Sono un assoluto sostenitore della continuità e sentivo che avremmo dovuto lavorare nuovamente insieme, considerando
l’ottima esperienza di
28 giorni dopo. E poi, la premessa della sceneggiatura era ammaliante. Penso che sia vero,
nessuno aveva mai fatto prima un film sul Sole, che è la cosa più importante in assoluto. Se si spegnesse, saremmo tutti
morti nel giro di otto minuti, tuttavia nessuno ha mai realizzato un film a riguardo. Ho pensato che fosse una cosa
fantastica. Ovviamente, c’era anche l’idea degli effetti psicologici su queste persone e quello che vedono quando si
avvicinano alla fonte di tutta la vita nell’universo. Questo argomento mi ha sempre interessato molto.
Amo i film ambientati nello spazio. Non sono un appassionato di
Star Trek, non mi considero quel tipo di persona, ma
sono attirato da quelli che definisco dei film spaziali più eleganti. Mi sono ritrovato a vedere
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Alien 4 il primo giorno in cui sono usciti. Quello che lei ed Alex siete riusciti a fare così bene con 28 giorni
dopo, è stato prendere il genere horror ed inserirvi le vostre personalità individuali.
Non ho pensato molto a certe pellicole quando stavo realizzando il film, anche se le abbiamo guardate e abbiamo fatto
proiettare titoli come
Alien e tanti altri film diversi. Tenti di partire nel modo più innocente possibile e
talvolta ti imbatti in alcuni film, cosa che ti porta a pensare “meglio non farlo” o “certo, è il caso di muoversi in
questa direzione”. Così, ti immergi in questi prodotti, ma poi cerchi di lasciarli da parte. La premessa più importante,
il riferimento maggiore che avevamo, è stata una frase del nostro scenografo Mark Tildesley: “è la questione dei 50 anni”.
Cinquant’anni fa, a Londra, c’erano dei bus rossi, che rimangono attivi ancora adesso, ma la città è completamente diversa.
Perciò, ci sono tante cose familiari nel film, non è come
Star Trek, quindi abbiamo basato le nostre ricerche sul
programma futuristico della NASA. Per questo motivo, l’Icarus II ha delle piante che forniscono l’ossigeno, perché è uno
dei problemi maggiori dei viaggi spaziali, come creare ossigeno per sostenere la vita nello spazio e negli altri pianeti,
e la risposta è proprio nelle piante.
Abbiamo fatto tutto il possibile, come incontrare degli specialisti, per esempio il nostro consulente scientifico Brian Cox,
o Richard Seymour, un designer del futuro. Si tratta di un’analista delle tendenze che verranno per società come la Ford e
la Phillips, che ha inventato il bollitore senza fili vent’anni fa e che ha progettato degli oggetti che, a suo avviso, tra
vent’anni ci saranno familiari come è attualmente questo tipo di bollitore. Ci ha fornito una visione del futuro, quello
che sarà il mondo tra cinquant’anni. Andrew, Alex ed io lo abbiamo incontrato e abbiamo parlato, lui ci ha mostrato delle
cose e poi ha discusso con gli attori di questo argomento. Mark ha realizzato questi oggetti, grazie al fatto di aver
analizzato molto materiale di tutti i tipi e piano piano le cose hanno iniziato a prendere vita. Questa idea dello scudo è
venuta fuori da una semplice considerazione su come proteggersi e dalle ricerche effettuate dalla Nasa sui materiali per
difendersi dal calore e dalle radiazioni, adottando delle patine dorate. Non è una buona idea proteggersi con dei materiali
solidi, perché questi si fonderebbero, mentre la patina dorata è in grado di dissipare il calore lontano dalla navicella.
Mi ricordo di questo fatto, perché era una grande scoperta che sembrava terribilmente ovvia, e ha portato alla tuta
spaziale. Abbiamo ritenuto che dovesse essere dorata, non bianca come quelle della NASA. Abbiamo sviluppato questo concetto,
preso fiducia e pensato allora di cambiare anche il casco.
Ovviamente,
Boot-96 è stato una grande influenza e all’inizio pensavamo che avremmo reso l’Icarus II un ambiente
decisamente claustrofobico. Ma, alla fine, non l’abbiamo reso claustrofobico come
Boot-96, perché il nostro istinto
ci ha suggerito di lasciar perdere. D’altronde, queste persone avrebbero dovuto rimanere lì per tre anni, non avrebbero
potuto vivere nelle condizioni di
Boot-96, in cui, per passare davanti a qualcuno, c’era bisogno che quest’ultimo
si alzasse. Anche se sapevamo che la navicella non sarebbe stata realizzata in questo modo, volevamo comunque offrire una
sensazione del genere. E quando siamo andati a vedere il sottomarino nucleare, non era così inumano come quello di
Boot-96, perché quello era stato costruito più di 60 anni fa, così abbiamo avuto una maggiore libertà artistica.
