FUORISCHERMO

 

CRASH
FLYER
Titolo originale:Crash
Regia: Paul Haggis
Sceneggiatura: Paul Haggis, Bobby Moresco
Fotografia: James Muro
Montaggio: Hughes Winborne
Musica: Mark Isham
Interpreti principali: Sandra Bullock, Don Cheadle, Matt Dillon, Jennifer Esposito, William Fichtner, Brendan Fraser, Ryan Phillippe, Thandie Newton, Terrence Dashon Howard
Origine : Usa / Germania, 2004
Durata: 113'
Colore




FLYER Un intreccio di storie, vite e destini della durata di due giorni nella Los Angeles di oggi, tra violenza, redenzioni e nemesi. Tutto comincia con un incidente stradale… Paul Haggis, già sceneggiatore di Million Dollar Baby, costruisce una parabola esistenziale sul modello narrativo di Robert Altman (America oggi) e Paul Thomas Anderson (Magnolia), senza però lo sguardo entomologico del primo e il respiro potente del secondo. La regia, infatti, ogni tanto balbetta, ma lo script è ragguardevole, incastrando sapientemente una serie di storie parallele dove affidarsi alle prime impressioni può essere, secondo i casi, pericoloso, ingannevole o fuorviante, tanto per i personaggi che per lo spettatore. Attori in stato di grazia, a cominciare da un Dillon e da una Bullock opportunamente sgradevoli.
MASSIMO ZANICHELLIMASSIMO ZANICHELLI


FLYER Un intreccio di vicende umane colorito e multietnico. Prevedibile e un po’ retorico. Impiega un’ora per decollare, poi si complica il compito con un compiaciuto gioco di incastri, sottintesi, impliciti testuali che rendono la narrazione macchinosa e faticosa. Ci sono gli asiatici, ci sono i “persiani” (sic, chissà come mai scomodare l’Iran di questi tempi...), ci sono i soliti Wasp (White Anglo-Saxon Protestant), i poliziotti e ovviamente tanti afroamericani. Quelli che si confrontano faticosamente con l’ascesa sociale – a dimostrazione che si può – e quelli sfortunati delle periferie violente. Ognuno fa la sua parte, ci si insulta, ci si difende e si tenta di capirsi (davvero?), ci si spara un po’ per giustificare l’ambientazione Usa, e alla fine ciascuno rimane nella sua merda. Con un po’ di sano vittimismo deterministico-fatalistico-ontologico, e un malconcio tentativo di raccontare gli Stati Uniti cosmopoliti. Da segnalare anche una Sandra Bullock più scipita del solito. Voto al film: cinque in pagella, sette in condotta.
SAMUEL COGLIATI