodz, fortunosamente ritrovate nel 1987. La spaventosa contabilità degli Ebrei mandati a morire e dell’inventario dei beni a loro sottratti si mescola ai racconti del dottor Arnold Mostowicz, testimone oculare della tragedia, in cui viene rievocata anche la figura di Chaim Rumkowski, capo del consiglio ebraico del Ghetto, che mandò a morte certa i bambini ebrei pensando così di poter evitare la liquidazione totale del Ghetto.
(10) Dekalog, osiem, Pol., 1989: un’anziana professoressa di filosofia di Varsavia viene spinta a rievocare, a causa di un ritorno inaspettato, un episodio della sua giovinezza: insieme al marito rifiutò rifugio ad una bambina ebrea. Per non violare l’ottavo comandamento (“non dire falsa testimonianza”)? per vigliaccheria? per non farla cadere in una trappola?
(11) Trzecia czesc nocy, 1972. Durante l’occupazione nazista e dopo aver visto assassinati i propri famigliari, un uomo conosce una donna identica a sua moglie, sposata ad un uomo che è uguale a lui.
(12) idem, Pol., 1961. Il film verrà analizzato più ampiamente nel capitolo dedicato al cinema di Wajda.
(13) Korczak, Pol-Germ-Fr, 1990. Il film verrà analizzato più ampiamente nel capitolo dedicato al cinema di Wajda.
(14)T.l.: La settimana santa, Pol-Germ-Fr, 1995. Basato su un racconto di Jerzy Andrzejewski. La famiglia di Malecki, intellettuali patrioti polacchi, cercano di proteggere e nascondere l’ebrea Irena, disillusa ed ingrata. Su tutti loro incombe un destino di morte.
(15)T.l.: Proprio dietro questa foresta (1991). Una lavandaia ariana che lavorava per una donna ebrea di Varsavia si vede affidare da questa la figlia, con l’incarico di condurla in campagna per sfuggire ai rastrellamenti nel Ghetto. La donna si lascia convincere a fatica e dietro lauto compenso, ma durante il viaggio svilupperà un sentimento di compassione e solidarietà verso la ragazza.
(16) Krajobraz po Bitwie, 1970. Il film verrà analizzato più ampiamente nel capitolo dedicato al cinema di Wajda.
(17)Germ-Fr, 1991. Tratto dalle “Memorie” di Solomon Perel, il film racconta di un quattordicenne ebreo che, fuggito dalla Polonia nazista, finisce dapprima in un orfanotrofio sovietico, dove diviene marxista, e poi, dopo essere stato catturato dalla Wermacht, essersi finto ariano ed essere diventato involontariamente un eroe di guerra, in un’accademia militare della gioventù hitleriana. Fu premiato in Usa con il Golden Globe, ma fu scartato dalla riunita Germania per rappresentarla alla corsa agli Oscar.
(18)T.l.: E i violini smisero di suonare, Pol-Usa, 1988. Un gruppo di zingari in fuga dalla Polonia attraverso Cecoslovacchia e Ungheria tenta di sfuggire alla persecuzione nazista.
(19) Zycie za zycie, Germ.-Pol., 1991. Nel 1941 un prigioniero riesce a fuggire da Auschwitz: i nazisti condannano alla morte per fame dieci detenuti ma il padre francescano Massimiliano Kolbe (poi canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1982), offre la propria vita in cambio di quella di un condannato.
(20)Autore cattolico e attirato dalle problematiche morali, Zanussi è compagno di scuola e poi biografo-agiografo di Karol Woityla con Da un paese lontano – Giovanni Paolo II (Z dalekiego kraju, It.-Gb-Pol., 1987). Il film è la biografia di Karol Wojtila, poi papa Giovanni Paolo II; tra i vari episodi trovano posto anche l’occupazione nazista della Polonia e la conoscenza di padre Kolbe (v. nota precedente).
(21) Pol-Fr, 2003.
(22) Pasazerska, Pol., 1961-3. Il film verrà analizzato più ampiamente nel capitolo dedicato.
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