Comunque, abbiamo cercato di dare una sensazione di reclusione, di presentare persone con dei volti pallidi e questo genere
di cose. In generale, è stata un’esperienza magnifica. La cosa più importante che ho scoperto sul sottomarino nucleare e
che era assolutamente straordinaria – anche se non c’era modo di inserirla direttamente nel film, per cui ci siamo dovuti
limitare a dirla agli attori e sperare che questo avesse un’influenza su di loro – è che l’equipaggio deve fare una scelta
prima di partire, sul fatto di voler sapere o meno le cattive notizie. Ho pensato che, a livello psicologico, fosse una
cosa impressionante. La comunicazione è a senso unico, non si può rispondere, nulla e nessuno potrà cambiare la missione.
Se qualcuno impazzisce, viene rinchiuso in una stanza, se qualcuno muore, il corpo viene messo in un deposito, ma nulla può
modificare la missione. Loro si immergono e non sanno dove si trovano, a parte tre persone a bordo, così devono prendere
questa decisione: se la loro moglie o il figlio muoiono o sono gravemente malati, vogliono saperlo? Devono prendere questa
decisione. Ho pensato che fosse una cosa incredibile.
E’ decisamente accurato. Ovviamente, il film non riceverà un premio Nobel, perché talvolta bisogna mettere da parte la
scienza, ma i principi ispiratori sono corretti. Alex ovviamente legge molto materiale scientifico, così la sua storia era
fondamentalmente accurata. Quello che invece non lo era, ci veniva segnalato da Brian Cox, così noi potevamo decidere se
seguire la sua indicazione e cambiare la storia o lasciarla com’era… Uno dei temi del film, a mio avviso, è quanto sia
presuntuosa la scienza, una caratteristica anche necessaria, considerando la grande influenza che ha sul mondo. Anche se è
folle e molte cose non sono possibili, gli scienziati sono convinti veramente che ad un certo punto saranno capaci di fare
tutto. In effetti, dopo un po’ che si parla con Brian Cox, si ha la sensazione che loro possano veramente far tutto. E con
questo Collisionatore, questo acceleratore di particelle che hanno costruito al CERN di Ginevra, loro sono veramente
convinti di poter trovare la particella che è nata dopo il Big Bang. Lui mi ha detto che c’è una possibilità inferiore al
10% che si possa accidentalmente creare un buco nero, e viene naturale chiedersi se questo non significherebbe la nostra
fine. Lui mi ha risposto che non ne sapremmo nulla, nessuno ne
sarebbe consapevole, perché eventualmente l’intera galassia collasserebbe in questo buco nero. Lui mi ha rivelato che
probabilmente non succederà nulla e comunque, quando è stata fatta esplodere la prima bomba atomica, hanno comunicato al
Congresso che c’era una piccola probabilità che il cielo potesse bruciare e che l’intero pianeta venisse distrutto, ma loro
hanno deciso di andare avanti comunque. Così, bisogna essere molto presuntosi in questo campo.
Abbiamo cercato di trovare un modo di rappresentare il Sole e dare al pubblico la sensazione della sua potenza. E una parte
di questo potere deriva dalla sua purezza. Abbiamo cercato di farlo all’inizio del film, così da comunicare subito la
sensazione della sua potenza. Poi ci sono dei riferimenti strani, soprattutto attraverso il personaggio di Searle, e,
quando lo abbiamo rappresentato, abbiamo utilizzato il colore giallo. E’ stata una decisione importante lasciarlo giallo e
quindi, per il resto, abbiamo totalmente eliminato questa tonalità nel film. Ci siamo assicurati che non ci fossero
taccuini gialli in giro, che tutte le luci fossero diverse da quelle gialle, così da provare il desiderio di guardare
questo colore giallo/rosso, questa gamma, fino a quando lo vediamo veramente ed è impressionante. E’ soltanto un trucco
che abbiamo provato ad utilizzare per descrivere l’enormità e il mistero del Sole. Desideriamo sconvolgere il pubblico e
immergerli in questa situazione. E’ quello che succede ai personaggi e parla di come vengono influenzati psicologicamente
da questa situazione. A differenza di molti film spaziali, non ci sono delle inquadrature infinite della navicella che si
muove… Ho fatto questa scelta perché potessimo concentrarci sugli otto membri dell’equipaggio e nonostante non ci fosse la
claustrofobia di
Boot-96, volevamo esprimere la sensazione del trovarsi intrappolati, sigillati ermeticamente in
questa navicella spaziale. Loro sono rinchiusi dentro ed escono raramente. Nei film, normalmente, si mostra la navicella
nello spazio ogni otto minuti, ma io non volevo fare una cosa del genere, perché così, quando si esce fuori, avviene
qualcosa di inedito e speciale. Ancora una
volta, si priva la gente di qualcosa, con la speranza che, quando capita realmente, lo possano apprezzare, perché è un
evento veramente speciale. Il film solleva degli importanti problemi religiosi e filosofici sulla natura dell’universo e
il posto che occupiamo nell’universo, sul concetto dell’Uomo che si lancia nel vuoto, ma che in realtà sta viaggiando nella
sua mente. E’ fondamentalmente una discussione sulla scienza contrapposta a Dio, con una persona che fa esplodere una bomba
mentre si trova al suo interno, sostenendo, con aria di sfida, di essere in grado cambiare l’universo. Invece, Dio ritiene
che questo non passa avvenire, perché si tratta del suo universo.